Utente:OppidumNissenae/Sandbox030

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Cannolo di Caltanissetta
Origini
Luogo d'origineBandiera dell'Italia Italia
RegioneSicilia
Dettagli
Categoriadolce
RiconoscimentoP.A.T.
Settorepaste fresche e prodotti della panetteria, biscotteria, pasticceria e confetteria
Ingredienti principali

Il cannolo di Caltanissetta è una variante del cannolo siciliano, nel 2022 è iniziato il percorso di riconoscimento come prodotto I.G.P..

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Milieu culturale del cannolo[modifica | modifica wikitesto]

Fallo con tempio, Pompei
Guerriero di Polizzello, figurina fittile di guerriero itifallico esposto al Museo regionale interdisciplinare di Caltanissetta

Il cannolo, la cui origine non è storicamente provata, può trovare un susbstrato culturale in aree geografiche (intese come contesto o milieu) che hanno conosciuto elementi di Simbolismo fallico. Esistono delle prove in tal senso, infatti, nell'area nissena di Polizzello la rappresentazione itifallica del Guerriero di Polizzello, fa pensare alla presenza in queste aree del culto del simulacro della mascolinità rappresentante la forza rigeneratrice della natura «che fa risorgere la natura e semina ovunque vita, verde, speranza, fiori e amori».[1]

«la nozione di milieu indica che questa ha perso le connotazioni esclusivamente naturalistiche per significare l’ambiente sociale, culturale ed economico, ossia il risultato storico dell’interazione degli esseri umani con la società e con il loro territorio, che determina una serie di competenze e di condizioni caratterizzanti l’unicità del luogo.»

È verosimile che il cannolo sia una rappresentazione simbolica di elementi antropomorfici, in particolare di elementi fallici (dal greco φαλλός (fallo), che originariamente non era inteso come un simbolo osceno, al contrario di oggi, quanto piuttosto la rappresentazione della mascolinità e forza. Scrive: Jacques Antoine Dulaure nel libro Des divinités génératrices: ou du culte du phallus:[3] «Il culto del simulacro della mascolinità si diffuse in gran parte del globo. Fiorì a lungo in Egitto, Siria, Persia, Asia Minore, Grecia, Italia, ecc. Era ed è tuttora in vigore in India e in alcune parti dell'Africa. Si è diffuso anche in America. Quando gli spagnoli fecero la scoperta di questa parte del mondo, trovarono questo culto stabilito tra i messicani. Ciò che vi sorprenderà di più, è stato conservato quasi fino ai nostri giorni tra i cristiani d'Europa. Nel Cinquecento esisteva in Francia e se ne trovano ancora oggi tracce in alcune parti d'Italia.» Il simulacro della mascolinità venne scelto nei popoli antichi «per rappresentare la forza rigeneratrice del sole in primavera e l’azione di questa forza su tutti gli esseri della natura».[1]

Successivamente nelle rappresentazioni zoomorfe e antropomorfe delle divinità, l’attributo fallico venne di fatto staccato dall’animale e attaccato a figure umane; il culto di Priapo e Pan ne sono un esempio insieme a quello di Dioniso ed Hermes rappresentati come divinità itifalliche. Le dimensioni del fallo, nelle rappresentazioni archeologiche, sono un espressione del fatto che il fallo non apparteneva alla figura umana a cui aderiva, infatti è rappresentato in modo mostruoso.[1]

Durante l'epoca romana il pene era simbolo di potere: nell'antica Roma, spesso le dimensioni e la forma del pene agevolavano la carriera militare. Proprio tra i Romani, inoltre, il pene fungeva da portafortuna. Il fascinum era un amuleto fallico contro il malocchio da appendere al polso. Di qui il gesto scaramantico di "toccarsi" (o di toccare il corno, a forma fallica) per attingere energia.

Tintinnabulum, Pompei; che mostra un fallo con ali, piedi e coda

Con il cattolicesimo il significato del fallo come rappresentazione simbolica subisce una metamorfosi, infatti, scrive sant'Agostino, nessun organo è più corrotto del pene. Così nel Rinascimento papa Pio IV fece coprire gli attributi maschili a eletti e dannati nella Cappella Sistina di Michelangelo.

Esempi di attuali simbolismi e rappresentazioni falliche sono:

  • Il Kanamara Matsuri e il Hōnen Matsuri in Giappone.
  • La città di Tyrnavos, (in greco: Τύρναβος) comune Greco situato nella periferia della Tessaglia nota per il lunedì pulito (bourani), festa pagana della fertilità di un giorno all'inizio della Quaresima, in cui si è soliti cibarsi di pane e bere da recipienti a forma di fallo.[4] È questa una festa dalle fortissime radici pagane che viene mal vista dalla chiesa greco-ortodossa.
  • Nella "Ecclesia Gnostica Catholica (E.G.C.)", braccio ecclesiastico dell'Ordo Templi Orientis dove si pratica il consumo e ingestione di sperma durante la messa gnostica.[5]
  • La Chiesa di San Priapo è una nuova religione nordamericana centrata sul culto del fallo.
  • Molti culti fallici sono sopravvissuti fino ad oggi, anche se mimetizzati sotto altre forme, come la Sagra dei gigli a Nola, la Corsa dei ceri a Gubbio e durante le feste di carnevale a Firenze (cfr. Vasco Pratolini in Cronache di poveri amanti).

Inoltre, è noto come la psicoanalisi lo ha posto al centro della vita mentale. Nel linguaggio l'organo sessuale maschile ha ben 1047 sinonimi (40 più della vulva), e ciò per esprimere i concetti più disparati, dalla forza (cazzuto), all'imbecillità (cazzone). Inoltre ancora, la rappresentazione di simboli fallici sotto forma di graffiti o disegni è frequentissima: quasi in ogni luogo in cui ci siano iscrizioni (ascensori, bagni pubblici, muri) è facile trovare immagini stilizzate di falli (detti ad esempio "paduli") a dimostrazione che la simbologia fallica sopravvive ancora, è diffusissima e fa parte dell'immaginario collettivo.

Cibo e simbolismo[modifica | modifica wikitesto]

Al cibo sono associati significati sociali capaci di mostrare il potere economico, la classe sociale e la differenza tra le genti.[6]

Le scelte alimentari, dipendono da interdizioni e da norme religiose, esse sono interpretate in senso simbolico/culturale perché i tabù sono parte della visione del mondo di ogni civiltà.

Leggiamo sulla Columbia Electronic Encyclopedia, che:[7] i riti di fertilità, le cerimonie magico-religiose servono per garantirsi l'abbondanza di cibo e la nascita di bambini. I riti, espressi attraverso danze, preghiere, incantesimi e drammi sacri, cercano di controllare forze altrimenti imprevedibili della natura. Nelle società agricole primitive i fenomeni naturali, come la pioggia, la fecondità della terra e la rigenerazione della natura erano spesso antropizzati.

Simbolismo fallico[modifica | modifica wikitesto]

Uno dei miti pagani più importanti era la ricerca della dea della terra per il suo figlio o amante perduto (o morto) (ad esempio, Iside e Osiride, Ishtar e Tammuz, Demetra e Persefone). Questo mito, che simboleggia la nascita, la morte e la ricomparsa della vegetazione, quando recitato in un dramma sacro, era il rito della fertilità per eccellenza. Altri riti riguardanti la produttività includono atti di magia simpatica, come accendere fuochi (che simboleggiano il sole) e spargere gli organi riproduttivi degli animali sui campi, esibizioni di simboli fallici e prostituzione rituale. In India una volta si credeva che un matrimonio fertile sarebbe risultato se le vergini fossero state prima deflorate per mezzo del lingam, un fallo di pietra che simboleggia il dio Shiva. Si credeva che i sacrifici sia degli umani che degli animali liberassero i poteri incarnati al loro interno e rendessero così produttivi i campi o le foreste dove erano avvenuti i sacrifici. Molti antichi riti di fertilità sono persistiti in forme modificate fino ai tempi moderni. La danza Maypole deriva dai rituali primaverili che glorificano il fallo.

Simbolismo religioso[modifica | modifica wikitesto]

«Le suore usano la cottura al forno come mezzo sovversivo che sfida l'ortodossia maschile. Attraverso questo processo di creazione intima, arrivano a sperimentare una conoscenza incarnata significativa e infine affermano la loro autodeterminazione.»

È noto come sin dall'inizio della sua produzione nei monasteri, la pasticceria si sviluppò non solo come sostentamento economico ma anche come modo per creare un linguaggio significativo al di là delle cosiddette attività intellettuali. La pasticceria delle suore è frutto una predisposizione alla cura e un impegno estetico quotidiano e rappresenterebbe un modo silenzioso di esprimere valori artistici e estetici.[9]

L'elemento psicologico che sottende implicitamente l'arte pasticciera nei conventi di suore è anche data dal fatto che le suore nella loro esperienza di solitudine e impossibilità di verbalizzare le relazioni, usano i pasticcini per comunicare emozioni come le dure verità, i pettegolezzi, argomenti troppo lascivi per essere verbalizzati. I nomi, le forme e i sapori complessi dei pasticcini riflettono un forte simbolismo. Sono in grado di comunicare il proibito: matrimoni mancati, confessioni indesiderate o desiderate, vita familiare odiata o pentita, risentimento o devozione.[9]

Nelle feste, la trasgressione sessuale è legata all'erotismo, il desiderio proibito che instaura un conflitto tra la donna/uomo e se stessa. Audre Lorde scrive che:«... la pasticceria diventa la loro modalità per sentire e comunicare pienamente questa forza erotica inespressa.»[10]

Le monache solo in epoca postunitaria fecero commercio della loro produzione, in precedenza i dolci conventuali erano solamente donati all'"esterno", riuscendo così attraverso il dono a creare un legame, creandolo, rafforzandolo e manipolandolo; ricordando che i dolci, a differenza delle preparazioni salate, sono sempre fatti per gli altri.[9]

Dolci sessualmente allusivi[modifica | modifica wikitesto]

Tra i cibi, abbiamo come scritto nel saggio "The Waning of Sexually Allusive Monastic Confectionery in Southern Italy",[11] un elenco di dolciumi sessualmente allusivi. Tra essi vi sono la categoria dei dolci dedicati al seno di vergine (in onore del martirio di sant'Agata) cui furono strappati i seni per ordine del proconsole romano Quinziano dopo che questi si era visto respingere dalla giovane vergine cristiana. Simbolicamente questi pasticcini raccontano una storia in cui erotismo e spudoratezza dei dolci si mescolano al misticismo di una martire.[9]

Questo dolce è conosciuto come e minni chini o minni di Sant'Agata,[12] Descritte queste da un etnologo siciliano come 'una specie di forma di seno ripiena di cassata con glassa di zucchero condita con una ciliegia', e la minnuzza di Sant'Agata di Catania, più piccola, che erano pasticcini a forma di seno di una ragazza immatura.[13].

Cava.gne; antichi contenitori per ricotta fatti con canne

Altra versione palermitana delle minni di Sant'Agato sono le minni di virgini che si presenta di dimensioni maggiori rispetto l'equivalente catanese.[14]

Esiste anche una terza versione della Minna di virgini essa è un dolce tradizionale di Sambuca di Sicilia, città siciliana in provincia di Agrigento, che si caratterizza per essere un dolce da forno costituito da pasta frolla contenente al suo interno crema di latte, zuccata, scaglie di cioccolato e cannella.[14][15]

Altro dolce allusivo con un evidente simbolismo fallico è il il biscotto di San Martino che in alcuni posti ha la forma di un piccolo cocomero.[14]

Il prucitanu è un dolce scomparso che ricorda la vulva femminile, veniva creato durante il periodo natalizio.[14] Viene ricordato dal Pitrè.[16]

Zuccarati biscotti a forma di grossi grissini o di ciambella, tipici della pasticceria Messinese, che vagamente ricordano la forma della vulva femminile.[14][17]

Feddi ru cancilleri un dolce di pasta frolla a base di crema e marmellata di albicocche incastrata tra due biscotti alle mandorle a forma di conchiglia che somiglia alla vulva femminile.[14][18][18][19]

Origine del cannolo[modifica | modifica wikitesto]

Monache benedettine preparano dolci a Caltanissetta

Non è possibile con i documenti fin qui noti stabilire il luogo di origine certo del cannolo. Quello che correttamente si può dire è che questo è il frutto di un milieu culturale su cui si inserisce la cultura antica del simbolismo fallico, proprio di territori della Sicilia. Il simbolismo fallico può successivamente tramutarsi in un cibo di tipo allusivo come altri esempi esistono in Sicilia; ed infine la presenza di conventi femminili dove la cultura dolciaria trova la sua espressione massima in Sicilia; cultura intesa non solo come rispetto della tradizione ma anche come ricerca e innovazione alimentare.

Caltanissetta per la sua strategica posizione geografica e per la storica funzione culturale rappresentata per secoli anche grazie alla presenza del vicere di Spagna della nobile famiglia dei Moncada. Famiglia che alla fine del XIII secolo grazie al fondatore Guglielmo Raimondo di Moncada dei Baroni di Aitona, giunse in Sicilia per la Guerra del Vespro, originando una importante e tra le maggiori case feudali dell'isola.

Inoltre, sempre a Caltanissetta fino al 1908 è esistita un'importante Chiesa e monastero di Santa Croce di monache benedettine, il monastero fu costruito nel 1531 per volontà del conte Antonio III Moncada. Le monache residenti notoriamente esercitavano l'arte bianca della pasticceria, come testimoniato da documenti d'archivio.[20] L'aspetto religioso e devozionale nella pasticceria è un elemento non secondario di accompagnamento alle feste secondo il calendario liturgico e agiografico; sappiamo, infatti, come nella pasticceria, le similitudini e le differenze si manifestano nella ricetta a seconda del periodo in cui il dolce viene preparato. In altri termini il dolce ha un ruolo di testimonianza etnoantropologica della storia delle genti e dei luoghi di produzione, così è certamente stato per la nascita del cannolo.[21]

La pasticceria siciliana è probabilmente la massima espressione di questa "forma d'arte", considerando anche che l'isola fu il primo produttore europeo di zucchero di canna. Pochi ingredienti base, alternati e accostati, coratterizzano la pasticceria siciliana. La ricchezza della produzione è verosimilmente dovuta alle diverse culture sovrapposte che la rendono particolarmente eterogenea.[9]

Nel 1810 Napoleone decretò la soppressione di tutte le istituzioni ecclesiastiche nel Regno d'Italia, ciò non toccò la Sicilia, poiché l'isola era sotto la dinastia dei Borbone. Questo fatto da un lato permise ai monasteri di sopravvivere molto più a lungo, ma, dall'altro, obbligava le monache per sopravvivere a mettere in vendita la pasticceria. Nel 1866 lo Stato unitario italiano incorporò definitivamente anche la Sicilia, sopravvissero solo pochi conventi e molte monache dovettero continuare la loro vita monastica fuori dai conventi, spesso come cuoche o confessori in abitazioni private. Ciò a prima vista contribuì alla diffusione delle ricette segrete dei conventi; ma più in generale ha portato all'idea di una produzione monastica siciliana, detti cosadùci, che è la base originaria della pasticceria italiana ed in definitiva Europea.[9]

La leggenda[modifica | modifica wikitesto]

Una leggenda narra che furono per prime le donne dell'harem del Castello delle donne del signore dell'allora Qalc'at al-Nissa (Caltanissetta) le inventrici del dolce. In questo luogo, secondo la tradizione tramandata fino a noi, gli emiri saraceni avrebbero tenuto i propri harem e qui le concubine lo avrebbero creato, forse come omaggio vagamente fallico ai propri uomini.[22] Queste donne è probabile si siano ispirate a un dolce di origine romana di cui avrebbe parlato Cicerone.[23]

Le donne di questo harem, durante le lunghe assenze dei propri consorti, per ingannare l'attesa, si dedicavano alla preparazione di cibi e dolci elaborati; queste, sempre secondo la tradizione tramandata, avrebbero dunque modificato un dolce arabo già esistente, fatto di ricotta, mandorle e miele, rielaborandolo con la ricetta romana citata da Cicerone e dando così vita a una specialità che sarebbe poi divenuta universalmente nota. Successivamente con la fine del dominio arabo in Sicilia gli harem scomparvero e non è da escludere che qualcuna delle favorite, convertita alla fede cristiana, si sia ritirata nei monasteri, portando con sé le ricette che avevano elaborato per le corti degli emiri.[24] Quindi secondo la tradizione fu proprio quella del cannolo siciliano una delle ricette tramandate dalle donne musulmane alle consorelle cristiane, che lo iniziarono a produrre inizialmente durante il periodo carnevalesco, per poi diventare di uso e produzione durante tutto l'anno.[25]

Origini romane[modifica | modifica wikitesto]

Certamente, e da tutti gli studiosi accettato, è il riferimento al nome del cannolo che è legato alle canne di fiume cui veniva arrotolata fino a pochi decenni fa la cialda durante la sua preparazione;[26] secondo una ipotesi il dolce fu inventato in tempi remoti per festeggiare il carnevale.[26] Secondo altre ipotesi il dolce ha origini romane o saracene; infatti, la prima descrizione nota risale al duca Alberto Denti di Pirajno che nel suo libro Siciliani a tavola scrive: "Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus".[27] Secondo il Pirajno la definizione è attribuibile a Cicerone (questore di Lilybeo, l'odierna Marsala, fra il 76 e il 75 a.C.); va però detto che questa interpretazione è contestata dalle studiose Giuseppina Donzelli e Anna Laura Bruni,[Nota 1] secondo le quali «questa definizione non è registrata nelle opere di Cicerone».

Successivamente nel Dizionario di Michele del Bono: Dizionario Siciliano-Italiano-Latino, Palermo 1751, si legge testualmente: «Cannola: capelli arricciati. ricci. cincinni [per pasta dilicatissima lavorata a foggia di cannello, pieni di bianco mangiare. Tubus farinarius dulcissimo edulio ex lacte fartus]», si nota chiaramente come il lemma in siciliano corrisponde alla definizione in lingua italiana e quindi in lingua latina.

Va detto, però, che la studiosa Maria Amato Campanile al contrario sostiene che: la frase di Cicerone è riportata in una lettera della raccolta delle cinquecentine in caratteri aldini della "Biblioteche Riunite Civiche e A" Castello Ursino Recupero.[Nota 2]

Inoltre Pino Correnti, nel suo Libro d'oro della cucina e dei vini della Sicilia[28] riportando la frase latina sopracitata dal De Bono, suggerirebbe solamente il fatto che la definizione è stata diffusa per secoli in una descrizione del cannolo in lingua latina. Egli sostiene, inoltre, che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un'antica ricetta romana poi elaborata dagli Arabi.[29][25] Secondo una diffusa tradizione esso deve il proprio nome a uno scherzo carnevalesco che consisteva nel far fuoriuscire dal cannolo la crema di ricotta al posto dell'acqua, cannolo è un termine dialettale che indica una sorta di rubinetto.[25] Il dolce nato a Caltanissetta, deve comunque gran parte della sua notorietà e diffusione planetaria ai pasticceri siciliani, che hanno contribuito a stabilizzarne la ricetta, pur con piccole varianti locali così come la conosciamo oggi. [30]

Cannolo siciliano con ciliegia e pistacchio

Origini arabe[modifica | modifica wikitesto]

Secondo Malzone, nella Sicilia precristiana esisteva una versione più semplice dei cannoli, di probabile origine romana. Questi erano il prototipo dei Cannoli di oggi.[31] Successivamente furono gli arabi ad aggiungere lo zucchero, che loro avevano per primi importato in Sicilia, i canditi, i pistacchi e la cannella.[32]

L'invasione Normanna della Sicilia è del 1091 dC l'influenza araba, però, durò ancora per altri centocinquanta anni almeno. Il dominio normanno si caratterizzava per la tolleranza e le influenze arabe continuarono nella corte normanna, tanto che si creò una cultura normanno-araba. Il primo re normanno di Sicilia, Ruggero I di Sicilia (morto nel 1101) mantenne il sistema di amministrazione governativa musulmana, tant'è che molti funzionari amministrativi erano musulmani e così anche nel suo esercito.[31]

I Normanni hanno persino prodotto i documenti ufficiali in tre lingue: latino, greco e arabo. Anche Ruggero II (1095 - 1154), continuò la tradizione di suo padre di assimilare la cultura araba. Egli indossava abiti ricamati con calligrafia araba e costruì una cappella, il cui soffitto era ricoperto da dipinti di influenza fatimide e iscrizioni arabe cufiche. Anche lui mantenne funzionari arabi nel suo governo e ne sostenne leattività accademiche, come quelle del famoso geografo arabo Al-Idrisi.[31]

Fu sotto il suo governo che la più alta carica nel regno era quella di ammiratus ammiratorum, dall'arabo amir al-umara'. Lo stesso Federico II di Sicilia (1194 - 1250) era, oltre un secolo dopo la fine del dominio arabo in Sicilia, esperto in arabo. Egli mantenne un interesse per il mondo islamico con relazioni commerciali e politiche. I primi sovrani normanni della Sicilia incarnavano il legame tra oriente e occidente.[31]

È per questo che la cultura araba ed in particolare la cucina araba ha lasciato un segno indelebile nella cucina dell'isola. Ed è proprio dalla Sicilia che la cultura araba, soprattutto nel cibo, si è diffusa poi in Italia e nel mondo. Ciò ha permesso all'Italia di assorbire parte della tecnologia agricola e dei prodotti alimentari introdotti dagli arabi come l'uso dello zucchero e dei suoi sottoprodotti commestibili.[31] Lo zucchero estratto dalla canna da zucchero è una pianta originaria della Nuova Guinea, introdotta in Europa dagli Arabi, prima in Spagna (700 d.C.)[33] e poi in Sicilia (900 d.C.)[34]; successivamente i Conquistadores spagnoli la diffusero in tutte le Indie occidentali dopo la scoperta delle Americhe. Solo alcune zone della Sicilia sono favorevoli ad una modesta coltivazione di questa pianta. Infatti, il clima preferito dalla canna da zucchero è quello caldo-umido e perciò viene coltivata soprattutto nei caldi paesi tropicali, dove vi è anche una notevole abbondanza di piogge e una temperatura non inferiore ai 20°, in quanto al terreno, questo deve essere di natura argilloso-silicea.

Circa il luogo di origine del cannolo possiamo dire che i cannoli o "pipe", fanno parte della cucina araba moderna (vedi i Muhajirin arabi), essi sono dischi di pastella croccante fritti (detti in siciliano scorcia) arrotolati su tubi di metallo, una volta venivano arrotolati sulla canna (da cui il nome); quindi fritti nello strutto, lo strutto andrebbe preferito ad altri grassi di frittura. Lo strutto o saimi (dalla parola spagnola saim) in campo alimentare fu introdotto dagli spagnoli durante la loro dominazione in Sicilia. Una volta fritti le bucce di cannolo o scorcie sono colorati di un tipico colore marrone dorato e sono estremamente croccanti. I cannoli, dolci ambasciatori della Sicilia culinaria, sono tipicamente farciti con crema di ricotta di pecora, o misto pecora-capra o ricotta di mucca nel ragusano, con zucchero e pistacchi; vengono decorate con scaglie o pezzetti di cioccolato, o anche frutta secca macinata o canditi. Infine sono presentati con una spolverata di zucchero a velo.

Il luogo di origine del cannolo, secondo una leggenda popolare siciliana fa nascere i suoi famosi cannoli, sinonimo di dolci siciliani, dalle mani e inventiva delle donne di un harem di Caltanissetta; città che trasse il suo nome dall'arabo qal'at al-nisa' che significa "città delle donne".[35]

Quanto all'origine del vocabolo cannolo/i, il termine spagnolo caño (tubi, tubi) e caña (canna, cioè tubo) derivano dall'arabo qanaah (condotto per l'acqua, canale; pipe). Vi è quindi la forte possibilità che la parola siciliana cannoli possa avere le sue radici anche nell'arabo. In dialetto siciliano, la ricotta si chiama zammatàru, che significa 'produttore di latte'. Il termine siciliano deriva dall'arabo za'ama, che significa 'mucca', ad indicare che la ricotta ebbe le sue origini al tempo degli arabi in Sicilia.[35]

La prima descrizione della produzione di questo formaggio è un'illustrazione del XIV secolo nel testo medico Tacuinum Sanitatis in Medicina[36],che è una traduzione latina del medico di Baghdadi Ibn Butlan (morto intorno al 1063) del Taqwim al-Sihha (L'almanacco della salute), un manuale di igiene e dietetica.[37][31]

Esistono inoltre, dei dolci arabi: Halaqim e Qananit del tutto simili al cannolo siciliano, differiscono da questo solo per le dimensioni; essi sono stati creati da emigranti arabi in America rispondendo alla nuova esigenza di semplificare la creazione di questo tipo di dolce, eliminando il ripieno a base di noci con la ricotta fatta in casa.[31]

Altre ricette[modifica | modifica wikitesto]

Altre ricette di un comune milieu culturale con il cannolo siciliano, su cui si inserisce la cultura antica del simbolismo fallico, sono di seguito indicate.

Ricette bagdadite[modifica | modifica wikitesto]

A Baghdad nel 1226 è nato il lokma, descritto nel XIII secolo da al-Baghdadi come luqmat al-qādi (لقمة القاضي), "bocconcini del giudice".[38][39] Esso è una frittella dolce fatta con la più fine farina di frumento disponibile, ricca di amido, povera di glutine e priva di crusca; fritta in olio di sesamo che conferisce una doratura e un sapore che ricorda la nocciola.[40] Nel libro: The Description of Familiar Foods, la cui copia più antica sopravvissuta fu scritta al Cairo nel 1373, vi è descritta la ricetta. Questo testo contiene la maggior parte delle 100 o giù di lì ricette del precedente libro di Baghdad, insieme a oltre 300 ricette raccolte da varie altre fonti, per lo più sconosciute oggi. Dall'originale Luqam al-qādī, in una ricetta popolare, si è evoluto il: zulÿbiyÿ, che consiste in una pastella più lievitata dell'originale con la presenza dello zafferano o con la feccia di vino per colorarlo. Questa pastella veniva fritta in forma di singole polpettine.[41] Dalla pasta originale del zulÿbiyÿ è derivata la frittela mushabbak o shabbakiyya che viene fritta ed è costituita da una specie di canesto di fili intrecciati. Da queste forme sono derivate innumerevoli altri tipi di dolci tradizionali.[41] La caratteristica comune di questi tipi di frittelle che se sono cotte a regola d'arte esse dovrebbero risultare friabili e asciutti al morso, sbriciolarsi e sfaldarsi in bocca.[41] Cosa che accade anche per la cialda del cannolo siciliano.

Dal Luqam al-qādī ha avuto origine l'odierna cialda del cono dei gelati e probabilmente la cialda arrotolata dei cannoli.

L'originale luqmat al qÿdÿ, da non confondere con il lokum (turco: لوقوم) fatto con una pastella più densa, nei paesi medio-orientali si è evoluto oggi in tipi di frittelle ancora più stravaganti, ripiene di mandorle tritate, spezie orientali e altri ingredienti.[41]

Esiste, infatti, con una pasta simile a forma simile al cannolo un dolce chiamato: Asabe zainab, che si traduce in "dita di Zainab", questo è un dolce tradizionale mediorientale, croccante all'esterno e morbido all'interno. In genere viene servito durante il mese sacro del Ramadan.[42]

Ricette spagnole e nordafricane[modifica | modifica wikitesto]

In Marocco e nel sud della Spagna, un anonimo libro di cucina del XIII secolo della dinastia almohade includeva alcune versioni di qÿhirriya, l'elegante frittella ad anelli di zucchero e mandorle menzionata sopra nel libro di cucina del Cairo del 1373, la pastella veniva fatta colare da fori nell'olio caldo facendo ruotare nello stesso la pastella in via di solidificazione; una volta sgocciolata veniva condita con nel miele speziato a volte glassata con miele e mandorle.[41]

Ricette indiane[modifica | modifica wikitesto]

Dallo jalebÿ deriva uno dei cibi raffinati e festosi che i musulmani portarono in India dopo l'anno 1000, il nome traslitterato come jilÿbi o jelaubee (angloindiano) deriva una parola generica per “sciroppo”. Questa etimologia ha senso perché le jalebÿs sono finite e derivano tutta la loro dolcezza da un bagno di sciroppo a base di zucchero di canna e acqua di rose. Il questa frittella esiste anche nel subcontinente indiano e arriva fino all'Afghanistan e fino all'Indonesia, regioni che storicamente hanno subito forti influenze musulmane.[41]

Ricette greche[modifica | modifica wikitesto]

I loukoumathes greci e/o i luqmat al-qÿdÿ ("boccone del giudice") egiziani e/o i lokma turchi, sono pasticcini fatti di pastella lievitata e fritta nell'olio e glassati nello sciroppo, grandi come una pallina da ping pong, queste sono una delle forme derivate del luqmat arabo;[41] in Sicilia sono equivalenti alle sfinci carevalesche.

Altri esempi di dolci con questo tipo di pastella sono i dolci siriani e libanesi.[41]

Poco più di un secolo fa, quando si è notato che le cialde coniche zalÿbiyya cucinate dai siriani erano ideali per contenere il gelato facendo così nascere il cono gelato, durante alla Louisiana Purchasing Exposition, una fiera mondiale tenutasi nel 1904 a St. Louis.[43]

Caratteristiche del cannolo di Caltanissetta[modifica | modifica wikitesto]

Il cannolo di Caltanissetta è un cannolo di circa 11 o 12 cm di lunghezza, realizzato con farina di Maiorcone un grano antico siciliano, farcito con ricotta di pecora o misto pecora-capra.[44]

Guinness World Record[modifica | modifica wikitesto]

In data 22 gennaio 2024 il Guinness World Record con 21,43 m (70 ft 3 in) ha riconosciuto il record del mondo del cannolo più lungo, convalidanto il tentativo ri record effettuato a Caltanissetta l'11 settembre del 2022.[45] Questo record, dopo un lungo iter valutativo da parte dell'organisìzzazione londinese (Guinness World Records Ltd), ha certificato le caratteristiche del cannolo di Caltanissetta consistenti nell'uso esclusivo di ricotta di pecora o pecora-capra, e nell'uso della farina di grano maiorcone,[46] una varietà di grano tenero tipico dell'entroterra siciliano.[47] A questo record almeno 80 persone, compresi i pasticceri, sono state coinvolte nella produzione dei cannoli; i pasticcieri erano coordinati da un maestro pasticciere di Caltanissetta che ha utilizzato per l'intero cannolo oltre 400 kg di ricotta; inoltre, l'intero processo di cottura in cucina per la preparazione della cialda è durato 12 ore.[45][46]

Il 20 aprile 2024 è stato presentato il riconoscimento ottenuto in occasione di un incontro organizzato dal Comune di Caltanissetta insieme a Slow food.[48]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Studiosi della Società Nissena di Storia Patria, in una comunicazione orale in occasione di un incontro culturale della società a Caltanissetta
  2. ^ Studiosi della Società Nissena di Storia Patria, in una comunicazione orale in occasione di un incontro culturale della società a Caltanissetta
  1. ^ a b c Com'è nato il culto del fallo, su ilpost.it, 13 settembre 2022.
  2. ^ milieu in "Lessico del XXI Secolo", su treccani.it.
  3. ^ (FR) Origine du Phallus et de son culte, su fr.wikisource.org, 26 giugno 2006.
  4. ^ Members Only: The Annual Phallus Festival in Greece, su spiegel.de, 3 giugno 2008.
  5. ^ Eugene V. Gallagher, Introduction to new and alternative religions in America, Greenwood Press, 2006, ISBN 978-0-313-05078-7.
  6. ^ Esther Muñoz González, Food Symbolism and Traumatic Confinement in "We Have Always Lived in the Castle", in Complutense Journal of English Studies, vol. 26, Universidad Complutense de Madrid (UCM), 13 novembre 2018, pp. 79–93, DOI:10.5209/cjes.56359.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

*https://www.newsby.it/lifestyle/foodwine/origini-erotiche-del-cannolo-siciliano/ *https://www.repubblica.it/scienze/2019/12/29/news/il_cannolo_resta_croccante_cnr-244584703/ {{Caltanissetta}} {{Portale|cucina|Sicilia}} [[Categoria:Caltanissetta]] [[Categoria:Dolci nisseni]]