Cacopsylla pyri
La psilla comune del pero (Cacopsylla pyri Linnaeus) è un insetto fitofago del pero, appartenente al genere Cacopsylla.[1]
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]Gli adulti presentano due biotipologie principali:[2][3]
- un forma invernale grande (2,6 – 2,9 mm) di colore arancione scuro e nero con ali color fumo
- una forma estiva più piccola (2,1 – 2,7 mm) di colore marrone con ali trasparenti
La forma estiva compare a maggio, mentre quella invernale fa la sua comparsa a settembre con un picco tra la metà di ottobre e novembre.[4] Gli adulti svernano all'interno della corteccia delle piante, periodo durante il quale si verifica la diapausa e si sviluppano gli organi riproduttivi.[2][3][5][6][7] Lo sviluppo dell'apparato riproduttivo femminile si conclude verso la fine dell'inverno[7] e la deposizione delle uova inizia alla fine di febbraio inizio marzo quando le temperature superano i 10°C.[5][8]
Le uova si schiudono all'inizio della primavera[9] passando da un color crema-giallastro all'arancione quando raggiungono la maturazione completa. Gli occhi risultano già visibili prima ancora della schiusa. La ninfa emerge spesso nello stesso periodo dell'apertura dei boccioli e attraversa cinque diversi stadi.[4] Nelle prime fasi (1-3) sono colore giallo, mentre nelle fasi 4-5 assumono un colore marrone scuro.[10]
Biologia
[modifica | modifica wikitesto]Le larve della specie si nutrono di linfa che raccolgono dai giovani steli e dalle foglie delle piante infestate.[1] La capacità riproduttiva della specie è di 5-7 generazioni l'anno che durante l'estate possono sovrapporsi. La femmina depone tra le 500 e le 600 uova alla volta.[11]
Distribuzione e habitat
[modifica | modifica wikitesto]La specie è presente in tutto il mondo.[12] Colonizza le coltivazioni di peri, nello specifico è possibile trovarla sui germogli, le foglie, i rami e, talvolta, anche i frutti.[1]
Trattamento
[modifica | modifica wikitesto]La psilla è uno dei parassiti economicamente rilevanti del pero. Le larve causano danni diretti e indiretti a giovani steli e foglie attraverso l'alimentazione riducendo la capacità fotosintetica della pianta, ma permettono anche lo sviluppo di condizioni favorevoli per le malattie poiché vettori di agenti fitopatogeni come la moira.[1]
Le piante infestate possono appassire, imbrunire e morire in poche settimane causando significative perdite economiche. Le strategie per la lotta contro questo parassita sono incentrate principalmente sull'utilizzo di insetticidi chimici con diversi meccanismi d'azione (es. spirotetramat, spirodiclofen e carbossimetilcellulosa-B), ma dato l'alto numero di generazioni controllarla risulta alquanto difficile.[1] La sostanza maggiormente usata per il controllo della specie è l’abamectina che agisce sia per contatto che per ingestione provocando la paralisi.[11] L'abamectina e lo spirotetramat sono però in fase di ritiro dal mercato in Europa.[13]
Poiché la specie sviluppa facilmente la resistenza agli insetticidi e dunque la loro applicazione deve essere fatta al momento giusto, nello specifico quando sulla pianta sono presenti esemplari della seconda generazione[11]. L'utilizzo di insetticidi deve anche essere controllato per evitare ripercussioni sui suoi predatori naturali (fam. Anthocoridae, Chrysopidae, Coccinelidae e Miridae), tra cui quello maggiormente utilizzato è l'Anthocoris nemoralis.[1][14]
Negli anni si stanno utilizzando sempre di più strategie per la valorizzazione dei predatori naturali. Non è sempre necessario ricorrere a trattamenti specifici poiché le sue pullulazioni possono dipendere da fattori naturali.[11]
Note
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