PSR B1919+21

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PSR B1919+21
PSR B1919+21
Il grafico su cui Jocelyn Bell Burnell individuò per la prima volte le prove dell'esistenza di PSR B1919+21, oggi esposto nella biblioteca dell'università di Cambridge
Scoperta1967
Classificazionepulsar
Distanza dal Sole1000+2600
−700
 al
[2]
CostellazioneVolpetta
Coordinate
(all'epoca J2000.0)
Ascensione retta19h 21m 44.815s[1]
Declinazione+21° 53′ 02.25″
Dati fisici
Raggio medio= ~1,4×10−5 R
Massa
~1,4 M
Periodo di rotazione=1,3373 s
Luminosità
0,006[3] L
Età stimata16 miliardi di anni
Nomenclature alternative
PSR J1921+2153, PSR 1921+2153, PSR B1919+21, PSR 1919+21, WSTB 12W15, CP 1919+21, CP 1919

Coordinate: Carta celeste 19h 21m 44.815s, +21° 53′ 02.25″

PSR B1919+21 è una pulsar con un periodo di rotazione di 1,3373 secondi e una larghezza dell'impulso di 0,04 secondi.[4] Scoperta il 28 novembre 1967 da Jocelyn Bell Burnell,[5] questa pulsar, la cui designazione originaria era CP 1919 (dove CP sta per Cambridge Pulsar) e che si trova nella costellazione della Volpetta, è stato il primo oggetto astronomico di questo tipo mai scoperto.[6]

La potenza e la regolarità del segnale radio inviato da PSR B1919+21 fecero per un breve periodo pensare che tale segnale fosse in realtà inviato da una qualche civiltà extraterrestre, il che fece anche sì che la sorgente del segnale, che poi si scoprì essere una pulsar, fosse battezzata LGM, e in seguito LGM-1, dalle iniziali di "little green men", ossia "Omini verdi" in inglese.[7][8]

Scoperta[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1967, utilizzando il radiotelescopio Interplanetary Scintillation Array dell'osservatorio radioastronomico Mullard, a Cambridge, e dopo la minuziosa osservazione di chilometri di tracce grafiche di dati, Jocelyn Bell Burnell, allora dottoranda presso l'Università di Cambridge, rilevò un segnale radio avente un periodo di 1,337302088331 secondi e una larghezza d'impulso di 0,04 secondi. Il segnale, la cui origine fu individuata a una declinazione di 21° e un'ascensione retta di 19h 19m, aveva una regolarità così vicina alla perfezione da far inizialmente presumere che si trattasse di un qualche rumore di fondo, tuttavia tale ipotesi fu prontamente scartata. Sempre sulla base della sua regolarità, gli scopritori del segnale lo battezzarono scherzosamente "little green men 1" (LGM-1), ipotizzando che avrebbe potuto essere stato inviato da una civiltà extraterrestre, tuttavia ben presto la Bell Burnell escluse tale possibilità dopo aver scoperto un segnale simile proveniente da un'altra parte del cielo.[7][9]

Risultò quindi che il segnale rilevato era l'emissione radio di una pulsar, poi battezzata CP 1919, e in particolare il primo ad essere riconosciuto come tale. La Bell Burnell si rese anche conto che altri scienziati avrebbero potuto scoprire la stessa pulsar prima di lei, ma che le loro osservazioni erano state ignorate o ritenute inattendibili. Poco dopo l'annuncio della scoperta di questa pulsar, Thomas Gold e Fred Hoyle identificarono la natura di questi oggetti astronomici, comprendendo che essi sono stelle di neutroni in rapida rotazione, ossia oggetti fino ad allora solo ipotizzati.[10]

Premio Nobel[modifica | modifica wikitesto]

Quando nel 1974 Antony Hewish, supervisore di dottorato della Bell Burnell, e Martin Ryle ricevettero il Premio Nobel per la fisica in virtù del loro lavoro inerente alla radioastronomia e alle pulsar, Fred Hoyle, famoso collega di Hewish a Cambridge, affermò che, anche in virtù della scoperta di CP 1919, anche Jocelyn Bell Burnell avrebbe dovuto essere tra i destinatari del premio.[11]

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

I Joy Division, noto gruppo post-punk inglese, usarono un'immagine degli impulsi radio emessi da CP 1919 per la copertina del loro album d'esordio Unknown Pleasures, pubblicato nel 1979.[12][13]

Il compositore e musicista britannico Max Richter ha scritto un pezzo ispirato alla scoperta di CP 1919 intitolato Journey (CP1919).[14]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ G. Hobbs, A. G. Lyne, M. Kramer, C. E. Martin e C. Jordan, Long-term timing observations of 374 pulsars, in Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, vol. 353, n. 4, 2004, pp. 1311, Bibcode:2004MNRAS.353.1311H, DOI:10.1111/j.1365-2966.2004.08157.x.
  2. ^ J. P. W. Verbiest, J. M. Weisberg, A. A. Chael, K. J. Lee e D. R. Lorimer, On Pulsar Distance Measurements and Their Uncertainties, in The Astrophysical Journal, vol. 755, n. 1, 2012, pp. 39, Bibcode:2012ApJ...755...39V, DOI:10.1088/0004-637X/755/1/39, arXiv:1206.0428.
  3. ^ The ATNF Pulsar Catalogue, su atnf.csiro.au, CSIRO Astronomy & Space Science: Pulsar Group. URL consultato il 5 luglio 2021.
  4. ^ Z. Arzoumanian, D. J. Nice, J. H. Taylor e S. E. Thorsett, Timing behavior of 96 radio pulsars, in Astrophysical Journal, vol. 422, n. 2, 1994, pp. 671, Bibcode:1994ApJ...422..671A, DOI:10.1086/173760.
  5. ^ Pietro Greco, Jocelyn Bell, la studentessa che scoprì le pulsar, in Micron, 29 giugno 2020. URL consultato il 5 luglio 2021 (archiviato dall'url originale il 4 agosto 2021).
  6. ^ A. Hewish, S. J. Bell, J. D. H. Pilkington, P. F. Scott e R. A. Collins, Observation of a Rapidly Pulsating Radio Source, in Nature, vol. 217, n. 5130, 24 febbraio 1968, pp. 709-713, Bibcode:1968Natur.217..709H, DOI:10.1038/217709a0.
  7. ^ a b This Month in Physics History: February 1968: Discovery of pulsars announced., su aps.org, American Physical Society. URL consultato il 2 luglio 2021.
  8. ^ Sandro Ciarlariello, La pulsar dei Joy Division, in Quantizzando, 5 febbraio 2020. URL consultato il 5 luglio 2021 (archiviato dall'url originale il 9 luglio 2021).
  9. ^ S. Jocelyn Bell Burnell, Petit Four, in Annals of the New York Academy of Sciences, vol. 302, Dicembre 1977, pp. 685-9, Bibcode:1977NYASA.302..685B, DOI:10.1111/j.1749-6632.1977.tb37085.x. URL consultato il 5 luglio 2021.)
  10. ^ T. Gold, Rotating Neutron Stars as the Origin of the Pulsating Radio Sources, in Nature, vol. 218, n. 5143, 1968, pp. 731-732, Bibcode:1968Natur.218..731G, DOI:10.1038/218731a0.
  11. ^ Horace Freeland Judson, No Nobel Prize for whining, in The New York Times, 20 ottobre 2003.
  12. ^ Adam Capriola, The History of Joy Division's "Unknown Pleasures" Album Art, su Adamcap.com, 19 maggio 2011. URL consultato il 5 luglio 2021.
  13. ^ Chiara Calpini, "Unknown Pleasure": le mille forme di un mito, in La Repubblica, 3 luglio 2013. URL consultato il 5 luglio 2021.
  14. ^ Journey (CP1919) Performed by Aurora Orchestra, su maxrichtermusic.com, 16 maggio 2019. URL consultato il 5 luglio 2021.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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