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La geografia linguistica, o geolinguistica (ma anche linguistica spaziale o linguistica areale - più raro neolinguistica; cfr. Enciclopedia Treccani), è una corrente della linguistica che si occupa di studiare l'estensione nello spazio dei fenomeni linguistici, di ordine fonetico, morfosintattico, lessicale, e la loro distribuzione geografica. Suo importante esponente fu l'italiano Matteo Bartoli.[1]

Aspetti[modifica | modifica wikitesto]

Un'area geografica caratterizzata dalla presenza di uno stesso fenomeno linguistico è delimitata da un'isoglossa: con questo termine si intende quindi la linea immaginaria che unisce i punti estremi dell'area in questione.[2]

Isoglossa è tuttavia un termine generico, un iperonimo: si possono distinguere infatti, isofone, isomorfe, isolessi a seconda del fenomeno linguistico che delimitano nello spazio.

Un fascio di isoglosse, ossia un loro addensamento nello spazio geografico che indica la prossimità di zone critiche dei sistemi linguistici, può rappresentare un confine linguistico, sebbene una unità dialettale non sia esattamente individuabile mediante isoglosse perché non è possibile tracciare confini netti tra una varietà linguistica e l'altra.

Origini[modifica | modifica wikitesto]

Verso la fine del XVIII secolo si pensava oramai che ci potesse essere un legame chiaro tra le molte lingue d'Europa e alcune lingue dell'Asia, un rapporto di parentela genealogica. Con questo ultimo termine si indica che alcune lingue sono interconnesse tra di loro, in quanto derivano da un solo ceppo originario, per questo motivo a tutte le lingue legate a questa relazione fu dato il nome di "lingue indoeuropee", dato che erano inserite in una zona che comprendeva i confini occidentali dell'Europa e quelli orientali dell'India. L'evoluzione linguistica ha portato a una differenziazione della comunità linguistica unitaria, mediante lo sviluppo di varietà locali più indipendenti, si pensi a lingue come il francese, lo spagnolo, il rumeno e l'italiano. Se per le lingue si rimanda al latino come momento comune, in casi diversi l'esistenza effettiva di un rapporto di parentela esiste, ma non è documentata la fase comune ( si pensi alle lingue germaniche), quindi si parla di affinità linguistica quando tra due o più lingue ci sono dei legami evidenti, risultato di avvicinamenti prodotti nel corso del tempo e che sono stati determinati nel corso dei secoli da numerose ragioni, ad esempio quando due lingue si trovano in un'area geografica contigua, si parla di "affinità linguistica".

Cambiamento[modifica | modifica wikitesto]

Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo ci fu una notevole accelerazione nel progresso degli studi linguistici che fu data dall'entusiasmo che si ebbe per la cultura indiana, da parte di studiosi europei, inglesi e tedeschi. L'Europa quindi si trovava di fronte a una tradizione letteraria di grande valore, nata e sviluppatasi al di fuori dell'ascendente della tradizione classica. Uno degli esponenti di questo spiccato interesse per questa nuova cultura, fu il linguista, letterato, filologo e politico inglese William James (1746- 1794), il quale, esperto conoscitore dell'India, in un volume sulla lingua sanscrita ipotizzava la derivazione del greco, del latino e del sanscrito da un' unica fonte comune, che però non esiste più, allargando il confronto con il pensiero e altre lingue come il gotico e il celtico. Oltre a James operarono nell'ambito della linguistica letteraria, Franz Bopp (1791-1867) e Rasmus Rask (1787-1832), Bopp infatti pubblicò nel 1816 una memoria dedicata allo studio del sistema verbale di sanscrito, greco, latino, persiano e lingue germaniche, la quale fu poi presa come l'atto di nascita della linguistica indoeuropea in un senso scientifico. Il processo di questa disciplina ha nella metà del XIX secolo un andamento assai impetuoso, riguardando anche la linguistica generale e lo studio delle lingue. Altri nomi aprirono l'avanzamento di questa disciplina come gli studiosi Jacob e Wihelm Grimm, Friedirich Diez, Fran Von Miklòsovich e Johann Kaspar Zeuss. Tuttavia la figura di maggiore rilevanza negli anni che seguirono fu quella di August Schleicher (1821-1868), egli elaborò la teoria dell'albero genealogico, ovvero una frammentazione progressiva che dall'indoeuropeo ricostruito, porta fino alle lingue storiche mediante le unità intermedie.

Innovatori[modifica | modifica wikitesto]

Negli ultimi anni del XIX secolo si vede l'avanzare della scuola dei neogrammatici: ovvero gli innovatori della grammatica tradizionale. Uno dei loro principi è quello delle leggi fonetiche, secondo cui queste ultime agiscono allo stesso modo di quelle chimiche e fisiche, con la sola differenza che quelle fonetiche possono essere riconosciute dopo che sono realizzate, possedendo perciò il concetto di prevedibilità. Studiosi di ciò furono: Hermann Paul, Berthold Dellbruck e Karl Brugran. Tra gli oppositori ci fu invece un italiano, Graziadio Isaia Ascoli (Gorizia 1829- Milano 1907), il padre fondatore della linguistica moderna, studioso di linguistica indoeuropea e romanza, insieme a lui ricordiamo anche la figura di Hugo Schuchardt. Tuttavia, il fondatore della linguistica generale fu Ferdinand De Saussure ( 1857-1913) che, durante la sua vita prima di studioso e successivamente di docente universitario, ebbe un ruolo di primaria importanza con i suoi studi sul vocalismo indoeuropeo e si dedicò poi alla definizione di concetti fondamentali che sono le fondamenta del funzionamento delle lingue.

Teoria delle onde[modifica | modifica wikitesto]

La geografia linguistica affonda le sue radici nella Teoria delle onde (in tedesco Wellentheorie) di Johannes Schmidt. Il linguista tedesco pubblica, nel 1872, una monografia, I rapporti di parentela delle lingue indoeuropee (Die Verwantschaftverhältnisse der indogermanischen Sprachen ), in cui affronta i problemi legati alla parentela e alla classificazione linguistica nell’area indoeuropea.[2][3]

Secondo il modello proposto da Schmidt, le innovazioni linguistiche si diffondono sempre a partire da un centro e si espandono poi in maniera sempre più debole man mano che ci si allontana da tale fonte. Questo movimento è concentrico e richiama visivamente i cerchi prodotti nell’acqua dalla caduta di un sasso.[2]

La teoria delle onde prevede che ci sia circolazione linguistica nel territorio, infatti, l’assenza di quest’ultima renderebbe impossibile qualunque propagazione nelle aree circostanti. La circolazione può tuttavia essere impedita oppure rallentata da situazioni contingenti, come la presenza di ostacoli naturali, ad esempio di catene montuose. La propagazione delle onde non avviene dunque sempre in modo omogeneo in tutte le direzioni e la sua rapidità e forza possono variare in base alle condizioni del territorio.[2]

Il modello d’interpretazione proposto da Schmidt risulta essere più plausibile rispetto alla Teoria dell’albero genealogico esposta da August Schleicher, un linguista tedesco, nelle Ricerche di grammatica comparata del 1848 (Sprachvergleichende Untersuchungen) e poi nel Compendio di grammatica comparata delle lingue indeuropee del 1861 (Compendium der vergleichenden Grammatik der indogermanischen Sprachen). In queste due opere viene elaborata la teoria secondo la quale vi è una  progressiva frammentazione linguistica che, partendo dal protoindoeuropeo ricostruito e attraverso delle unità intermedie, ovvero le cosiddette protolingue, porta alle lingue storiche. Il compito dello studioso risulta essere così il confronto di queste lingue storiche e la ricostruzione delle unità intermedie per risalire, alla fine, all’indoeuropeo primitivo.[3][2]

Per mettere meglio in evidenza perché la teoria delle onde appaia più ragionevole dal punto di vista storico si può in considerazione la situazione delle lingue germaniche: alcuni aspetti linguistici a livello lessicale e morfologico collegano le lingue germaniche al latino e alle lingue celtiche (esempio lessicale: lat. mentum, gall. mant, got. munþs "bocca"; esempio morfologico: i perfetti a vocale lunga come lat. sēdimus, got. sētum "sedemmo") ma molti altri aspetti altrettanto rilevanti le collegano invece alle lingue slave e baltiche (esempio: la flessione determinata e indeterminata degli aggettivi; in germanico e in baltico la formazione dei numeri 11 e 12 è simile e avviene come ‘uno più di dieci’ e ‘due più di dieci’).[2] A questo punto, se ci si dovesse attenere alla teoria dell’albero genealogico ci si troverebbe di fronte ad un’irrisolvibile contraddizione, ma la teoria delle onde risponde a questo dilemma poiché utilizza un criterio metodologico nuovo che, per ipotizzare l’esistenza di rapporti speciali tra lingue, considera i tratti innovativi come molto più rilevanti rispetto a quelli conservativi.[2] Difatti, il mantenimento di aspetti antichi in diverse aree di un territorio linguistico non implica necessariamente l’esistenza di particolari legami tra quei punti, ma un’innovazione comune è invece indice di un rapporto preciso. Si dovrà comunque procedere verificando se l’isoglossa (linea che, su una carta geografica, racchiude tutti i punti di un territorio che condividono un tratto linguistico comune) è il risultato di un’evoluzione comune oppure è solo il frutto di uno sviluppo casuale o parallelo o ha altre motivazioni ancora, come ad esempio una reazione di sostrato.[3][2]

Atlanti linguistici[modifica | modifica wikitesto]

Gli atlanti linguistici si presentano come raccolte di carte tematiche sulle quali vengono riportate la distribuzione geografica delle isoglosse e/o le parole utilizzate in riferimento ad una certa realtà od oggetto nelle diverse località del territorio. Il metodo di compilazione degli atlanti prevede dunque un’inchiesta, svolta in alcuni punti dell’area presa in esame, e la successiva registrazione sulla carta dei dati raccolti. La trascrizione dovrà tener conto di ogni minima variazione fonetica delle parole, segnate opportunamente secondo particolari convenzioni grafiche.[1]

Questa rappresentazione dei cambiamenti linguistici su base geografica si presta a sottolineare l'influenza dell'etimologia popolare sulla lingua: il parlante tende a creare legami tra parole che hanno origini diverse, credendo di riconoscere le forme sulla base di assonanze o di elementi superficiali.[2]

Tra i primi atlanti linguistici ci fu lo Sprachatlas des Deutschen Reiches (1888) di Georg Wenker, seguito dall'Atlas linguistique de la France (1902-1912) di Jules Gilleron e dallo Sprach-und Sachlatlas Italiens und der Südschweiz (1928-1940) di Karl Jaberg e Jakob Jud. Prima della pubblicazione di quest'ultimo, in Italia Matteo Bartoli aveva tentato di redigere un atlante linguistico, l'Atlante Linguistico Italiano (ALI). I dati raccolti da Ugo Pellis e altri raccoglitori sono tutt'ora conservati presso l'Università di Torino e sono in corso di pubblicazione.[1]

Esistono inoltre diversi atlanti linguistici per gran parte dei territori, romanzi e non, tra cui gli atlanti linguistici nazionali della cosiddetta Romania Nuova.[1]

Atlante linguistico tedesco (1888)[modifica | modifica wikitesto]

Lo Sprachatlas des Deutschen Reiches (DSA) di Georg Wenker è un'opera pioneristica, un atlante linguistico che riporta la varietà linguistica del territorio dell'ex Impero tedesco. Con più di 40.000 punti d'inchiesta, rappresenta il sondaggio più completo del mondo, nonché il primo. L'inchiesta venne svolta inviando un questionario a tutte le scuole, con frasi da tradurre nel dialetto locale.

Atlante linguistico della Francia (1902-1912)[modifica | modifica wikitesto]

Abeille "ape" nell'Atlas linguistique de la France

L’opera che ha fondato la geografia linguistica nel mondo romanzo fu l'Altlas Linguistique de la France (ALF) realizzato da Jules Gilleron ed Edmond Edmont e pubblicato in 13 volumi tra il 1902 e il 1912. Tra il 1897 e il 1901, Edmont effettuò indagini sul territorio francese, porgendo una serie di domande identiche a 735 individui provenienti da 638 comuni della Francia e del Belgio e della Svizzera francofoni.[4] Ciò portò alla compilazione di 1421 carte complete e altre diverse centinaia di carte parziali, ognuna delle quali è dedicata ad un particolare soggetto concreto o astratto, e classificate in ordine alfabetico.[4][1]

Celebre è, ad esempio, lo studio compiuto sulle varianti linguistiche della parola “ape”: la parola latina apes dovrebbe ridursi, secondo le leggi fonetiche, al singolare ep, ef e al plurale es, é, forme che tuttavia non compaiono nella maggior parte del territorio. A queste vengono infatti preferite parole più corpose: essette (diminutivo) o, per analogia, essaim (dal significato originario di “sciame”); formazioni con mouche “mosca”, come mouche-ep, alterato successivamente nel diminutivo muchette, o ancora mouche-à-miel “insetto del miele”, che assunse in seguito la forma meridionale mouche-abeille (dal diminutivo latino apicula), da cui la forma del francese letterario abeille.[2]

Atlante Italo-Svizzero (1928-1940)[modifica | modifica wikitesto]

Gli studi di Gilleron furono modello dello Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz (AIS) , redatto a Zurigo da due suoi studenti, Karl Jaberg e Jakob Jud, i quali decisero di applicare le modalità d'inchiesta utilizzate nell'ALF all'Italia e alla Svizzera meridionale. I raccoglitori furono Paul Scheuermeier, Max Leopold Wagner e Gerhard Rohlfs. Le carte sono raggruppate secondo sfere concettuali e lasciano grande spazio ai nomi comuni in modo da permettere non solo un'osservazione linguistica ma anche etnologica delle varietà linguistiche italiane. Ad oggi, è ancora l'unico atlante linguistico disponibile dei dialetti italiani.[1]

Le quattro norme areali[modifica | modifica wikitesto]

Le quattro norme areali, definite dal linguista e glottologo italiano Matteo Giulio Bartoli, rappresentano uno dei capisaldi della geografia linguistica, insieme alla teoria delle onde formulata del linguista tedesco Johannes Schmidt.

Le norme areali sono il risultato di una approfondita riflessione di Bartoli sull'Atlas Linguistique de la France realizzato da Jules Gilliéron tra il 1902 e il 1912, il quale effettuò un'indagine sulle molteplici varianti linguistiche e fonetiche nel territorio francese, notando delle anomalie nella loro distribuzione. Sulla base delle conclusioni raggiunte e facendo riferimento alla stessa teoria delle onde, Bartoli stabilì l'esistenza di certe regolarità (tuttavia non assolute) per spiegare tali difformità nei fenomeni linguistici, i quali portarono all'affermazione delle attuali lingue romanze.[1]

Il punto di partenza nello sviluppo delle norme areali sta nell'ipotesi che una determinata forma antica, diffusa in gran parte del territorio, avesse subito la concorrenza di un'innovazione linguistica, che successivamente cominciò a diffondesi dal centro verso le zone periferiche ma senza raggiungerle; il risultato è che quest'ultime, nonostante siano lontane tra di loro, coincidono nella forma linguistica.[1]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Le quattro norme areali, dove in presenza di diverse forme linguistiche si suole pensare che risieda quella più antica, sono

  1. la norma dell'Area isolata;
  2. la norma delle Aree laterali;
  3. la norma dell'Area maggiore;
  4. la norma dell'Area seriore.

Tali norme sono da applicarsi in successione: se non è valida la prima, si applica la seconda; se non è valida la seconda, si applica la terza; se non è valida la terza, si applica la quarta.

Norma dell'Area isolata[modifica | modifica wikitesto]

È così detta in quanto meno esposta al commercio e alla comunicazione; di conseguenza, presenta delle forme linguistiche conservative, quindi anteriori, per via della mancata influenza da parte di forme linguistiche esterne ad essa.

La Sardegna rappresenta un esempio di Area isolata: in sardo, mannu ("grande") deriva dal latino classico magnum, mentre in italiano grande e in francese grand derivano da un'espressione latina posteriore, ovvero grandem;

Norma delle Aree laterali[modifica | modifica wikitesto]

In tali aree si presentano forme linguistiche più antiche rispetto a quelle centrali; di conseguenza, come nell'Area isolata, anche in questo caso si ha una forma linguistica anteriore.

Il Portogallo e la Romania sono Aree laterali; non a caso, le espressioni portoghese rogar e rumena ruga ("pregare") derivano dal latino classico rogare, mentre in francese prier e in italiano pregar derivano da un'espressione latina posteriore, ovvero precare.[1]

Norma dell'Area maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Talvolta in tale area si conservano forme linguistiche anteriori rispetto a zone geograficamente piccole.

Territori come l'attuale Portogallo, Spagna, Francia e nord Italia sono un esempio di Area maggiore, dove in portoghese mȇs, in spagnolo mes, in francese mois, e in italiano mese derivano dal latino classico mensem (accusativo di mensis), mentre in rumeno, lună ("mese") deriva dalla forma latina posteriore luna;

Norma dell'Area seriore[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta dei territori colonizzati, dove la lingua locale è stata influenzata da quella dei dominatori; in essa si mantiene, quindi, una forma linguistica anteriore.

La Spagna e la Romania sono Aree seriori, in quanto essendo già entrambe Aree laterali, la lingua latina è stata portata solamente in un secondo tempo dai coloni romani. Infatti, in spagnolo comer ("mangiare") deriva dal latino classico edĕre, invece in italiano mangiare deriva da una forma latina posteriore, ovvero manducāre (che letteralmente significa "mangiare scompostamente").

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i Lorenzo Renzi e Alvise Andreose, Manuale di linguistica e filologia romanza, ilMulino, 2015, pp. 113-115, ISBN 9788815093530.
  2. ^ a b c d e f g h i j Moreno Morani, Lineamenti di linguistica indoeuropea (PDF), Roma, ARACNE editrice S.r.l., ISBN 9788854841932.
  3. ^ a b c Sapere.it.
  4. ^ a b CartoDialect, su lig-tdcge.imag.fr.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • L. Renzi, Manuale di linguistica e filologia romanza, Bologna, il Mulino, 2015, ISBN 9788815258861
  • M. Morani, Lineamenti di linguistica indoeuropea, Roma, ARACNE editrice S.r.l., ISBN 9788854841932

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]