Utente:Martinvs da Rimini/Sandbox

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Chiesa di San Bartolomeo
Facciata
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneEmilia-Romagna
LocalitàRimini
ReligioneCattolica
TitolareSanti Bartolomeo e Marino
Ordineclarisse damianite (1258-1464)
canonici lateranensi (1464-1797)
DiocesiDiocesi di Rimini

La chiesa dei santi Bartolomeo e Marino, comunemente detta di santa Rita è una chiesa cattolica di Rimini. Sebbene menzionata già nel 1136[1], la chiesa attuale conserva le dimensioni e parte della facciata e delle strutture murarie del successivo edificio duecentesco[2][3] con i rifacimenti eseguiti tra la seconda metà del Quattrocento e la fine del Cinquecento[3]. Il complesso monastico che era annesso alla chiesa fu completamente distrutto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale[4].

Intitolazioni[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa fu intitolata dalla fondazione al solo san Marino, e tale titolo rimase fino all'Ottocento. Nel 1797, a seguito delle soppressioni liturgiche la chiesa e il monastero rischiarono la demolizione, destino a cui effettivamente andarono incontro numerosi altri edifici religiosi della città. Il complesso ricadeva però nei territori della parrocchia riminese dei Santi Bartolomeo e Genesio, all'epoca la più vasta delle città, la cui chiesa era piccola e in precarie condizioni[5]. Nel giugno 1805 il titolo di parrocchia fu quindi trasferita alla chiesa di san Marino, salvandola dalla demolizione, che venne rinominata dei santi Bartolomeo e Marino, abbandonando quindi l'intitolazione a san Genesio[5]. Inizialmente rimase comunque popolarmente nota come chiesa di san Marino[6].

La devozione a Santa Rita[modifica | modifica wikitesto]

Fu nel 1925 che la signora Clotilde Leardini, cugina e perpetua dell'allora parroco don Mariano Galavotti, introdusse nella chiesa dei santi Bartolomeo e Marino la devozione verso santa Rita, nella forma di una modesta statua di cartapesta, nonostante le iniziali resistenze e perplessità dello stesso parroco[7]. Si trattava infatti di una devozione "nuova", in quanto la santa Rita era stata canonizzata solo qualche decennio prima, nel 1900. Tale devozione ebbe subito grande successo tra i fedeli della città, tanto da far presto dimenticare la vera intitolazione della chiesa, che divenne popolarmente nota come chiesa di santa Rita[7].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La prima comunità monastica femminile[modifica | modifica wikitesto]

La zona dove sorge la chiesa, che in epoca romana sebbene periferica era comunque sede di diverse attività[Nota 1], durante l'alto medioevo, nonostante fosse all'interno delle mura cittadine, a causa della retractio urbis rimase spopolata. Fu solo dopo il X secolo che in quella zona iniziarono a stabilirsi mendicanti e altre persone appartenenti ai ceti più umili che vivevano in baracche[1], a formare quello che in seguito sarà noto come Rione pataro. Fu in questa situazione che in detta zona si stabilirono prime comunità femminili, spesso prive di una vera e propria regola[Nota 2]. In questa zona sorse il monastero di san Marino, secondo una leggenda eretto su un'antica cappella della fine del V secolo dedicata al santo[8]. Nominato per la prima volta in un documento del 1136, il complesso era sicuramente più antico e databile probabilmente al X-XI secolo, periodo in cui la leggenda della vita di san Marino trovò una formulazione stabile e finale[1]. Il monastero di san Marino era gestito dalle monache cosiddette de Abatissis[1][9], benedettine seguenti la regola di San Damiano[10]. Si trattava di monache mendicanti che vivevano di elemosina e coltivando l'orto del monastero[1]. Nel 1258 con bolla di papa Alessandro IV alle monache de Abatissis furono unite le monache di Mirasole[Nota 3], abbracciando l'Ordine di Santa Chiara e divenendo clarisse damianite[1]. Nello stesso anno fu eseguita un'altra bolla di Innocenzo IV, riguardante il Rione pataro i cui abitanti, che come detto appartenevano agli strati più umili della popolazione, erano stati accusati di eresia. Le abitazioni furono bruciate e l'intero rione interdetto e maledetto[11]. Il monastero e la sua comunità si ritrovarono così in una situazione di sostanziale isolamento che perdurò per diversi secoli[Nota 4][11].

L'arrivo dei Canonici Lateranensi e la disputa con le Clarisse[modifica | modifica wikitesto]

I Canonici Lateranensi arrivarono nel territorio di Rimini nella prima metà del 1422[12], quando furono chiamati da Ravenna per prendere in gestione l'Ospedale di San Lazzaro al Terzo[13], situato tre miglia fuori Rimini lungo la via Flaminia. I Lateranensi si dimostrarono presto interessati ad avere una propria sede anche all'interno delle mura cittadine, e con questo scopo cercarono l'appoggio di Sigismondo Pandolfo Malatesta, allora signore di Rimini. Fu probabilmente su pressione dello stesso Sigismondo Malatesta che nel 1443 Papa Eugenio IV inviò una prima bolla di soppressione alle Clarisse di san Marino in Rimini, comunicando loro il passaggio del monastero ai Canonici Lateranensi. La Clarisse decisero di non andarsene e i Canonici Lateranensi si stabilirono temporaneamente al vicino monastero di Santa Maria degli Angeli, detto della Colonnellina[Nota 5]. Un ulteriore bolla dello stesso tenore, emanata da papa Nicolò V[Nota 6], non ebbe egualmente esito. I Lateranensi dovettero aspettare il 1464 quando una terza bolla papale, emanata da papa Paolo II, portò all'effettivo allontanamento della Clarisse di san Marino, il cui ordine fu soppresso. Al momento della soppressione nel monastero erano rimaste sole 5 monache, così riportate dal Clementini: "Suor Isabetta Abbatessa, Suor Andriola, Suor Gio. (sic) e Suor Chiara Riminese, e Suor Lucrezia da Lonzano". Quattro di loro furono trasferite nel monastero di Santa Maria in Bagno, gestito dalle Clarisse, mentre Suor Chiara fu spostata in un altro monastero del medesimo ordine[14].

I primi lavori di ammodernamento[modifica | modifica wikitesto]

«[Il priore] Don Eusebio da Milano, il quale fabricò alla gagliarda come poi altri ad imitazione sua, riducendo la Chiesa, e Convento nella forma nobile, che si vede, e con isquisita polizia tenuto, e ufficiato»

Il complesso conventuale di Santa Maria in Porto a Ravenna fu costruito negli stessi anni in cui fu ristrutturato quello di Santa Rita, dalla stessa committenza e da maestranze della stessa provenienza geografica. Gli elementi decorativi rimasti del distrutto convento riminese suggeriscono una possibile, elevata somiglianza col convento ravennate

Trovato il complesso conventuale in uno stato di notevole degrado, i Lateranensi iniziarono presto dei lavori di ammodernamento e ingrandimento sul convento e sulla chiesa annessa[16]. I lavori interessarono praticamente ogni parte dell'complesso di edifici; dal chiostro ai dormitori, dal tetto alle scale e fino alle cantine. Furono inoltre costruite nuove ali che andarono ad occupare parte degli antichi orti[16]. Secondo lo storico dell'ordine Gabriele Pennotto[Nota 7], il convento che ora poteva accogliere 18 canonici e il noviziato era diventato uno dei più eleganti e importanti della regione[16]. I lavori si protrassero dalla fine del Quattrocento fino almeno al terzo decennio del Cinquecento[Nota 8]. Le distruzioni causate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che hanno completamento distrutto il convento permettendo il recupero solo di qualche frammento lapideo, e la mancanza di documenti in merito, impediscono di stabilire se tali lavori seguivano un disegno unitario o se furono eseguiti "alla bisogna", restaurando o ampliando di volta in volta i vari ambienti del convento[4]. L'analisi dei già citati resti lapidei, assieme al fatto che dai documenti è noto che muratori e scalpellini che lavorarono al cantiere erano in gran parte di estrazione lombarda, suggeriscono che il convento riminese potesse avere un aspetto simile al convento di Santa Maria in Porto a Ravenna, anch'esso di proprietà dei Lateranensi e costruito negli stessi anni e sempre da maestranze lombarde[4]. La chiesa annessa al convento fu anch'essa oggetto di lavori di ammodernamento che però non alterarono ne le dimensioni ne l'impianto complessivo. I lavori in muratura si limitarono all'ingrandimento dell'abside, operazione che comportò la demolizione delle cappelle trecentesche, che si presentava ora poligonale con catino sferico[3]. I Lateranensi costruirono anche il campanile, i cui lavori verosimilmente terminarono entro il primo decennio del Cinquecento, vista la presenza di una campana, che come da iscrizioni e firma sulla stessa fu fusa nel 1509 per la chiesa del convento dal noto Bernardino da Rimini[3][Nota 9].

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa francescana[modifica | modifica wikitesto]

Della prima e più antica chiesa non è rimasta alcuna traccia identificabile. Invece molto è rimasto della successiva chiesa francescana, risalente alla metà del XIII secolo[2]. Tutti i lavori susseguitesi nei secoli infatti non andarono a mutare l'impianto e la grandezza della chiesa, che rimase un edificio semplice a pianta rettangolare e navata unica con tetto a capanna. Gli ampi finestroni medievali sono ancora visibili, sebbene tamponati. L'edificio seguiva lo schema classico delle chiese degli ordini mendicanti del periodo, e presentava un'abside affiancato da due cappelle[2]. Se dell'abside originale non rimane nulla, sono sopravvissuti invece parte dei muri esterni delle cappelle laterali. Su uno di queste sono conservati alcuni lacerti di affresco, quasi illeggibili, unico elemento rimasto delle decorazioni Trecentesche[2].

La chiesa rinascimentale[modifica | modifica wikitesto]

L'Annunziata, affresco staccato, inizio XVI secolo, Museo della città di Rimini, già in una delle cappelle laterali in Santa Rita

Dell'impianto decorativo della chiesa rinascimentale, ossia come essa appariva dopo i primi grandi lavori ad opera dei Lateranensi, è rimasta solo qualche traccia, insufficiente a comprendere il senso generale dell'opera[3]. I lavori effettuati dagli stessi canonici alla fine del Cinquecento hanno infatti cancellato o nascosto la quasi totalità delle pitture effettuate a cavallo tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento[3]. Degli elementi decorativi sopravvissuti, i principali emersero sotto le ridipinture successive a seguito del terremoto del 1916 e dei conseguenti restauri. In una delle cappelle laterali fu trovato un affresco rappresentante una Annunziata ora conservato al Museo della città di Rimini. Nella parte alta della navata, tra il soffitto Cinquecentesco e le capriate del tetto, fu rinvenuto un fregio con grottesche e finti oculi contenenti busti di santi[17]. Di questo fregio si riuscirono a recuperare nel post terremoto due interi oculi, contenenti il busto di due pontefici, e due teste di santi, che furono spostati anch'essi nel Museo. I due oculi andarono perduti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Un terzo oculo, contenente anch'esso il busto di un pontefice, è rimasto in loco, nascosto al di sopra del soffitto Cinquecentesco[17]. La composizione e la cromia mostrano legami coi pittori di area bolognese e ferrarese del periodo, ciò non è comunque sufficiente ad avanzare alcuna ipotesi sugli autori degli affreschi[17]. Comunque, è il noto il nome di due pittori in quel momento al lavoro nell'ambito del monastero, Giovanni di Matteo degli Uberti[Nota 10] e Ugolino Ramenghi di Bagnacavallo[17]. Altri frammenti di fregi non figurativi, rappresentanti festoni, lesene ed altri elementi, sono stati rinvenuti nella zona absidale e non sono visibili. Quelli della parte inferiore sono nascosti dal coro ligneo, mentre quelli nella parte superiore sono coperti dalle grandi tele del Picchi. Si tratta di decorazioni che per stile sembrano più tarde rispetto alle precedenti[17].

La chiesa manierista[modifica | modifica wikitesto]

Singole opere[modifica | modifica wikitesto]

Il coro ligneo[modifica | modifica wikitesto]

Il coro ligneo intarsiato viene attribuito a una bottega di intarsiatori di Lendinara, forse i Canozi[18][Nota 11]. Durante i restauri degli anni settanta sono emerse due date, 1494 e 1496, sebbene un'analisi stilistica indica che almeno una parte del coro sarebbe antecedente di qualche decennio, probabilmente agli anni sessanta del Quattrocento, data compatibile con la presa di possesso del convento da parte dei Lateranensi e il conseguente avvio dei lavori di restauro[18]. Il coro ha una struttura asimmetrica, presenta infatti undici scranni a destra, dieci a sinistra e uno centrale[18], quest'ultimo di realizzazione posteriore rispetto a tutto il complesso del coro[19]. Le decorazioni, disposte su due livelli, ritraggono principalmente scene urbane e nature morte, temi cari agli intarsiatori di Lendinara[18]. Sebbene vi siano alcuni cori paragonabili per stile a quello di Santa Rita, eventuali attribuzioni sono complicate da una presunta differenza di stile tra i pannelli, differenza che sembra avvalorare l'ipotesi di un esecuzione in due tempi. Le illustrazioni del livello superiore e parte di quello inferiore presenterebbero uno stile più antico, con le scene architettoniche che ricordano quelle del coro del Duomo di Modena, opera dei fratelli Canozi, e al contempo recepiscono le idee spaziali del De pictura di Leon Battista Alberti (1435)[18]. Le nature morte della parte antica si rifanno invece al De prospectiva pingendi di Piero della Francesca[18]. Nove pannelli del lato inferiore, caratterizzati da una maggiore attenzione al particolare, secondo Catarina Schmidt Arcangeli sono probabilmente stati realizzati durante una seconda fase di lavoro, conclusasi nel 1494[18]. Secondo Pier Giorgio Pasini la differenza di stile non è tale da suggerire una datazione posteriore[20], e ipotizzando come possibile autore degli intarsi o Cristoforo Canozzi o Pier Antonio degli Abbati[21] Il coro mostra vari segni a suggerire smontaggi, rimontaggi e maneggiamenti vari nel corso del tempo[19]. Sicuramente non era nella posizione odierna, in quanto prima del Concilio di Trento i cori erano posizionato davanti all'altare, e fu spostato dietro di esso solo alla fine del XVI secolo come adeguamento alle disposizioni della Controriforma[18][Nota 12] e in concomitanza con i nuovi lavori effettuati dai Lateranensi[19]. Rimane aperta la questione se il coro fosse stato realizzato originariamente per la chiesa di San Marino o se spostato in essa in tempi successivi. A causa della tipologia del coro, Pier Giorgio Pasini ipotizza esso possa essere stato commissionato per gli Olivetani dell'Abbazia di Scolca e donato o venduto ai Lateranensi durante i lavori del 1548[19]. Catarina Schmidt Arcangeli, a causa dei legami stilistici con Leon Battista Alberti e Piero della Francesca, alla metà del Quattrocento impegnati nei lavori del Tempio Malatestiano, ipotizza una committenza Malatestiana direttamente per il convento di San Marino, che è sempre stato oggetto di donazioni da parte della famiglia Malatesta fin dai tempi di Pandolfo III[18]. Il coro fu oggetto di un intervento di restauro nel 1921, parte dei lavori post terremoto del 1916, volto soprattutto a fare una ricognizione degli affreschi absidali coperti dal coro stesso[21]. Il restauro del 1973, durante il quale sono emerse le date 1494 e 1496, ha invece portato alla luce il reale valore artistico del coro[22]. Durante i quali sono stati eliminati gli inginocchiatoi Ottocenteschi[23], essendo gli originali probabilmente perduti in qualche terremoto precedente che fece crollare sulla zona del presbiterio la volta sovrastante[21].

Il crocifisso Quattrocentesco[modifica | modifica wikitesto]


Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Oltre alla vicinanza con l'anfiteatro vi erano edifici sia pubblici che privati nonché, forse, attività produttive (Pasini 2009, p.11)
  2. ^ Tra queste si possono menzionare donne seguaci della beata Chiara da Rimini (beghine, ossia pie donne non seguenti una regola precisa), monache greche in esilio da Bisanzio (cistercensi) e monache di Sant'Eufemia (servite); si veda Pasini 2009, p. 11
  3. ^ Nel 1253 il riminese Benno Giudice chiese ed ottenne dall'allora vescovo di Rimini Giacomo la costruzione di un monastero per pie donne "in loco cu dicitur Mirasole" (Tonini 1862 Vol. III, p. 334). La nuova comunità fu poi approvata con bolla di papa Innocenzo IV nel 1254 (Clementini 1617, p. 467)
  4. ^
  5. ^ Tale monastero detto della Colonnellina, situato anch'esso nel Rione pataro e citato per la prima volta nel 1396, non va confuso col monastero della Colonnella, di cui oggi rimane la sola chiesa e che era situato sulla via Flaminia. Approfondimenti sul monastero della Colonellina si possono trovare in: 26 ottobre 1361 – Prima notizia sulla Colonnellina, dove stavano le suore degli Angeli, su chiamamicitta.it.
  6. ^ Pasini riporta come data della bolla di Nicolò V il 1450 (vedi Pasini 2009, p. XX), mentre il Clementini riporta il 1453 (vedi Clementini 1627, p. 455)
  7. ^ Indicato anche come Gabriel Penottus (1574-1639), autore della pubblicazione in tre volumi Generalis totius Sacri Ordinis Clericorum Canonicorum historia tripartita (nota anche come Historia tripartita)
  8. ^ Indicativo in tal senso un cippo in pietra, facente parte del convento e sopravvissuto ai bombardamenti, che reca la data 1531 (vedi Pasini 2009, p. 19
  9. ^ Bernardino da Rimini fu un celebre fonditore di campane, autore anche della campana Loreta del Campanile Vanvitelliano della Basilica della Santa Casa di Loreto. Si veda Bernardino da Rimini, su campanologia.org.
  10. ^ Documentato a Rimini dal 1479 alla morte, nel 1522 (Pasini 2009, p.22). Per la data di morte e altri dettagli si veda anche la voce su Francesco degli Uberti, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.)
  11. ^ I Canozi (o Canozzi) furono un'importante famiglia di intagliatori e intarsiatori di Lendinara, tra i maggiori esponenti vi furono i fratelli Lorenzo e Cristoforo Canozzi. Si veda anche Canòzi, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  12. ^ In Italia solo la basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia ha mantenuto il coro in tale posizione

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Pasini 2009, p. 11
  2. ^ a b c d Pasini 2009, p. 13
  3. ^ a b c d e f Pasini 2009, p. 21
  4. ^ a b c Pasini 2009, p. 19
  5. ^ a b Pasini 2009, p. 79
  6. ^ Si veda Pasini 2009, p. 79; si veda anche Tonini 1864, p. 51, dove a quasi 60 anni dal cambio di intitolazione viene indicata ancora come "Chiesa di S. Marino, ora Par. di S. Bartolomeo"
  7. ^ a b Pasini 2009, p. 90
  8. ^ Pasini 2009, pp. 5, 13
  9. ^ Tonini 1862 Vol. III, p. 334
  10. ^ Clementini 1617, p. 467
  11. ^ a b Pasini 2009, p. 12
  12. ^ Clementini 1627, p. 452
  13. ^ Clementini 1627, p. 454
  14. ^ Clementini 1627, p. 455
  15. ^ Clementini 1627, pp. 455-456
  16. ^ a b c Pasini 2009, p. 18
  17. ^ a b c d e Pasini 2009, p. 22
  18. ^ a b c d e f g h i Schmidt Arcangeli 2001, p. 350
  19. ^ a b c d Pasini 2009, p. 33
  20. ^ Pasini 2009, p. 35
  21. ^ a b c Pasini 2009, p. 43
  22. ^ Pasini 2009, p. 36
  23. ^ Pasini 2009, pp. 36 e 43

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Cesare Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti (I), Rimini, Simbeni, 1617, ISBN non esistente.
  • Cesare Clementini, Raccolto istorico della fondatione di Rimino e dell'origine e vite de' Malatesti (II), Rimini, 1627, ISBN non esistente.
  • Catarina Schmidt Arcangeli, Intarsi del coro della chiesa dei Santi Marino e Bartolomeo (Santa Rita), in Angela Donati (a cura di), Il potere, le arti, la guerra: Lo splendore dei Malatesta, Milano, Electa, 2001, ISBN 978-88-4357-688-3.
  • Carlo Francesco Marcheselli, Pitture delle Chiese di Rimino descritte dal Signor Carlo Francesco Marcheselli, Rimini, Stamperia Albertiniana, 1754, ISBN non esistente.
  • Luigi Tonini, Storia civile e sacra riminese, Vol. III - Rimini nel Secolo XIII, Tipografia Malvolti ed Ercolani, 1862, ISBN non esistente.
  • Luigi Tonini, Guida del forestiere nella città di Rimini, Tipografia Malvolti ed Ercolani, 1864, ISBN non esistente.
  • Pier Giorgio Pasini, La chiesa riminese dei Santi Bartolomeo e Marino detta di Santa Rita, Argelato, Minerva Edizioni, 2009, ISBN 978-88-7381-189-3.

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