Mano invisibile

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi La mano invisibile.

La mano invisibile è una metafora che si crede, in genere, creata dall'economista Adam Smith per rappresentare il ruolo della Provvidenza (in qualche modo immanente), per virtù della quale all'interno del libero mercato la ricerca egoistica del proprio interesse, che è favorevole non soltanto a se stessi, ma anche all'interesse dell'intera società, porta l'intero sistema economico al cosiddetto equilibrio economico generale.[1][2] In realtà il concetto, e la stessa metafora della 'mano' è presente già nell'economista napoletano Ferdinando Galiani: "Benedico al contrario la suprema Mano, ognora che contemplo l’ordine, con cui il tutto è a nostra utilitá costituito; e nelle opere sue, ovunque io mi rivolga, non incontro altro che giustizia ed egualitá" (Della moneta, 1751, capo III).

Successivamente, dopo Léon Walras e Vilfredo Pareto, è stata normalmente intesa come metafora dei meccanismi economici che regolano l'economia di mercato in modo tale da garantire che il comportamento dei singoli consumatori e imprenditori, teso alla ricerca della massima soddisfazione individuale, conduca al benessere dell'intera società, attraverso il soddisfacimento dei propri desideri personali. Adam Smith si pose questo problema proprio per capire come funzionava il mercato

La mano invisibile in Adam Smith[modifica | modifica wikitesto]

L'espressione viene usata da Adam Smith in vari luoghi di tre delle sue opere maggiori, e più precisamente in Storia dell'astronomia, Teoria dei sentimenti morali e infine nella più celebre Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni chiamata, più popolarmente, la Ricchezza delle nazioni. Il concetto di mano invisibile è legato a quello che Smith nomina risultato non intenzionale: gli individui generano ordine sociale e sviluppo economico nonostante non agiscano con l'intenzione di generarlo, ma con quella di perseguire il proprio interesse personale. Esiste quindi una mano invisibile che fa sì che le società e le loro economie siano in equilibrio e si sviluppino.[1] Non c'è tuttavia in Adam Smith una sistematizzazione del concetto di homo oeconomicus, ovvero di un soggetto individualista e perfettamente razionale: il concetto di mano invisibile non è utilizzato da Smith per sostenere l’ottimalità di un mercato concorrenziale basato sul meccanismo della domanda e dell’offerta, come spesso il concetto appare riproposto in ambito mediatico e divulgativo[3].

Storia dell'astronomia[modifica | modifica wikitesto]

Nella Storia dell'astronomia (pubblicata postuma nei Saggi filosofici e risalente probabilmente al 1750), scrive:

«In tutte le religioni politeiste, tra i selvaggi così come nei primi tempi dell'antichità pagana, sono solo gli eventi irregolari della natura che vengono attribuiti all'azione ed al potere dei loro dei. Il fuoco scotta e l'acqua rinfresca, i corpi pesanti vengono giù e le sostanze più leggere volano in alto [esempi di eventi regolari] come conseguenza necessaria della loro natura, e non si ricorreva all'intervento della mano invisibile di Giove in questi casi»

In questo passo, la "mano invisibile di Giove" è una metafora dell'ordine impresso dall'unico vero Dio ai fenomeni naturali.

Teoria dei sentimenti morali[modifica | modifica wikitesto]

La mano invisibile compare nel seguente passo della Teoria dei sentimenti morali (1759):

«Non serve a niente che il superbo e insensibile proprietario terriero ispezioni i suoi vasti campi, e che, senza pensare ai bisogni dei suoi fratelli, nell'immaginazione consumi da solo tutto il grano che vi cresce. Il familiare e comune proverbio, che dice che l'occhio è più grande della pancia, non è mai stato così vero come nel suo caso. La capacità del suo stomaco non regge il paragone con l'immensità dei suoi desideri, e non è maggiore di quella del più umile contadino. [...] La produzione del terreno mantiene in ogni momento quasi lo stesso numero di persone che è in grado di mantenere. I ricchi non fanno altro che scegliere nella grande quantità quel che è più prezioso e gradevole. Consumano poco più dei poveri, e, a dispetto del loro naturale egoismo e della loro naturale rapacità, nonostante non pensino ad altro che alla propria convenienza, nonostante l'unico fine che si propongono dando lavoro a migliaia di persone sia la soddisfazione dei loro vani e insaziabili desideri, essi condividono con i poveri il prodotto di tutte le loro migliorie. Sono condotti da una mano invisibile a fare quasi la stessa distribuzione delle cose necessarie alla vita che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali tra tutti i suoi abitanti, e così, senza volerlo, senza saperlo, fanno progredire l'interesse della società, e offrono mezzi alla moltiplicazione della specie. Quando la Provvidenza divise la terra tra pochi proprietari, non dimenticò né abbandonò quelli che sembravano essere stati lasciati fuori dalla spartizione.»

Anche in questo passo, nonostante Smith tratti di un argomento economico (la distribuzione della ricchezza), la «mano invisibile» che conduce i proprietari terrieri a «fare quasi la stessa distribuzione delle cose necessarie alla vita che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali tra tutti i suoi abitanti» è strettamente correlata alla Provvidenza che «non dimenticò né abbandonò quelli che sembravano essere stati lasciati fuori dalla spartizione».

Smith spiegherà poi nella Ricchezza delle nazioni perché vede la mano invisibile operare efficacemente sui proprietari terrieri, non anche su commercianti e manifatturieri.

Ricchezza delle nazioni[modifica | modifica wikitesto]

Nel Libro IV della Ricchezza delle nazioni (1776), Smith critica i tradizionali «sistemi di economia politica», il «sistema del commercio» (mercantilismo) e il «sistema dell'agricoltura» (fisiocrazia). Il mercantilismo sosteneva la necessità che lo Stato si arricchisse favorendo le esportazioni e limitando le importazioni. Nel Capitolo II Smith afferma che tali artifici non possono arrecare alcun beneficio, perché l'attività produttiva generale della società non può mai superare quella che il capitale della società può impiegare, le restrizioni alle importazioni possono solo deviare una parte del capitale in una direzione in cui altrimenti non sarebbe andato, e non è affatto detto che tale deviazione arrechi benefici. E prosegue:

«Ogni individuo si sforza di impiegare il suo capitale il più vicino possibile a sé [...] ogni mercante all'ingrosso preferisce naturalmente il commercio interno a quello estero, e il commercio estero di consumo a quello di trasporto [cioè all'acquisto di beni in alcuni paesi per poi trasportarli e rivenderli in altri paesi]. Nel commercio interno, il suo capitale non è mai così lontano quanto lo è invece spesso nel commercio estero di consumo [...] Ma è già stato dimostrato che un capitale impiegato nel commercio interno mette necessariamente in moto una quantità di attività produttiva interna maggiore [...] A parità o quasi di profitti, quindi, ogni individuo è naturalmente incline a impiegare il suo capitale in modo tale che offra probabilmente il massimo sostegno all'attività produttiva interna e dia un reddito e un'occupazione al massimo numero di persone del suo paese. [...] Quando preferisce il sostegno all'attività produttiva del suo paese [...] egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni.»

L'«inclinazione naturale» di cui Smith parla in questo passo appare l'effetto della «mano invisibile di Giove», ovvero della «Provvidenza», piuttosto che il risultato di un meccanismo economico quale la concorrenza perfetta in un libero mercato, come sarà poi teorizzato da molti dopo Léon Walras e Vilfredo Pareto.

Smith è chiaramente «liberista», come mostra un passo poco successivo a quello appena citato:

«Quale sia la specie di attività produttiva interna a cui il capitale potrà fornire occupazione e il cui prodotto avrà probabilmente il massimo valore, è evidente che ciascun individuo, nella sua situazione locale, potrà giudicarlo molto meglio di quanto un uomo di stato o un legislatore potrebbe fare per lui»

Tuttavia, quando si pone espressamente il problema della convergenza tra interesse del singolo e interesse della società, Smith opera alcune importanti distinzioni; inoltre, così come nella Teoria dei sentimenti morali non ritiene che il principio di simpatia renda tutti gli uomini virtuosi, nella Ricchezza delle nazioni non ritiene quella «inclinazione naturale» sufficiente a rendere concretamente possibile il libero commercio.

Smith scrive prima che la rivoluzione industriale si sia pienamente affermata. Basti ricordare che la macchina a vapore venne perfezionata solo dopo il 1776 (l'eccentrico venne brevettato nel 1781, il movimento parallelo nel 1784, il volano regolatore nel 1788), oppure che Smith esalta la produzione di lana inglese (Libro I, Cap. I) e ignora completamente il cotone.

Vede nell'agricoltura, più che nella manifattura, la vera fonte della ricchezza:

«Il piantare o il dissodare spesso regolano, più che animare, l'attiva fertilità della natura; e dopo che queste operazioni sono state compiute, gran parte del lavoro è sempre lei a doverlo fare. I lavoratori e gli animali da lavoro impiegati nell'agricoltura, pertanto, non solo danno luogo, come gli operai delle manifatture, alla riproduzione di un valore uguale al loro consumo, ossia uguale al capitale che li impiega, aumentato dei profitti del suo proprietario, ma danno luogo a un valore molto maggiore [...] Nessuna uguale quantità di lavoro produttivo impiegata nelle manifatture può mai dar luogo ad una così grande riproduzione di valore. Nelle manifatture la natura non agisce affatto ed è l'uomo che fa tutto»

L'estensione delle colture porta ad un aumento sia delle rendite dei proprietari terrieri (maggiore domanda di terra) sia dei salari (maggiore domanda di lavoro). Da ciò segue che l'interesse di coloro che vivono di rendita e di salario «è strettamente e inseparabilmente connesso all'interesse generale della società» (Libro I, Cap. XI, p. 252).

L'estensione del commercio e della manifattura, invece, comporta una riduzione dei profitti (maggiore offerta, minori prezzi):

«il saggio del profitto non cresce con la prosperità e non diminuisce col declino della società [...] Al contrario, esso è naturalmente basso nei paesi ricchi ed è alto in quelli poveri, ed è sempre massimo nei paesi che vanno a tutta velocità verso la propria rovina.»

Quindi:

«L'interesse di coloro che trattano in un certo ramo commerciale o manifatturiero è sempre, sotto qualche aspetto, diverso da quello del pubblico, e anche opposto. L'interesse dei commercianti è sempre di allargare il mercato e restringere la concorrenza. Allargare il mercato può essere spesso abbastanza coerente con l'interesse del pubblico, ma restringere la concorrenza gli sarà sempre contrario e può solo servire a mettere in grado i commercianti, aumentando i loro profitti al di sopra del livello al quale sarebbero naturalmente, di applicare, a proprio beneficio, un'assurda tassa sul resto dei loro concittadini

Nella Teoria dei sentimenti morali aveva osservato che, nonostante la forza dei sentimenti morali, non tutti gli uomini sono virtuosi:

«Nelle condizioni di vita medie e basse, la via della virtù e quella della fortuna, almeno di quella fortuna che uomini di quelle condizioni possono ragionevolmente aspettarsi, sono in molti casi felicemente quasi le stesse [...] Nelle condizioni di vita superiori, sfortunatamente, la situazione non è sempre questa [...] Per raggiungere questa situazione invidiata, i candidati alla fortuna troppo spesso abbandonano i sentieri della virtù, perché sfortunatamente la via che conduce all'una e quella che conduce all'altra seguono a volte direzioni del tutto opposte.»

Nella Ricchezza delle nazioni, come la virtù, anche il libero mercato è solo un ideale:

«In effetti, attendersi che la libertà commerciale possa mai essere interamente ripristinata in Gran Bretagna è cosa tanto assurda quanto aspettarsi che vi possa essere instaurato il regno di Oceania o di Utopia. Vi si oppongono irresistibilmente non solo i pregiudizi del pubblico, ma anche, cosa molto più decisiva, l'interesse privato di molti individui [...] i padroni delle manifatture.»

La mano invisibile nell'Economia del benessere[modifica | modifica wikitesto]

Il primo teorema dell'economia del benessere afferma che qualsiasi sistema economico perfettamente concorrenziale raggiunge un equilibrio Pareto-ottimale, ovvero una situazione in cui non è possibile incrementare l'utilità di un agente, senza ridurre quella di almeno un altro agente. Tale teorema, che sostituisce le leggi del mercato alle «inclinazioni naturali» di Smith, viene spesso considerato come una formulazione analitica della metafora della mano invisibile[4] La mano invisibile viene pertanto assunta, sia dai sostenitori che dai critici del liberismo e del neoliberismo, come il principio fondamentale di tali dottrine[5] Tuttavia, i lavori di Sen, Scarf, Debreu e Sonnenschein hanno dimostrato come tali teoremi siano falsi nei mercati reali, mancando il requisito della concorrenza perfetta. Restano utilizzabili per una teoria economica "matematicamente corretta", sia la teoria dei giochi sia l'econofisica ove non richiedano ipotesi non presenti nel mondo reale. La scoperta delle esternalità mise definitivamente in crisi l'illusione della mano invisibile di Smith, dimostrando come il perseguimento dei fini individuali causasse dei costi nascosti che vengono scaricati sulla società, generando inefficienze che possono essere corrette solo con l'intervento pubblico (anche solo un intervento squisitamente legislativo).

Critiche[modifica | modifica wikitesto]

Il concetto nella sua presunta efficacia è stato criticato dall'economista John Maynard Keynes nel XX secolo. A fondamento della sua teoria economica Keynes ha posto il concetto che qualunque sistema economico lasciato completamente libero a se stesso, pur raggiungendo un equilibrio in un certo lasso di tempo, porta a inevitabili distorsioni del sistema (ad esempio in termini di redistribuzione di ricchezza) se soggetto unicamente all'interesse privato egoistico dei singoli fino al caso limite di produrre grandi crisi economiche, come accadde anche nella grande depressione. Da cui la necessità di un sostegno interventista statale correttivo sull'economia attraverso la politica economica in sistemi detti a economia mista[6].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b mano invisibile in "Dizionario di Economia e Finanza", su treccani.it. URL consultato il 4 dicembre 2019 (archiviato dall'url originale il 5 luglio 2019).
  2. ^ La mano invisibile di Adam Smith (1723- 1790) - Appunti - Tesionline, su tesionline.it. URL consultato il 3 dicembre 2019.
  3. ^ Ivan Giovi, L'equivoco di Adam Smith e della mano invisibile, Osservatorio Globalizzazione, 5 luglio 2019
  4. ^ Ad esempio: Bruna Ingrao e Giorgio Israel, La mano invisibile. L'equilibrio economico nella storia della scienza, ISBN 88-420-7977-4, Laterza, Bari, 2006
  5. ^ Ad esempio tra i sostenitori l'Adam Smith Institute, tra i critici Joseph Stiglitz Copia archiviata, su www2.gsb.columbia.edu. URL consultato il 25 agosto 2006 (archiviato dall'url originale l'11 settembre 2006)., I ruggenti anni Novanta, ISBN 88-06-17651-X, Torino, Einaudi, 2005
  6. ^ http://www.ginnasi.it/E_lezione_3/manuale_3.pdf

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Adam Smith. An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations. 1776
  • Arrow, K. J. e Hurwicz, L., "On the stability of the competitive equilibrium", Econometrics, n. 22, pp 522–552, 1958
  • Scarf, H. E., An analysis of markets with a large number of participants, 1962, Princeton University Conference Paper. Presente in Recent Advances in Game Theory, Philadelphia, The Ivy Curtis Press, 1962 ISBN 0-691-07902-1 (ristampa)
  • Sen, A. K. The Impossibility of a Paretian Liberal, Journal of Political Economy, n. 78, 1970, pp 152–157.
  • Sen, A. K. The Impossibility of a Paretian Liberal: Reply, Journal of Political Economy, n. 79, 1971, pp 1406–1407.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]