Utente:Marius~itwiki/Unipolarismo

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Per unipolarismo si intende il prevalere di una sola potenza nell'equilibrio delle forze mondiali.

Nella storia contemporanea questo fenomeno si è verificato alla fine della Guerra fredda, con il crollo dell'Unione Sovietica e il susseguente dominio di fatto degli Stati Uniti, che ha messo fine alla condizione di bipolarismo preesistente.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nel periodo compreso tra il 1989 (caduta del muro di Berlino) e il 1991 (dissoluzione dell'URSS) si chiuse un'epoca storica che aveva caratterizzato l'ultima parte del Novecento ed era stata chiamata Guerra Fredda, ovvero la contrapposizione tra il blocco sovietico e quello americano.

Il mondo sembrava avviato verso una nuova era di pace e di ordine, caratterizzata dal modello di vita occidentale. Questo nuovo ordine aveva al centro l'unica superpotenza rimasta, gli USA, che attraverso il suo sistema di alleanze (in primo luogo la NATO ma anche l'ONU, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale etc...) sembrava in grado di garantire una sorta di "governo planetario".

Già nell'agosto del 1991, qualche mese dopo la conclusione della seconda guerra del Golfo, gli Stati Uniti cercarono di tracciare le linee di un nuovo ordine internazionale adeguato ad un mondo ormai diventato unipolare. Questo tentativo confluì, nel 1992, in un documento intitolato Defence Planning Guidance, in cui si affermava, tra le altre cose, che le potenze industriali dovranno mettere da parte il classico principio westfaliano della non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani: «esse dovranno esercitare e legittimare di fatto un loro diritto-dovere di "ingerenza umanitaria" in tutti i casi in cui giudicheranno necessario intervenire per risolvere situazioni di crisi interne a singoli Stati.» In questo quadro strategico la seconda guerra del Golfo viene interpretata come "il crogiolo del nuovo ordine mondiale".

La seconda guerra del Golfo, in effetti, fu il primo esempio di "guerra globale" all'inizio della nuova era prefigurata dalla superpotenza americana. Scoppiò in seguito all'invasione iraqena del Kuwait nell'agosto 1990 e fu la più imponente spedizione militare mai avvenuta fino a quel momento: vi parteciparono 27 Paesi alleati e nei 42 giorni della cosiddetta "tempesta nel deserto" (desert storm) venne utilizzata una quantità di esplosivo maggiore a quella usata dagli alleati nell'intera Seconda Guerra Mondiale. La relativa facilità dell'operazione illuse che gli USA, grazie al loro schiacciante dominio militare e tecnologico, riuscissero a mantenere stabilmente una sorta di pax americana. Questa convinzione fu ben presto demolita dall'operazione militare Restore Hope, in Somalia, lanciata a partire del dicembre 1992. Gli Stati Uniti avevano inviato nel paese africano, lacerato internamente da una devastante guerra civile, un corpo di spedizione di circa 28000 uomini teoricamente per ristabilire l'ordine e la pace, in realtà per restaurare la supremazia delle basi americane e Nato nello spazio tra il Golfo Persico e il Capo di Buona Speranza, punto strategico per il passaggio delle superpetroliere che si dirigono verso l'Occidente industrializzato e assetato di petrolio. Restore Hope, appunto, ma intendendo per Hope il Capo di Buona Speranza (Cap of Good Hope) e non un presunto "restaurare la speranza" per le popolazioni somale. Comunque, nonostante tutto, nel febbraio 1995 i contingenti americani furono ritirati senza aver raggiunto gli scopi della spedizione.

Molti altri conflitti minavano la stabilità del nuovo ordine mondiale (lo scontro HutuTutsi in Rwanda, la guerra civile jugoslava etc...) rendendo precario l'equilibrio unipolare che si era tentato faticosamente di imporre dopo la fine della Guerra Fredda. Questo nuovo quadro di precarietà era in qualche misura accresciuto da un altro problema che andava emergendo, ovvero la proliferazione degli armamenti sia fra gli Stati sia fra i soggetti privati; questa disseminazione di armi era stata un tratto caratteristico della Guerra Fredda, quando ogni blocco aveva contribuito a distribuire armi sperando di trarne vantaggio, senza tener conto dei vari trattati di non proliferazione delle armi nucleari e non. A metà degli anni Novanta, oltre ai paesi che detenevano in modo ufficiale gli armamenti nucleari, vi erano tutta una serie di paesi che se li erano procurati nei modi più svariati, soprattutto in seguito alla dissoluzione dei uno dei più grandi imperi nucleari come l'URSS. Nacque quindi in quegli anni la constatazione che, dopo la fine del bipolarismo, le due principali potenze mondiali, gli Stati Uniti e quello che restava dell'URSS, cioè la Russia, avevano drasticamente diminuito il loro arsenale nucleare, mentre tutta una serie di staterelli sparsi nel mondo avevano moltiplicato il loro potenziale bellico.

Un altro pericolo che iniziava a diventare sempre più minaccioso era quello del terrorismo che stava assumendo sempre più carattere globale e trasnazionale di stampo islamico fondamentalista. Di questo tipo possono essere considerati il fallito attentato al World Trade Center di New York nel 1993 e gli attentati riusciti alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania nel 1998. Questi fatti dimostrarono che ormai il terrorismo era diventato globale, poteva cioè colpire in ogni luogo e con ogni mezzo, grazie alla proliferazione delle armi e alla perdita del monopolio dell'uso della forza da parte degli Stati nazionali.

Un'altra grande novità dell'ultimo decennio degli anni Novanta fu la firma, nel 1992, del trattato di Maastricht, sottoscritto dai 12 paesi della Comunità Europea che rappresentò l'avvio dell'unione monetaria europea e anche di una auspicata unione politica. Il trattato prevedeva, come poi è effettivamente avvenuto, l'allargamento dell'Unione ad altri paesi e la creazione di una forte soggettività economica e politica dell'Europa, che tentava di proporsi come un possibile punto di riferimento per un nuovo assetto multipolare. In quegli anni nacque anche la speranza di riuscire a creare una sorta di governance multipolare, ovvero un sistema di regole per l'attribuzione bilanciata e trasparente di compiti e funzioni alle diverse istituzioni internazionali e sovranazionali, rese ovviamente trasparenti e partecipative. Per sostenere questa idea nel 1999, a Seattle, durante la terza conferenza del WTO (World Trade Organization) convocata per liberalizzare ancora di più gli scambi commerciali, si ebbe per la prima volta una manifestazione trasnazionale di protesta, indetta da quasi 1400 ONG (Organizzazioni non governative), sindacati e gruppi religiosi. Da quei fatti prese l'avvio un movimento planetario di critica alla globalizzazione (i cosiddetti no global o new-global) che da allora si riunisce in modo permanente in un Forum Sociale Mondiale.

Alla fine degli anni Novanta, quindi, la situazione internazionale presentava una grande varietà di organizzazioni che tentavano di coordinare in un sistema organico le varie forze presenti al suo interno. Un ruolo veramente decisivo, era però svolto solamente dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (l'organo più importante dell'ONU), dal gruppo dei sette – ben presto diventati otto con l'inserimento della Russia – paesi più industrializzati (G7/G8), dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).

Un ruolo a parte era rivestito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), l'unica ad avere legittimità internazionale riconosciuta da tutti, sulla quale erano riposte le speranze per un governo planetario che facesse uscire il mondo dallo stato di disordine che si era creato dopo la fine dell'ordine bipolare. Dal 1989, però, il ruolo dell'ONU nella risoluzione dei conflitti internazionali era stato estremamente debole: gli interventi in Rwanda e in Somalia erano miseramente falliti, mentre nella guerra civile jugoslava erano state molto più decisive le Nazioni Unite rispetto all'ONU. Il ruolo principale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite in quegli anni fu la creazione del diritto internazionale per quanto riguarda i diritti umani, mettendo in funzione un alto commissariato e dei tribunali penali per i crimini commessi contro l'umanità. Tutto questo però non bastava per fare dell'ONU il garante di un nuovo ordine mondiale; era necessario infatti che vi fossero all'interno delle Nazioni Unite dei meccanismi di rappresentanza diretta sia dei cittadini che degli Stati in grado di bilanciare gli interessi di tutti. Inoltre quote di sovranità dovevano passare dagli Stati all'ONU, soprattutto in campo militare ed economico.

Questo ordine precario subì un colpo decisivo l'11 settembre 2001, quando un gruppo di terroristi arabi appartenenti all'organizzazione Al Qaeda (capeggiata dal miliardario saudita Osama Bin Laden) si impadronì di quattro aerei di linea scagliandone due contro le Torri Gemelle del World Trade Center di New York, facendole crollare, e un terzo sul Pentagono, danneggiandolo. Il quarto aereo mancò il bersaglio, precipitando in Pennsylvania, per la ribellione dei passeggeri. Fu uno degli eventi più sconvolgenti della storia degli Stati Uniti e non solo per i 6000 morti che aveva provocato: il trauma più grave fu quello psicologico perché era la prima volta che una forza esterna seminava morte e distruzione nel cuore del Paese. Il terrorismo islamico era riuscito a colpire l'unica superpotenza rimasta, che si pensava inviolabile al suo interno.

La reazione del presidente americano conservatore George W. Bush jr. si orientò in senso nettamente bellicoso, annunciando una replica difensiva nei confronti dell'attentato terroristico e l'inizio di una guerra senza limiti di tempo e senza vincoli spaziali contro la rete del global terrorism e dei rogue states ritenuti in qualche modo compromessi con il terrorismo e retoricamente definiti come "l'impero del male". Qualche settimana dopo l'attacco alle Torri Gemelle, il 30 settembre, venne diffuso dal Dipartimento della Difesa il Quadrennial Defence Review Report, un documento in gran parte frutto di una lunga elaborazione precedente l'11 settembre e in cui si sosteneva, tra le altre cose, che gli Stati Uniti dovevano sfruttare i loro "vantaggi asimmetrici" (asymmetric advantages) di cui godono in termini nucleari, di intelligence, di controllo informatico del pianeta. La risposta al global terrorism doveva essere impostata in termini militari in modo da fare delle forze armate statunitensi una total force che impedisca ai gruppi terroristici l'uso di armi nucleari, chimiche o batteriologiche.

Coerentemente a questi principi nell'ottobre – novembre 2003 gli USA mossero guerra con l'Afghanistan dei talebani, in cui Osama Bin Laden si era rifugiato, distruggendo il regime e riuscendo a consolidare la loro egemonia planetaria, oltre a garantirsi una stabile presenza militare nel cuore dell'Asia centrale. Se in un mondo unipolare l'unica superpotenza rimasta era quella statunitense, ad essa toccava reggere il mondo secondo i suoi scopi e i suoi interessi. E se gli stati cosiddetti "canaglia" minacciavano la sua sicurezza, gli USA avevano il diritto di attaccarli per primi. Era questa la dottrina della "guerra preventiva", enunciata formalmente in un documento sulla National security strategy of the United States del 17 settembre 2002.

Questa dottrina si accompagna alla cancellazione di ogni impegno da parte degli Stati Uniti a ridurre - e alla fine eliminare - il proprio arsenale militare, come prevedeva il Trattato di non proliferazione nucleare. Al contrario essi dichiarano il proposito di aumentare e stabilizzare il loro assoluto primato anche in termini di armamento nucleare. Il concetto di “guerra preventiva” fu subito applicato nell'aprile del 2003 contro l'Iraq di Saddam Hussein, accusato – con prove poi risultate inconsistenti – di collusione con Al Qaeda e di possesso di armi di distruzione di massa.

Mentre nel primo conflitto, quello diretto contro l'Afghanistan, gli USA si erano mossi ancora con una strategia multilaterale, sollecitando e ottenendo il consenso e l'appoggio di gran parte della comunità internazionale e soprattutto degli alleati NATO, nel secondo hanno condotto l'attacco al dittatore iraqeno al di fuori del quadro delle Nazioni Unite con l'appoggio della Gran Bretagna, senza aver ottenuto il consenso dell'ONU e nonostante imponenti manifestazioni di protesta contro la guerra in tutto il mondo.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV., Not in my name - Guerra e Diritto, (a cura di Linda Bimbi), Editori Riuniti, Roma, 2003
  • Castronovo Valerio, L'eredità del Novecento, Einaudi, Torino, 2000
  • Hobsbawm Eric J., Il Secolo Breve, Bur, Milano, 2003
  • Martirani Giuliana, Il drago e l'agnello. Dal mercato globale alla giustizia universale, Paoline, Milano, 2001
  • Salvadori Massimo L., Il Novecento: un'introduzione, Laterza, Bari, 2002

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]