Scipione Africano (incrociatore)

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Scipione Africano
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Lo Scipione Africano è stato un piccolo e veloce incrociatore leggero della Regia Marina appartenente alla classe Capitani Romani. Delle dodici unità previste solo tre entrarono in servizio, prendendo parte alla seconda guerra mondiale: Attilio Regolo, Scipione Africano e Pompeo Magno. Venne battezzato così in onore di Publio Cornelio Scipione. Lo Scipione Africano fu l'unico della classe a essere equipaggiato con radar EC.3 Gufo.

Attività bellica

La sua costruzione, iniziata nel 1939, avvenne nel cantiere OTO di Livorno. Varato il 12 gennaio 1941 venne consegnato il 23 aprile 1943 e nel periodo maggio-luglio 1943 ormeggiato nei porti di La Spezia e Genova.

Operazione Scilla

Dopo lo sbarco alleato in Sicilia e visto l'andamento delle operazioni terrestri nell'isola, in previsione di un eventuale blocco da parte Alleata dello Stretto di Messina, all'unità venne affidata la missione di forzare lo Messina e raggiungere Taranto. La missione che prevedeva il passaggio dal Tirreno allo Ionio prendeva il nome di Operazione Scilla. La nave partita da La Spezia alle 6.30 del 15 luglio 1943 al comando del Capitano di Vascello Ernesto De Pellegrini Dai Coi era proveniente da Napoli, dove era stata costretta a fermarsi perché scoperta in precedenza da aerei da ricognizione alleati. L'incrociatore italiano, entrato nello stretto di Messina alle 02.00 circa del 17 luglio avvistava quasi subito, davanti alla costa calabra compresa tra Reggio Calabria e capo Pellaro, quattro motosiluranti alleate (MTB 260, 313, 315 e 316), appartenenti alla 10a Flottiglia, che, salpate da Augusta, si trovavano in missione di pattugliamento nella parte meridionale dello Stretto di Messina e avvistato l’incrociatore italiano lo attaccarono con decisione. L'incrociatore italiano aumentando la velocità al massimo iniziava le manovre, mettendo sotto tiro con tutte le arme di bordo, le unità nemiche, che nel frattempo divisesi, avevano iniziato a lora volta l’attacco fino a breve distanza. Lo scontro a fuoco fu breve ed intensissimo e lo stesso Comandante dello "Scipione" fu notevolmente sorpreso dalla rapidità di tiro e dalla precisione delle proprie armi. Le quattro motosiluranti britanniche (MTB 260, 313, 315 e 316), appartenenti alla 10a Flottiglia, salpate da Augusta, si trovavano in missione di pattugliamento nella parte meridionale dello Stretto di Messina, quando alle ore 02.15 del 17 luglio avvistarono, all’altezza di Reggio Calabria, l’incrociatore leggero italiano e lo attaccarono con decisione. Lo "Scipione" si accorse però in tempo della minaccia e prima di allontanarsi a forte velocità, schivando molti siluri provenienti da prora, da dritta e da sinistra, aprì il fuoco con le artiglierie da 135mm, e con i complessi singoli e binati da 37 e da 20 mm, centrando con precisione e ripetutamente le unità nemiche, giungendo poi senza danni a Taranto. Il fatto che la nave fosse dotata del radar E.C. 3ter Gufo, rilevò per tempo le motosiluranti inglesi e consentì all'equipaggio di apprestarsi alla difesa.[1] Le motosiluranti inglesi attaccarono suddividendosi, MTB 315 e MTB 316 verso Est per attaccare sulla sinistra l’incrociatore che procedeva verso sud, mentre MTB 260[2] e MTB 313[3] manovravano per attaccarlo sulla dritta. L’incrociatore aprì il fuoco sulla sezione di sinistra, colpendo la MTB 316 che saltò, mentre la MTB 315 non essendo stata colpita manovrò per lanciare i suoi siluri. Le motosiluranti che attaccarono l'incrociatore a dritta riuscrono a portarsi in buona posizione e lanciarono i loro siluri e uno della MTB 260, sembrò aver colpito l’incrociatore di poppa a dritta poiché lo "Scipione" diede l’impressione di essersi fermato per un breve momento prima di riprendere la sua corsa a forte velocità verso Sud. Le batterie di entrambi i lati dello stretto aprirono il fuoco, inquadrandolo, prima che esso per due volte lanciasse i segnali di riconoscimento. La MTB 315 seguì l’incrociatore per un breve tratto attorno a Capo dell'Armi, ma notando che imbarcava acqua a poppa, fermò e raggiunse alle 2,50 la sua posizione. I britannici ritennero di aver silurato lo "Scipione Africano", e ne furono convinti per molto tempo.

Nell’azione, da parte Italiana, fu rivendicato l’affondamento di tre motosiluranti: una per esplosione, una per incendio e l’altra per affondamento senza incendio. In seguito all’esplosione di una delle MTB, materiale appartenente ai suoi macchinari e pezzi di fasciame vennero sollevato in aria, e ricaddero sulla coperta dello "Scipione", che manovrava a tutta forza per allontanarsi dalla zona dell’attacco con rotta 200° e velocità 36 nodi.[4]

Da parte alleata si dichiarò che avevano partecipato all’azione le MTB 315,[5] 316, 313 e 260 e che solo la 316 era stata persa per esplosione assieme a tutto il suo equipaggio. Il materiale recuperato sullo "Scipione" fu identificato come appartenente alla MTB 305, che però, secondo le fonti ufficiali inglesi, non aveva partecipato all’azione. Secondo le fonti inglesi la MTB 316, comandata dal Tenente di Vascello R.B. Adams, in seguito ad un incendio che si sviluppò a bordo dopo che l’unità era stata colpita, esplose alle 02.18 ed affondò con la perdita di tutto il suo equipaggio, mentre la MTB 260 (tenente di vascello H.F. Wadds) e la MTB 313 (tenente di vascello A.D. Foster) riportarono soltanto danni superficiali. Oltre alle perdite umane della MTB 316, le altre tre motosiluranti ebbero a lamentare un ufficiale morto ed uno ferito.[6]

La MTB 316, la sola di cui si ha la certezza dell'affondamento nel corso del combattimento, era un'unità del tipo ELCO da 77 piedi, realizzata negli Stati Uniti e trasferita prima di aver completato l'allestimento alla Royal Navy, dove era entrata in servizio il 14 giugno 1942.[7] Anche le altre motosiluranti che avevano partecipato all'attacco erano del tipo Elco da 77 piedi, ad eccezione della MTB 260 che era del tipo Elco da 70 piedi. Per quanto riguarda la MTB 305, anch'essa del tipo Elco da 77 piedi, non figurando nell'elenco delle motosiluranti britanniche affondate nel Mediterraneo, e neppure di quelle danneggiate nel corso della campagna di Sicilia e operando inoltre sotto le insegne dell'Indian Navy,[8] si può ipotizzare che parti della MTB 305 siano state prese per metterle su un'altra MTB, in quanto pratiche del genere erano molto diffuse a livello di piccole unità.

Il comandante e l'equipaggio dello "Scipione Africano" ricevettero l’elogio dell’Ammiraglio Bergamini, comandante delle Forze Navali da Battaglia, nell’Ordine del Giorno n° 11 del 18 luglio 1943.

Successivamente tra il 4 ed il 17 agosto lo Scipione svolse alcune missioni di posa di mine nel Golfo di Taranto ed al largo della Calabria, sfidando gli aerei e le navi Alleate che tentavano di impedire l'evacuazione via mare delle forze italo - tedesche dalla Sicilia.

Armistizio

La sera dell'8 settembre quando via radio giunse la notizia dell'armistizio la nave si trovava a Taranto, dove intorno alle 6 del mattino del 9 settembre ricevette da Supermarina l'ordine di raggiungere a più presto Pescara; analogo ordine ricevettero le corvette Scimitarra e Baionetta che si trovavano a Brindisi e a Pola. Lo Scipione giunse poco dopo la mezzanotte a Pescara, dove la corvetta Baionetta al comando del Tenente di Vascello Piero Pedemonti intorno alle 21 aveva imbarcato il capo del governo Badoglio e il Ministro della Marina De Courten ed aveva proseguito per Ortona, dove intorno alle 1,10 del 10 settembre venne imbarcata la famiglia reale, per cui lo Scipione, invertita la rotta, intorno alle 7 del mattino raggiunse la corvetta Baionetta scortandola fino a Brindisi, dove il Re Vittorio Emanuele III con il suo seguito giunsero nella stessa giornata del 10 settembre intorno alle 16, alloggiando nella palazzina del Comandante Militare Marittimo ammiraglio Rubatelli.

L'altra corvetta, la Scimitarra, giunta a Pescara da Brindisi, al comando del tenente di Vascello Remo Osti, intorno alle 7 del 10 settembre, non trovando nessuno ripartì circa quattro ore dopo ricevendo in navigazione l'ordine di andare a Taranto, ove sarebbe giunta verso le ore 12 dell'11 settembre.

A Brindisi, mentre avveniva lo sbarco della famiglia reale dalla corvetta, ad un certo punto si videro arrivare sei caccia che puntarono a volo radente sulla direttrice dello Scipione e della corvetta dove c'era il Re Vittorio Emanuele III; il fuoco contraereo dello Scipione costrinse gli aerei a cambiare direzione.

Il 29 settembre lo Scipione riprese il mare per scortare il Maresciallo Badoglio e parte del governo a Malta, dove il capo del governo italiano doveva firmare con il generale Eisenhower a bordo della corazzata britannica Nelson l'armistizio lungo nel quale venivano precisate le condizioni di resa imposte all'Italia già contenute genericamente nell'armistizio corto firmato il 3 settembre dal generale Giuseppe Castellano.

Durante la cobelligeranza effettuò alcuni viaggi ad Alessandria d'Egitto e ai Laghi Amari, dove erano internate le navi da battaglia italiane Vittorio Veneto e Italia.

Dopoguerra

Nel dopoguerra, in base al trattato di pace, lo Scipione Africano fu tra le unità che l'Italia dovette mettere a disposizione come riparazione per danni di guerra e il 9 agosto 1948 venne ceduto alla Francia con la sigla S7.[9]

Guichen (D 607)

Insieme allo Scipione Africano anche il gemello Attilio Regolo venne ceduto ai francesi. Le due unità nella Marine Nationale avrebbero costituirono la Classe Chateaurenault. Sin dal 23 luglio 1948 la nave venne ribattezzata Guichen e dopo la consegna venne inviata a Tolone per essere sottoposta a lavori di ammodernamento che si sono protratti a lungo, nel corso dei quali l'unità venne riarmata con sei cannoni ex-tedeschi da 105mm, gli stessi che costituivano l'armamento antiaereo degli incrociatori tedeschi della Classe Hipper, che sostituirono i cannoni 135/45 originari; questi cannoni costituivano un armamento più leggero rispetto a quello originario ma con la virtù di essere armi duali avendo la fondamentale capacità di eseguire un efficace tiro contraereo. Anche l'armamento antiaereo leggero venne potenziato con 10 cannoni da 57mm[10] in cinque impianti binati.

Al termine dei lavori la nave entrò in servizio di squadra il 9 aprile 1955 e riclassificata cacciatorpediniere conduttore, ebbe assegnata la matricola D 607 e divenne nave ammiraglia della Escadre Légère de l'Atlantique (Atlantico) di base a Brest.

La nave, ritirata dal servizio il 1º aprile 1961, andò in disarmo il 21 giugno 1963 e utilizzata come piattaforma galleggiante a Poulmic, venne radiata il 1º giugno 1976 ed ebbe assegnata la matricola Q 554 in attesa della demolizione, avvenuta nel 1979.

Note

  1. ^ Baroni, Piero (2007). La guerra dei radar: il suicidio dell'Italia : 1935/1943. Greco & Greco, p. 187. ISBN 8879804316
  2. ^ HM MTB-260
  3. ^ HM MTB-313
  4. ^ Giuseppe Fioravanzo Le Azioni Navali In Mediterraneo Dal 1º aprile 1941 all'8 settembre 1943, 1970, Roma, USMM.
  5. ^ HM MTB-315
  6. ^ E. Andò, Incrociatori leggeri classe "Capitani Romani", Parma, Albertelli, 1994, pp. 80-81. ISBN 978-88-85909-45-8
  7. ^ HM MTB-316
  8. ^ HM MTB-305
  9. ^ Le navi che l'Italia dovette consegnare in base al trattato di pace nell'imminenza della consegna vennero contraddistinte da una sigla alfanumerica. Le navi destinate all'Unione Sovietica erano contraddistinte da due cifre decimali precedute dalla lettera 'Z': Cesare Z11 Artigliere Z 12, Marea Z 13, Nichelio Z 14, Duca d'Aosta Z15, Animoso Z16, Fortunale Z17, Colombo Z18, Ardimentoso Z19, Fuciliere Z20; le navi consegnate alla Francia erano contraddistinte dalla lettera iniziale del nome seguita da un numero: Oriani O3, Regolo R4, Scipione Africano S7; per le navi consegnate a Yugoslavia e Grecia, la sigla numerica era preceduta rispettivamente dalle lettere 'Y' e 'G': l'Eugenio di Savoia nell'imminenza della consegna alla Grecia ebbe la sigla G2. Stati Uniti e Gran Bretagna rinunciarono integralmente all'aliquota di naviglio loro assegnata, ma ne pretesero la demolizione - Erminio Bagnasco, La Marina Italiana. Quarant'anni in 250 immagini (1946-1987), in supplemento "Rivista Marittima", 1988, ISSN 0035-6984 (WC · ACNP).
  10. ^ French 57 mm/60 (2.25") Model 1951

Bibliografia

  • Gino Galuppini, Guida alle navi d'Italia : dal 1861 a oggi, Milano, A. Mondadori, 1982.
  • Giuseppe Fioravanzo, La Marina Militare nel suo primo secolo di vita 1861-1961, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1961.
  • Giuseppe Fioravanzo, La Marina dall'8 settembre alla fine del conflitto, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1971.
  • Raffaele De Courten, Le Memorie dell'Ammiraglio de Courten (1943-1946), Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1993.
  • Robert Gardiner, Roger Chesneau, All the World Fighting's Ships 1922-1946, Annapolis, MD, Naval Institute Press, 1980. ISBN 978-0-85177-146-5

Collegamenti esterni

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