Utente:Beechs/scienzeantropologiche

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Istituzionalmente la disciplina dell'antropologia si sviluppò dalla storia naturale nel XIX secolo, età dominata da massicce colonizzazioni che portarono l'Occidente "moderno" e "civilizzato" al contatto con popolazioni di diversi usi e costumi dei continenti dell'Africa, dell'Asia, dell'America e dell'Australia: allo studio della flora e della fauna di queste lontane regioni, si aggiunse allo studio della cultura, del linguaggio, dei manufatti e della fisiologia degli esseri umani che vi abitavano.

Inizialmente, ad imporre la loro visione teorica furono gli antropologi evoluzionisti, sia britannici che americani, che fondavano la loro teoria sulla convinzione dell'esistenza di un progresso nella storia dell'uomo. La storia della società umana era vista come il prodotto di una sequenza necessaria di stadi di sviluppo sempre più complessi, culminante nella società industriale di metà Ottocento. Le società contemporanee più semplici non avevao ancora raggiunto gli stadi culturali più elevati del progresso e potevano essere ritenute simili alle società più antiche.

In questo paradigma teorico, i popoli "selvaggi" sparsi sui vari continenti possono illustrare le condizioni di vita degli uomini preistorici, antenati della nostra civiltà. Per cui le società non europee venivano viste come dei "fossili viventi" di stadi di evoluzione sorpassati dalla civiltà occidentale e che potevano essere studiati per gettare luce sul passato di quest'ultima.

Studiosi come Edward Burnett Tylor e James Frazer in Gran Bretagna si occuparono dell'argomento lavorando soprattutto su materiali raccolti da altri, di solito missionari, esploratori, o ufficiali coloniali, e sono oggi chiamati "antropologi da poltrona". Questi etnologi erano interessati in modo particolare nelle motivazioni per cui i popoli che vivevano in diverse parti del globo avessero credenze e pratiche simili. Negli Stati Uniti, fu Lewis Henry Morgan il primo grande antropologo. Condivideva l'approccio evoluzionista e concentrò la ricerca sui nativi americani, stabilendo con alcuni di essi rapporti molto profondi.

Il paradigma teorico in competizione con l'evoluzionismo era il diffusionismo. Esso si basava sull'idea che i tratti culturali si riproducono e si spostano geograficamente. Tale idea, predominante tra gli studiosi austro-tedeschi, fu sostenuta in forme ancor più estreme da alcuni antropologi inglesi. Anche negli Stati Uniti, tramite Franz Boas (di origine tedesca), quest'approccio lasciò un'eredità. In particolare il concetto di area culturale ebbe grande fortuna ed è tuttora ampiamente utilizzato nell'antropologia culturale.

Lo stesso argomento in dettaglio: Diffusionismo.

Prima parte del XX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Agli inizi del XX secolo gli studi erano ancora dominati dal metodo comparativo e dalla concezione evoluzionista. In questo periodo si sviluppò parallelamente il concetto di razza, come sistema di classificazione degli esseri umani basato sulle loro differenze biologiche. In quest'ambito sono da ricordare anche gli studi di antropologia criminale di Cesare Lombroso riguardanti lo studio dei profili antropologici per identificare il criminale "tipo". Tuttavia le tradizioni internazionali di antropologia (culturale, sociale, francese) non sono considerabili conniventi con queste teorie, che anzi spesso vennero combattute dagli stessi antropologi evoluzionisti.

La disciplina definì progressivamente come proprio campo di indagine l'umanità concepita come un tutto, attraverso sia metodi propri delle scienze naturali, sia metodi propri, quali le "interviste strutturate" o l'"osservazione partecipata". Un lungo tragitto storico porta quindi allo studio di quello che dapprima venne definito "primitivo" e che poi divenne "l'altro". In seguito l'antropologia è diventata anche scienza "del ritorno", applicando riflessioni e metodologie utilizzate per lo studio delle società tradizionali all'analisi di specifici aspetti e dinamiche della società moderna.. Tra il 1890 e il 1940 si affacciano sulla scena i «grandi» dell'antropologia e si costituiscono le tradizioni di ricerca dominanti, le quali si impegnano nella costruzione di una scienza oggettiva, assumendo una posizione critica nei confronti del modello evoluzionista e ponendo al centro delle loro attività la ricerca sul campo e la riflessione sulle questioni di metodo. Si definiscono le tre «scuole» nazionali più importanti; l'antropologia culturale americana, l'etnologia francese, l'antropologia sociale britannica.

Le più importanti tradizioni di studio sono quelle:

  • della Francia, che nasce dalla sociologia di Émile Durkheim con Marcel Mauss, che si interessò dell'analisi di società non ancora differenziate come quella europea, con l'obiettivo di costruire una scienza delle società primitive secondo il modello positivista, perché i fatti sociali nelle società più semplici presentano in una forma elementare le loro caratteristiche fondamentali. Qui l'istituzionalizzazione della disciplina avvenne pienamente solo con Claude Levi-Strauss, che esercitò un'enorme influenza con il suo strutturalismo, anche al di fuori del campo antropologico;

L'antropologia nel dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni 1950 e 1960, l'antropologia si è rivolta verso una maggiore integrazione con le scienze naturali. I maggiori campi di interesse furono i processi di modernizzazione per lo sviluppo degli stati indipendenti (Llyd Fallers e Clifford Geertz), lo sviluppo delle società e la loro occupazione della propria nicchia ecologica (Julian Steward e Leslie White), studi di economia influenzati da Karl Polanyi (Marshall Sahlins e Greg Dalton). In Gran Bretagna nacquero scuole influenzate dal marxismo (Max Gluckman e Peter Worsley) o dallo strutturalismo (Rodney Needham e Edmund Leach). Gli studiosi britannici della Scuola di Manchester elaborano nuovi concetti e metodi per il passaggio dall'analisi della struttura a quella del processo sociale e spostano l'attenzione al piano delle pratiche sociali. La revisione critica dello struttural-funzionalismo si compie con l'opera di autori che riconoscono il flusso e il mutamento come caratteristiche imprescindibili di ogni realtà sociale e che si propongono di restituire all'attore sociale la sua centralità nella dinamica sociale. Una società è una realtà in movimento che deve essere pensata come un processo di costruzione sociale.

Le alternative proposte dall'etnologia francese allo struttural-funzionalismo sono due; lo strutturalismo di Lévi-Strauss e l'antropologia marxista. l primo considera la cultura come la rappresentazione visibile di una struttura astratta della mente umana, presso i primitivi come tra i civili, e il compito dell'antropologo quello di svelare questi modelli inconsci. La seconda risposta critica, l'antropologia marxista, si caratterizza come riflessione sulla natura del potere coloniale e dei rapporti tra antropologia e colonialismo, e come analisi dei diversi modi di produzione nella loro articolazione. Lo strutturalismo influenzò numerosi sviluppi ulteriori negli anni 1960 e 1970, compresa l'"antropologia cognitiva" e l'"analisi componenziale" (David Schneider, Clifford Geertz, Marshall Sahlins). Negli anni 1980 furono di grande importanza gli studi sui fenomeni del potere e dell'egemonia (Antonio Gramsci, Michel Foucault), e ancora sui rapporti tra i generi (Marshall Sahlins).

A partire dalla fine degli anni Sessanta molti antropologi statunitensi, e dopo di loro in tempi più recenti anche molti europei, pongono radicalmente in discussione i modelli teorici dominanti, le metodologìe della ricerca sul campo, le modalità di costruzione del sapere antropologico e le sue finalità.

La riformulazione critica incomincia dal lavoro sul campo e dallo stile della scrittura. Ci si interroga così sulla natura dell'esperienza etnografica e sulle strategie di costruzione del testo etnografico. Allo stesso tempo le antropologhe femministe inglesi e americane pongono in evidenza l'invisibilità delle donne nell'antropologia tradizionale, sia nell'ambito accademico come ricercatrici che nei contesti etnografici come attori sociali, e smontano l'ideale positivìstico della neutralità dell'osservatore e della contrapposizione netta tra soggetto e oggetto.
La prospettiva interpretativa si propone come alternativa a modelli come lo struttural-funzionalismo o il neoevoluzionismo. La ricerca antropologica consiste in un'interpretazione, un'attività che attribuisce significato ai fenomeni collocandoli nel loro contesto particolare. Il problema principale con cui si confronta l'antropologo è,quello della comprensione dei diversi livelli di significato e successivamente della loro traduzione da una cultura all'altra: questi sono i limiti entro cui si può tentare di offrire una visione della cultura «dall'interno».