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Carlo Alfano[modifica | modifica wikitesto]

Carlo Alfano (Napoli, 22 maggio 1932 – Napoli, 25 ottobre 1990) è stato un pittore e scultore italiano. Ha studiato a Napoli ed in questa città ha avuto il suo studio e lavorato, alternando lunghi periodi all’estero specie in Germania. Gran parte della sua produzione è nell’ambito della ricerca concettuale. Nell’Archivio Alfano [1] si conserva gran parte della documentazione sull’artista.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Scarne ed essenziali sono le poche note biografiche sull’artista, che dei primi anni parlava di un capitolo intimo caratterizzato da una personale “preistoria” ed  “un  lavoro  solitario”[1].

In un’intervista del 1984 Carlo Alfano chiarisce i termini del suo pudore biografico quando dice: “ Se vuol sapere se c’è autobiografia nella mia pittura, le rispondo di sì, penso proprio di sì. In quanto uomo tra gli uomini, scrivo anch’io, a mio modo, del dubbio e della mancanza di senso, della lacerazione dell’io che è propria dell’uomo d’oggi” [2]. Già dagli anni Cinquanta la sua formazione affianca alla “pittura” in senso stretto altri interessi quali quello per la musica (frequenta il Conservatorio di San Pietro a Majella), la letteratura e lo studio della filosofia. In seguito, nei lunghi pomeriggi trascorsi nelle sale del Museo nazionale di Capodimonte, si interesserà dei problemi legati alla Rappresentazione (filosofia) e alla percezione; ciò lo porta ad iscriversi dopo il Liceo all'Accademia di belle arti di Napoli. Dagli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta partecipa ad alcune delle esposizioni più significative tenutesi in Italia ed in Europa. Hanno scritto del suo lavoro tra gli altri:  Flavia Alfano, Giulio Carlo ArganAlberto Boatto, Bruno Corà, Maria De Vivo, Achille Bonito Oliva, Gianfranco Maraniello, Filiberto Menna, Pierre Restany, Jürgen Schilling, Erich Steingräber, Francesco Tedeschi, Angelo Trimarco, Lea Vergine, Andrea Viliani.

Anni Cinquanta[modifica | modifica wikitesto]

La prima produzione di Carlo Alfano attiene ad una fase formativa caratterizzata da un’intensa attività sperimentale. Nel dicembre 1955 si tiene a Napoli nella Galleria San Carlo la  sua prima personale dove presenta opere grafiche con “figure sottili, dotate di una sensuale immediatezza, date per rapidi accenni”[3] Parallelamente il linguaggio pittorico suggerisce immagini che alternano concrezioni materiche di matrice Informale, scaturite da esperimenti formali condotti sui più disparati materiali, a leggerezze coloristiche.

Anni Sessanta[modifica | modifica wikitesto]

Partendo dal problema della rappresentazione, la ricerca  del decennio si incentra sul rapporto contraddittorio tra logica e percezione. Nel 1962 espone a Roma presso la Galleria l’Obelisco un ciclo di opere dove la tela è spazio nero, profondo ed insondabile e le figure appaiono monumentalmente isolate e fluttuanti [4]. A partire dal 1963, superando il concetto tradizionale di pittura, emerge come centrale il problema della rappresentazione declinata dall’artista come forma di ambiguità segnica e spaziale in relazione al tempo. Dal 1965 la ricerca per la pittura assume connotazioni analitiche; con le opere del ciclo Tipo e strutture ritmiche e Tempi prospettici presentate nel 1966 presso la Modern Art Agency di Lucio Amelio a Napoli Alfano definisce un suo contributo assolutamente originale alle sperimentazioni in corso di Arte cinetica e poi di Arte concettuale di quegli anni. Su un semplice sistema segnico geometrico, dipinto su tavole in legno, vengono collocati cilindri metallici specchianti oppure trasparenti in metacrilato (selettori). Le interazioni della luce sui corpi riflettenti creano diverse casistiche fenomeniche e percettive  “(…) la variabilità dovuta allo spostamento degli elementi cilindrici è ciò che innanzitutto mi interessa in quanto mi trovo, quando materialmente l’opera è finita, sempre nel corso di esecuzione, cioè nella situazione di dover inventare, come è naturale nella durata dell’agire…” [5] Esemplare in tal senso è l’installazione dell’opera Tempi prospettici,1970-1972, posta di fronte alle lastre della Tomba del Tuffatore nel Museo archeologico nazionale di Paestum [6].

La sua riflessione sulla classicità lo porta anche a sperimentare le ambiguità tra spazio e convenzione prospettica rinascimentale. Emblematico in tal senso è il ciclo Distanze ed in particolare l’opera Distanze (delle distanze dalla rappresentazione), 1969/1970. L’opera viene installata nell’angolo di una stanza e presenta una rassicurante linea di fuga disegnata sul pavimento che ci invita a seguire una certezza prospettica. L’illusione della profondità svanisce quando lo spettatore cerca di raggiungere il punto di fuga, camminando e riducendo temporalmente e spazialmente  la distanza dalla rappresentazione, lo attende l’illusorietà della effettiva realtà spaziale. Si tratta di ”una incontenibile eccedenza del limite che costituisce per Alfano la sfida ai margini decisi o istituiti per contenere il mondo in una scena"[7].

Dal 1968 molti dei lavori progettati e realizzati sono installazioni ed environments come quelli presentati nel 1969 presso la e Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea nel 1970 nelle mostre Vitalità del negativo (Roma); Amore mio (Montepulciano) e presso la Modern Art Agency di Napoli. Lavori incentrati sul coinvolgimento totale dello spettatore nel flusso temporale e sull’esperienza suggestiva della fruizione come accade nell’opera Delle distanze dalla rappresentazione,1968/1969. Qui, nella penombra di una stanza, una goccia cade ad intervalli regolari delineando nell’acqua e poi nel riflesso sulla parete la rappresentazione come ombra di un silenzioso ed infinito intrattenimento [8].

Anni Settanta[modifica | modifica wikitesto]

Le opere dalla fine degli anni Sessanta condensano in una forma essenziale il discorso sullo spazio/tempo e definiscono con estrema purezza la poetica di Alfano. Stanza per voci, Archivio delle nominazioni 1969,'70, '71,'72,'73,'74..., 1968/1969  è il lavoro-progetto presentato nel 1972 oltre che a Napoli, a Milano presso la Galleria dell’Ariete ed a Berlino presso la Galerie Folker Skulima. L’opera, che costituisce il nucleo centrale della maturità dell’artista, conserva della forma classica del quadro solo lo spazio perimetrato di una cornice vuota in alluminio di cm.200 x220 [9]. La tela è sostituita da un vuoto attraversato da un nastro magnetico. La rappresentazione lascia il posto all’azione temporale attraverso il suono. Dalla cornice scaturiscono vari  frammenti sonori contenuti nei nastri registrati custoditi negli astucci in marmo facenti parte dell’Archivio delle nominazioni 1969,'70, '71,'72,'73,'74... I diversi  frammenti temporali che possiamo ascoltare hanno una durata di 1 minuto e 40 secondi,  lo spazio/tempo che occorre per attraversare con moto circolare lo spazio vuoto della cornice e ritornare su se stessi. Il suono del tempo-parole che fuoriesce da due piccole fessure riempie, modellandolo, lo spazio intero della Stanza per voci, configurando un luogo per la rappresentazione di diversi generi artistici quali : ritratti, autoritratti, nature morte (molti intellettuali, tra i quali Lucio Amelio, Joseph Beuys, Alberto Boatto, Giuseppe Chiari (compositore), Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Lea Vergine, hanno partecipato al progetto registrando una propria descrizione che sarebbe poi divenuta un ritratto/autoritratto della Stanza per voci di Alfano).

La forma classica del quadro è così dissolta e la rappresentazione diviene parola che fende lo spazio della stanza, le registrazioni interagiscono nel nostro spazio tempo presente e nell' al di qua della cornice, si amplificano nell'atmosfera circostante, fluttuano nell'aria che, come fruitori, respiriamo. In parallelo, dal 1969, Alfano si riappropria del mezzo pittorico tradizionale e su grandi tele monocrome nere o bianche trascrive la sua percezione del tempo attraverso sequenze numeriche lineari di secondi, intervallati da silenzi, frasi, pensieri, riflessioni occasionali. Le grandi tele del ciclo vengono presentate in Europa nel 1974 a Monaco presso la Galerie Art in Progress, poi alla Kunsthalle di Berna ed a Parigi nella Galeria Ileana Sonnabend.


La prima di queste opere del ciclo Frammenti di un autoritratto anonimo è Frammenti di un autoritratto anonimo n.1, 1969/1970, dove ritroviamo rispecchiato e rovesciato sul piano spaziale-pittorico un frammento visivo che rimanda al frammento temporale e sonoro di Stanza per voci. Il tempo trascritto sulla tela, secondo dopo secondo, interagisce con il nostro presente in una dimensione dialogica. A questo riguardo Carlo Alfano chiarisce: “ Il senso di ogni frammento – come del grande frammento che è il quadro intero- non è quello di comunicare una serie di concetti compiuti e di una linearità del tempo; mi interessa cogliere del tempo le sue circolarità, i suoi arresti, le sue velocità. Tra le unità dei secondi (il segno che ho scelto per indicare il tempo) mi interessa il lento affacciarsi della parola, le tensioni delle sue regole, i conflitti e le esclusioni dei suoi movimenti soggettivi, prima che la parola raggiunga quella pienezza che riempirà il silenzio.” [10] Dal 1971 Alfano lavora a lungo su una ineffabile dimensione spazio-temporale. Il presente anonimo della linea di secondi, nel ciclo dei Frammenti di un autoritratto anonimo, si sovrappone ed interagisce con l’epica errante del Don Chisciotte o la fitta geografia dei desideri di Molly Bloom  “Quella di Alfano è una memoria senza citazione, un’aniconicità radicata nello spazio-tempo rifrangente delle sue multiformi manifestazioni, in cui la figurazione convive con l’astrazione, l’espressivo con l’analitico, il qui e ora con i loro infiniti riverberi percettivi e memoriali" [11]. In molte opere del decennio la riflessione di Alfano interseca alcune icone classiche caravaggesche. Ciò che lo affascina non è l’aspetto figurale quanto gli spazi della sospensione. Della Vocazione di san Matteo di Caravaggio lo affascina l’attesa in forma di oscurità, il buio come sottrazione alla rappresentazione: “[un] grande spazio vuoto, buio [che] si apre come un impraticabile confine.” [12] Nel ciclo Dalla vocazione al giocatore attraverso i suoi segni, egli focalizza nell’oscurità il valore spaziotemporale della pausa, della distanza tra i due gruppi di personaggi, facendola coincidere con il silenzio di una umana soglia spazio-temporale aperta  sul  senso del presente. Questo aspetto della ricerca sviluppata dalla metà degli anni ’70  è espresso nel ciclo di Eco-Narciso presentato nel 1978 nelle sale del Museo Principe Diego Aragona Pignatelli Cortés di Napoli e l’anno successivo a Leverkusen nello Morsbroich Museum. Il doppio riflesso di Narciso ed Eco nell’acqua e nel suono rimandano, ancora una volta, ad uno spazio ambiguo dove l’io e l’altro propongono due realtà medesime e diverse su un piano temporale simultaneo. Le due immagini non coincidenti indicano specularmente un luogo che coincide con la perdita del baricentro figurativo e l’ impossibile univocità spaziale; “si avverte nell’infittirsi di versioni della Vocazione e del Narciso, un’ansia di penetrazione nell’oscurità semantica appena rinvenuta e da perlustrare come un territorio vergine carico di possibili sorprese”.[13]

Anni Ottanta[modifica | modifica wikitesto]

Nelle opere degli anni ottanta la figura umana, rappresentata divisa in due parti, rimarca una scissione ed una perdita della centralità classica più che mai interna all’individuo. Su questa riflessione è imperniato il lavoro del decennio punteggiato da opere di fortissimo impatto visivo: rarefatte, freddamente silenziose, distillati di incertezze, segnalazioni esistenziali in forma di interrogativi a sé e agli altri. Nelle opere presentate alla XL Esposizione internazionale d’arte di Venezia del 1982 la frammentazione spazio-temporale si confronta e definisce come frattura dell’individuo; tela e figura sono entrambe tagliate e scisse ma seppur divise le due metà della rappresentazione rimangono a testimoniare; “Tracce e frammenti del corpo, e del corpo in movimento in uno spazio vuoto, silenzioso, composto di zone di luce e ombra, […] ‘figure’, che riprendono un uomo che si muove con difficoltà, si trascina quasi, emerge o scompare nell’ombra…” [14] A proposito dell’opera Eco-Discesa (luce –nero) (1981)  facente parte della  collezione Terrae Motus e ospitata nelle sale della Reggia di Caserta dice Alfano “Le due sezioni del corpo spezzato sono l’una l’eco dell’altra: l’eco rimanda alla voce e viceversa. Nel mio lavoro è fondamentale il tema della duplicità. Nel mio caso il doppio non va inteso come sommatoria, bensì come condizione d’ambiguità in cui giocano il reale e il suo riflesso. Alla fine tutto oscilla tra questi due falsi. L’eco, a sua volta, è una voce che si ripercuote e che va oltre la sua sorgente di origine, ma che ha sempre bisogno di un’emittente, di una matrice: così nel quadro le due parti staccate non possono agire autonomamente.” [15] I grandi dipinti della metà degli anni ’80 sono da considerarsi come una fase di gestazione per la genesi di Camera 1 e Camera 2: ad un tempo sontuoso e scarno epilogo di Alfano dove la figura rappresenta e registra ad un tempo la nostra apparenza instabile e mutevole : “ Non essendoci altri percorsi univoci di segni collettivi la pittura si configura come l’estremo sentiero da percorrere”. [16]


Camera n.1 (1987) realizzata per il Salone Camuccini (ora sala 2) nel Museo nazionale di Capodimonte di Napoli è un freddo polittico in alluminio di 2 metri per 6 dove sono rappresentate le due metà di un corpo vitruviano  che “(…) rispettivamente entrano ed escono nello e dallo spazio nero dell’opera. La parte destra della ‘figura’, quella posteriore, guarda nel suo ‘luogo’, nello spazio nero  interno dell’opera dove si riflette l’esterno, il reale. La sinistra, la parte anteriore della ‘figura’, va verso l’esterno al quadro con il braccio teso come a cercare fuori dall’opera in cui vive il suo equilibrio, il suo spazio.” [17] A poca  distanza dal polittico, nella “camera” dialoga a distanza una figura classica: si tratta di un ottaedro sulle cui facce appaiono bussole con orientamenti diversi, l’insieme dei piani rimanda ad una condizione instabile, disorientante e alla individuale perdita di coordinate; un astratto oggetto simbolico diviene concreto riferimento di ingovernabilità del processo rappresentativo [18]. L’ ”insonorizzazione” emotiva  perseguita in questo lavoro, come in molte delle opere della fine degli anni Ottanta, trova compiuta espressione nella respingente opacità dei pannelli in alluminio e della pellicola fotografica bruciata [19], materiali che traducono percettivamente concetti e riflessioni che attengono alla dimensione sia pittorica che umana di Carlo Alfano quali: “durata intensità, risonanza, profondità, opacità, sonorità, silenzio, memoria, destino, luce, oscurità” [20]

Esposizioni e bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Per i dati  bio-bibliografici completi ed aggiornati si rimanda al catalogo F. Alfano, D. Isaia, G. Maraniello (a cura di), Carlo Alfano soggetto spazio soggetto, catalogo della mostra, Mart, Rovereto, 2017 ed al sito www.archivioalfano.it

Carlo Alfano nei musei[modifica | modifica wikitesto]


Archivio Alfano[modifica | modifica wikitesto]

L’archivio del pittore Carlo Alfano (Napoli, 1932-1990) ha sede a Napoli dove si trova la più ampia documentazione disponibile sull’opera di Carlo Alfano. L’archivio comprende:  documenti, appunti,  scritti autografi, studi, corrispondenze;  materiale  di studio composto da negativi, fotografie, lastre antiche, diapositive e foto  realizzate da Carlo Alfano e utilizzate dall’artista per ricerca e studi preparatori, taccuini di studio; materiale cinematografico filmati realizzati dall’artista e sull’artista; materiale audio nastroteca e digitalizzazione  del repertorio sonoro inerente l’opera Stanza per voci, Archivio delle nominazioni 1969,'70, '71,'72,'73,'74..., 1968/1969  ed una lunga intervista registrata del 1990 ; materiale fotografico, una  vasta documentazione iconografica  del lavoro di Carlo Alfano che copre un arco temporale che va dagli anni '50 alla fine degli anni '80, una documentazione fotografica inerente gli allestimenti, e le opere in collezioni pubbliche e private; biblioteca testi della biblioteca personale dell’artista, cataloghi, periodici, quotidiani, riviste specializzate, tesi di laurea, manifesti, inviti.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

http://www.archivioalfano.it/Alfano.html  http://www.madrenapoli.it/  • http://www.mart.trento.it/http://www.museocapodimonte.beniculturali.it/portfolio_page/arte-contemporanea/http://www.museopaestum.beniculturali.it/http://www.reggiadicasertaunofficial.it/it/reggia/terrae-motus/http://www.gamtorino.it/ithttp://lagallerianazionale.com/museo/https://www.boijmans.nl/https://www.pinakothek.de/http://www.tamuseum.org.il/https://www.moma.org/artists

  1. ^ F. Alfano, Autoritratto in negativo, in Carlo Alfano. Sulla soglia, catalogo della mostra, Castel dell’Ovo, Napoli, ed. Charta, Milano 2001, pag. 24.
  2. ^ A. M. Siena, Dubbi d’artista, in Reporter, 7 novembre 1984.
  3. ^ M. De Vivo, Tracce per un ritratto di Carlo Alfano in F.Alfano,D.Isaia, G.Maraniello (a cura di), Carlo Alfano soggetto spazio soggetto, catalogo della mostra, Mart, Rovereto, 2017) pag. 35.
  4. ^ L. Vergine, L. Vergine, Aspetti di vita artistica napoletana, in «I 4 Soli», nn. 5/6, Torino 1959.
  5. ^ (Appunto autografo di Alfano catalogo ARCHIVIO ALFANO codice AAD6022
  6. ^ R. D’Andria, Il tuffatore di Carlo Alfano. Restauro di un’opera dei “Tempi prospettici” a Paestum, ed. 10/17, Salerno 1995.
  7. ^ (G.Maraniello, Contributo alla lettura dell’opera di Carlo Alfano in F.Alfano,D.Isaia, G.Maraniello (a cura di)
  8. ^ Delle distanze dalla rappresentazione (1968/1969) è nella collezione permanente al Museo d'arte contemporanea Donnaregina (Madre)
  9. ^ il lavoro venne concepito con due esemplari indipendenti. In occasione della mostra Carlo Alfano soggetto spazio soggetto tenutasi al MART di Rovereto nel 2017 sono stati  mostrati nella sala  entrambi gli esemplari delle cornici, tenendo conto di  alcuni studi dell’artista che prevedevano anche la possibilità di una installazione doppia
  10. ^ H.Stocker, Interview mit Carlo Alfano, in “Kunstforum international“, 1974
  11. ^ A. Viliani, su Carlo Alfano e l’arte: come in una camera di specchi in F.Alfano,D.Isaia, G.Maraniello (a cura di), pag.25
  12. ^ C. Alfano, Caro Heiner, in catalogo mostra Carlo Alfano- Bilder und Zeichnungen- Fragmente eines anonymen Selbstbildnisses    Städtisches Museum   Leverkusen Schloß Morsbroich,1979, pag.16
  13. ^ B.Corà, Carlo Alfano: lo spazio teatrale dell’animo, in F.Alfano (a cura di), pag. 14
  14. ^ Tedeschi, l’io e  l’altro, in catalogo Carlo Alfano, Galleria Milano, Milano 2013
  15. ^ C.Alfano, Intervista con Michele Bonuomo, in catalogo della mostra Terrae  Motus, Napoli 1984, pag.33
  16. ^ M.Bonuomo, L’uomo in croce nel freddo di una “Camera”, in “Il  Mattino”, 27 febbraio 1988.
  17. ^ C.Alfano, lettera inviata ad Erich  Steingräber nel 1987 in F.Alfano, D.Isaia, G.Maraniello (a cura di), pagg.435, 437
  18. ^ L’ottaedro di Alfano rimanda al poliedro che Dürer nell’acquaforte Melancholia I pone insieme a diversi  “contrari” alchemici cfr. F. Alfano, Autoritratto in negativo
  19. ^ sul ruolo del fotografico nell’opera di Carlo Alfano cfr. F.Alfano, Per un a Geografia del desiderio in F.Alfano, D.Isaia, G.Maraniello (a cura di)
  20. ^ F.Alfano, Eco delle materie, in R. D’Andria, pag.72 .