Errore (filosofia)

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«La filosofia non consiste che nell'eliminare a poco a poco gli errori; forse solo al termine di questa serrata critica noi potremo attingere la verità.[1]»

L'errore, in filosofia, indica qualcosa di falso che appare vero (o viceversa) nel campo a cui si riferisce il giudizio o la valutazione[2] e che quindi genera un'intrinseca contraddizione.[3]

L'errore può essere di natura pratica, quando si violano norme morali o principi che rendano efficace l'azione, o di natura teoretica quando si giudica vero ciò che è falso o falso ciò che è vero. In questo caso cioè viene volontariamente dato assenso ad un giudizio realizzando un collegamento tra volontà e intelletto.[4]

L'errore quindi riguarda tutta la nostra esistenza nel sapere e nell'agire incrociando concetti fondamentali come "opinione", "colpa", "dolore" e "felicità"».[5]

Filosofia antica[modifica | modifica wikitesto]

Nella filosofia greca Socrate aveva stabilito l'identità tra scienza e virtù che comportava quella tra l'errore etico e quello teoretico sostenendo, secondo il principio dell'involontarietà del male e dell'attraenza del bene, che nessuno erra volontariamente ma, se lo fa, ciò accade a causa dell'ignoranza, del non conoscere la verità, scambiando per vero ciò che è falso.

«So invece che commettere ingiustizia e disobbedire a chi è migliore di noi, dio o uomo, è cosa brutta e cattiva. Perciò davanti ai mali, che so essere mali, non temerò e non fuggirò mai quelli che non so se siano anche beni.[6]»

Infatti come afferma Platone la conoscenza del vero è il primo passo verso il conseguimento della felicità individuale.[7][8]

In contrasto con gli eleati che riducevano l'errore all'impossibilità di dire e pensare il non essere e con i sofisti che considerano il vero e il falso a seconda della persuasione che il retore riesce ad ottenere, Platone, nel Teeteto e nel Sofista, teorizza che l'errore nasce invece quando si mescolano, in opposizione alle leggi della dialettica, generi e specie.[9]

La teoria della mescolanza impropria come origine dell'errore è condivisa da Aristotele che evidenzia la difficoltà dell'intelletto nel tentare una sintesi di elementi diversi non rispettando l'unità dell'essere e del vero e cadendo così in affermazioni accidentali:

«negare quello che è e affermare quello che non è, è il falso, mentre affermare quello che è e negare quello che non è, è il vero.[10]»

Da Aristotele ai filosofi dell'ellenismo si teorizza l'errore riportandolo al problema se a generarlo siano i sensi ingannevoli oppure l'intelletto o entrambi come teorizzano gli scettici.

Stratone di Lampsaco (328 a.C.-268 a.C.), secondo scolarca del Peripato avanza la teoria secondo la quale, dipendendo il pensiero solo dalla sensibilità, la ricerca filosofica dovrà basarsi solo sulle cose e le parole così che il problema della verità-errore va risolto esclusivamente sul piano linguistico.[11]

Nella filosofia cristiana con Agostino d'Ippona l'errore viene identificato con il male: l'uomo, che pure è investito dalla grazia salvifica di Dio, fonte di eterna verità, è animato da una malvagia volontà e, spinto dalle passioni, cade nell'errore. Sarebbe erroneo pensare comunque che l'uomo, errando, sia in grado di mettere in atto la realtà dell'errore, l'oggetto dell'errore, poiché questo, come il male, non è altro che una "privazione" di essere. Tutto l'universo nella sua realtà è opera della benefica azione di Dio e l'uomo non può turbarlo nel suo ordine con il male che, come l'errore, è quindi una semplice assenza di realtà. L'uomo non crea il male, ma errando, non fa il bene.[12]

Filosofia moderna[modifica | modifica wikitesto]

Francesco Bacone[modifica | modifica wikitesto]

Nella filosofia moderna si sviluppa in maniera approfondita il tema dell'errore ad iniziare con Francesco Bacone.

Nella "pars destruens" del suo Novum organum sono esposti gli errori da cui dobbiamo liberarci per delineare il metodo della ricerca della verità. Occorre cioè purificare la nostra mentalità da una serie di errori che avevano causato sino ad allora lo scarso progresso delle scienze.

Ma prima ancora di classificare gli errori occorre indicare le cause e le occasioni che fanno cadere nell'errore:

  • prima causa: l'uomo è più attaccato alle proprie idee che alle cose, cioè l'uomo spesso dà più valore alle proprie idee che alla realtà;
  • seconda causa: l'insofferenza per il dubbio;
  • terza causa: attribuire false finalità alla conoscenza;
  • quarta causa: la fede cieca nell'autorità.[13]

La conoscenza, dice Bacone, non è né serva né cortigiana, ma sposa. Lo scienziato non si deve vendere come la cortigiana né asservirsi al potere di qualcuno, ma accudire con amore alla sola scienza.

«E allora la scienza non sarà più né una cortigiana, strumento di voluttà, né una serva, strumento di guadagno, ma una sposa legitima, rispettata e rispettabile, feconda di nobil prole, di vantaggi reali, e di oneste delizie.[14]»

Dopo averne descritto le cause, Bacone elenca gli errori che chiama idoli, poiché l'uomo li onora al posto del vero Dio, della verità:

«Gli idoli e le false nozioni che sono penetrati nell'intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile l'accesso alla verità ma addirittura (una volta che questo accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia anche nella stessa instaurazione delle scienze: a meno che gli uomini preavvertiti non si agguerriscano per quanto è possibile contro di essi...[15]»

  • Idola tribus, gli errori della tribù, quelli radicati nella specie umana, che è fatta in modo tale che inevitabilmente commette errori. Il fatto stesso di essere uomini ci porta ad errare;
  • Idola specus, gli errori della spelonca platonica, dovuti alla soggettività particolare dell'uomo. Ogni uomo è fatto in modo tale che, oltre agli errori che commette in genere come uomo, ci sono quelli legati alla sua particolare individualità;
  • Idola fori, gli errori del foro, della piazza, delle «reciproche relazioni del genere umano» [15], del linguaggio, che è convenzionale ed equivoco.
  • Idola theatri, gli errori della finzione scenica che Bacone imputa alla filosofia che ha dato rappresentazioni non vere della realtà «favole recitate e rappresentate sulla scena» [15], come è accaduto con il sistema aristotelico che ha descritto un mondo fittizio non corrispondente alla realtà.

Renato Cartesio[modifica | modifica wikitesto]

Il criterio della verità della chiarezza e distinzione, dell'evidenza, garantito dal cogito ergo sum e dalla esistenza dimostrata razionalmente di un Dio perfetto, buono, quindi veridico [16] dovrebbe rendere, secondo Cartesio, impossibile l'errore.

Questo infatti, afferma Cartesio, non può mai derivare dal pensiero, ma dalla intrusione della volontà nel pensiero.

«L'errore per Cartesio dipende da due cause tra loro convergenti, dalla facultas cognoscendi e dalla facultas eligendi, cioè dall'intelletto e dalla volontà; più precisamente dal giudizio che asseconda l'esigenza della volontà di trascendere i limiti dell'intelletto.[17]»

Quando il pensiero è evidente, chiaro e distinto, è talmente vero che non può sbagliare; ma se c'è un errore, ciò dipende dalla volontà, un elemento estraneo al pensiero, che ci ha spinto a dare il nostro assenso ad un'idea che non era evidente ma confusa.[18]

Se quindi l'errore dipende dalla volontà, questo non vuol dire che l'errore sia volontario. Nessuno sbaglia volontariamente, ma la volontà ci spinge ad affermare per vero ciò che l'intelletto non concepisce ancora come evidente, come chiaro e distinto.

L'errore sarebbe un'ulteriore prova del fatto che l'uomo è dotato di libero arbitrio, della possibilità di scegliere cioè se debba o non debba dare il suo assenso alla volontà. L'uomo ha la libertà di sbagliare così come quella di non sbagliare.

Baruch Spinoza[modifica | modifica wikitesto]

Per Baruch Spinoza l'errore non esiste, poiché questo contraddirebbe l'identità della perfezione della Natura con Dio. L'errore è una semplice mancata conoscenza del vero, poiché «come la luce manifesta sé stessa e le tenebre, la verità è norma di sé e del falso».[19]

«l'errore non ha positività e il falso è definito come pura privazione del vero, cioè disconoscimento della genesi o causa dell'immagine e dell'idea immaginaria.[20]»

L'errore è quindi dovuto all'"immaginazione" (opinione) e all'ignoranza delle cause. Ad esempio:

«Gli uomini si sbagliano nel ritenersi liberi, e questa opinione consiste solo in questo che sono consapevoli delle loro azioni e ignari delle cause da cui sono determinati... così quando guardiamo il sole e ci immaginiamo che sia distante da noi circa duecento piedi, l'errore non consiste solo in questa immaginazione, ma nel fatto che mentre lo immaginiamo così ignoriamo la sua vera distanza nonché la causa di questa immaginazione.[21]»

Leibniz[modifica | modifica wikitesto]

Per Gottfried Wilhelm von Leibniz l'errore si riduce a un semplice calcolo errato. Infatti il pensare è simbolico e si riduce a una combinazione di segni: se il linguaggio simbolico è efficiente, noi potremo cogliere le relazioni tra le cose, poiché esiste un isomorfismo strutturale tra il pensiero e la realtà; e «questa proporzione o relazione è il fondamento della verità».[22]

Se si applicano corretti numeri alle parole, il ragionamento si ridurrà alle operazioni di somma, moltiplicazione e divisione, di modo che «tutte le relazioni tra i concetti, al pari dei numeri, sono certe e determinate».[23] La verità apparirà in conseguenza di « [...] una specie di calcolo allo stesso modo in cui si risolvono i problemi geometrici ed aritmetici».[24]

«Il ragionamento corretto equivarrà a un corretto calcolo (computatio) effettuato sui concetti, mentre l'errore non sarà altro che un calcolo sbagliato e come tale facilmente smascherabile.[25]»

Immanuel Kant[modifica | modifica wikitesto]

Secondo la tradizione classica, Immanuel Kant attribuisce l'errore alla sensibilità, che fa scambiare per vera l'apparenza della realtà trasmessa dai sensi; mentre l'errore formale deriva dalla ragione quando questa non si limita a dominare il terreno dell'esperienza, ma, generando errori ed illusioni, tende ad agire nell'orizzonte della metafisica:

«La ragione umana, anche senza il pungolo della semplice vanità dell'onniscienza, è perpetuamente sospinta da un proprio bisogno verso quei problemi che non possono in nessun modo esser risolti da un uso empirico della ragione... e così in tutti gli uomini una qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, appena che la ragione s'innalzi alla speculazione».[26]»

Si formano così quelle idee della ragione che pretendono di avere come contenuto la totalità dell'esperienza, mentre in effetti non sono che esigenze di universalità che possono essere soddisfatte solo nel campo della ragion pratica.[27]

Filosofia contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Nell'idealismo hegeliano l'errore si origina dall'azione di astrazione dell'intelletto che considera il falso, l'errore come separato dal vero ma la ragione interverrà reinserendo quel momento negativo nell'interezza sintetica del processo dialettico dove l'errore assolve la funzione di stimolo per la ricerca della verità.[28]

Dirà infatti Giovanni Gentile sulla linea di Hegel:

«L'errore come ogni disvalore è momento negativo dello Spirito e perciò è irreale. Esso è quel difetto di se medesimo che lo Spirito nota avanti a sé nell'atto di affermarsi e colmare quindi il difetto stesso... onde l'errore viene quasi ad essere la molla dell'affermazione... l'errore ci resta sempre alle spalle ...è un'astrazione e la sua realtà consiste in un momento dialettico della coscienza.[29]»

Una tesi questa contestata da Benedetto Croce che nota come per Hegel «la fenomenologia dell'errore assume le sembianze di una storia ideale della verità».[30] L'errore può essere giudicato inconsistente nella sfera teoretica perché «l'errore è momento della sintesi dialettica e fuori della sintesi è nulla» ma è concreto in quella pratica secondo quel "nesso dei distinti" che caratterizza la vita dello Spirito nei suoi gradi.[31] L'errore che ha esistenza non è errore perché non è negatività, ma qualcosa di positivo, un prodotto dello spirito che, essendo privo di verità, non fa parte dell'attività teoretica ma di quella pratica.[32]

Friedrich Nietzsche sostiene «la necessità dell'errore per lo stesso essere uomo dell'uomo (del resto la vita si fonda e si fortifica nell'errore) esso non è solo un mezzo di conservazione di una determinata forma della vita individuale e sociale ma è lo stesso modo di essere di una vita».[33]

L'oltreuomo, che vive al di là dei vincoli religiosi e metafisici che limitano l'uomo normale, costruisce liberamente la propria esistenza accettando il caos, creando la verità nella coscienza che implica anche l'errore.

Nella filosofia del '900 il problema dell'errore, inteso come impossibilità di raggiungere una conoscenza certa data la sua costante possibilità, si ritrova nell'ambito del pragmatismo di Benjamin Peirce che sostiene il cosiddetto fallibilismo, espresso anche nella teoria della "falsificabilità" di Karl Popper.[34] L'errore per quest'ultimo rappresenta il limite della scienza, ma si tratta di un limite costitutivo che consente di imparare da esso, attraverso la sua costante eliminazione resa possibile dal dibattito critico. Il progresso scientifico non consiste nell'accumulo di verità, ma nello scarto degli errori. Quanto più si sbaglia, tanto più si evolve la conoscenza, in maniera analoga all'evoluzione biologica.[35]

«Evitare errori è un ideale meschino. Se non osiamo affrontare problemi che sono così difficili da rendere l'errore quasi inevitabile, non vi sarà allora sviluppo della conoscenza. In effetti, è dalle nostre teorie più ardite, incluse quelle che sono erronee, che noi impariamo di più. Nessuno può evitare di fare errori; la cosa grande è imparare da essi.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Jules Lachelier in Didier Julia, Dizionario Larousse di filosofia, 2004, p. 82
  2. ^ N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet, 1968 alla voce corrispondente
  3. ^ Sapere.it alla voce corrispondente
  4. ^ Enciclopedia Garzanti di Filosofia alla voce corrispondente.
  5. ^ Massimo Donà, Filosofia dell'errore, Ed. Bompiani, 2012
  6. ^ Platone, Apologia di Socrate, in G. Cambiano (a cura di), Dialoghi filosofici di Platone, U.T.E.T., Torino, 1970, pp. 66-68
  7. ^ Platone, Gorgia, 457c-480c
  8. ^ Platone, Eutidemo, 280a-281e
  9. ^ Platone, Sofista, 237b-241b
  10. ^ Aristotele, Metafisica, IV
  11. ^ Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani, Atlante della filosofia, Hoepli ed., 2006, p.420
  12. ^ Agostino, De civitate Dei, XII, 7; De vera religione, 20
  13. ^ Luigi Ferri in Rivista italiana di filosofia, Volume 11, Tip. di G. Balbi, 1896, p.173
  14. ^ In Ausonio Franchi Letture su la storia della filosofia moderna: Bacone, Descartes, Spinoza, Malebranche, Volume 1, ed. Fratelli Ferrario, 1863, p.156
  15. ^ a b c F. Bacone, Novum Organum (in Ubaldo Nicola, Antologia di filosofia. Atlante illustrato del pensiero, Giunti Editore, p.215)
  16. ^ Francesco Tomatis, L'argomento ontologico: l'esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, Città Nuova, 1997, p.49
  17. ^ Introduzione a Renato Cartesio, Meditazioni metafisiche, Armando Editore, 2003, p.26
  18. ^ R. Cartesio, Principia philosophiae, I, 31-38
  19. ^ B. Spinoza, Etica, II, scolio 43
  20. ^ Marilena Chaui, Spinoza e la politica, Mimesis Edizioni, 2006, p.212
  21. ^ Baruch Spinoza, Etica, Armando Editore, 2008 p.107
  22. ^ G. W. Leibniz, Dialogus (1677) VII, pp. 190-193; Scritti di Logica, I, pp.108-107
  23. ^ G. W. Leibniz, Scritti di Logica, I p. 236
  24. ^ G. W. Leibniz, Op. cit., I, p.170
  25. ^ Marco de Paoli, Theoria Motus. Dalla storia della scienza alla scienza, ed. FrancoAngeli, 2010, p.187
  26. ^ Immanuel Kant, Critica della ragion pura, 1781
  27. ^ Kant, Critica della ragion pura, in Dialettica trascendentale, I, 102 - II, 288, Laterza, Bari 1977
  28. ^ G. W. Hegel, Die phanomenologie des geistes, p.40
  29. ^ G. Gentile, Il concetto della storia della filosofia in La riforma della dialettica hegeliana, Opere complete, Vol.XXVII, Le Lettere, Firenze, 1996, p.127
  30. ^ B. Croce, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel in Saggio sullo Hegel, Bari, 1913, p.71
  31. ^ B. Croce, Logica, III, 1
  32. ^ B. Croce, Ibidem, p.277
  33. ^ Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani, Op. cit., p.322
  34. ^ Enciclopedia Treccani alla voce "Fallibilismo"
  35. ^ Cfr. Dario Antiseri, Karl Popper: protagonista del secolo XX, p. 118, Rubbettino, 2002.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ernst Mach, Conoscenza ed errore (1905)
  • R. Catà & D. Forcellini, Scacco all'errore, Aiep (2023)

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