Panasiatismo

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L'Asia e gli Stati che la compongono.

Il panasiatismo è un concetto ideologico che sottolinea il legame comune che lega tutti i popoli asiatici[1] e in virtù di esso, afferma la necessità di un'unione politica ed economica del continente soprattutto in chiave antioccidentale. L'ideologia nacque verso la fine del XIX secolo e assume sfaccettature diverse a seconda della nazione in cui viene proposta.

Panasiatismo nel mondo[modifica | modifica wikitesto]

Giappone[modifica | modifica wikitesto]

Il Sol Levante è considerato la culla del movimento panasiatico. Nel momento in cui nacque tale ideologia, il Giappone risultava infatti di gran lunga il Paese più industrializzato del continente ed era stato tra i pochi ad avere la capacità di mantenere la propria indipendenza. I giapponesi si identificavano quindi come il popolo che avrebbe dovuto guidare l'Asia nel suo processo di liberazione dal colonialismo. Infatti dopo la vittoria nella Guerra russo-giapponese, l'artista Okakura Kakuzō affermò che i valori asiatici fossero superiori a quelli occidentali e che fosse giunto il momento di interrompere il potere bianco in Asia. A quell'epoca il panasiatismo fu ideologia anche di alcune organizzazioni ultranazionaliste, come Genyōsha e Società del Drago Nero, che non esitavano a compiere azioni criminali pur di portare avanti i propri piani politici. Infatti il panasiatismo nipponico aveva per lo più lo scopo di giustificare le politiche belliche aggressive dell'Impero giapponese, il quale puntava alla creazione di una Sfera di co-prosperità della Grande Asia orientale e perciò a giocare un ruolo da padrone negli equilibri geopolitici, in quanto il Giappone avrebbe amministrato a suo piacere una vasta federazione di Stati asiatici.[2] Tale progetto espansionistico fu il casus belli che scatenò la Guerra del Pacifico.[3]

Cina[modifica | modifica wikitesto]

Il panasiatismo cinese emerse per la prima volta nel 1924, quando Sun Yat-sen fondatore del Kuomintang, si recò in visita a Kobe e pronunciò un discorso in cui denunciò apertamente l'imperialismo occidentale in Asia e parlò della fratellanza tra i popoli asiatici.[4] Il concetto fu ripreso dopo la resa del Giappone nella Seconda guerra mondiale, quando la Cina di Mao Zedong progettava di diventare la nuova potenza dell'Estremo oriente, in grado di debellare gli occidentali da Hong Kong, Taiwan, Macao, Corea e Indocina.[5] Tuttavia l'arretratezza bellica ed economica, l'instabilità politica e lo scarso peso internazionale non consentirono al Paese maoista di raggiungere tale scopo. La Cina ha dovuto aspettare gli ultimi decenni per poter divenire una superpotenza e reintegrare le città colonizzate dagli stranieri.[6][7]

India[modifica | modifica wikitesto]

In India il panasiatismo fu una conseguenza dei moti di liberazione in atto nella prima metà del XX secolo. Scrittori indiani come Rabindranath Tagore e Sri Aurobindo iniziarono a guardare con ammirazione al Sol Levante, che sembrava in grado di poter cacciare gli occidentali. In quel periodo diversi studiosi indiani si recarono in Giappone per motivi culturali. Il leader Mahatma Gandhi con la sua disobbedienza civile e atti politici quali la Marcia del sale, si impegnava affinché cessasse l'egemonia britannica sul suo Paese e auspicava che lo stesso potesse accadere nel resto dell'Asia.[8] Egli in quanto sostenitore della nonviolenza si oppose fermamente ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, spese parole forti contro l'amministrazione americana e sebbene i giapponesi avessero attuato una politica oltremodo aggressiva durante tutto il conflitto, temeva che l'Occupazione del Giappone potesse fungere da pretesto per il compimento di una colonizzazione statunitense nel continente.[9] L'eroe nazionale indù Subhas Chandra Bose, fu un altro membro di spicco del Movimento d'indipendenza indiano, tuttavia egli non condivideva gli ideali nonviolenti di Gandhi. Durante il conflitto Bose si schierò dalla parte delle potenze dell'Asse, con l'intento di porre termine al Raj Britannico. Il patriota vedeva il Giappone come l'entità liberatrice del subcontinente e fu quindi nominato capo del governo dell'India Libera, uno stato fantoccio creato dall'Impero nipponico.[10]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]