Massacro di Biscari

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Massacro di Biscari
Data10 luglio - 14 luglio 1943
LuogoPiano Stella di Biscari, oggi Acate
StatoBandiera dell'Italia Italia
Coordinate37°01′N 14°30′E / 37.016667°N 14.5°E37.016667; 14.5
Responsabili7ª Armata del generale G.S.Patton
Conseguenze
Morti12 civili italiani e 76 militari italiani e alcuni tedeschi
Feriti3 soldati italiani (Virginio de Roit e Silvio Quaiotto - Giuseppe Giannola)

Il massacro di Biscari è un crimine di guerra[1] compiuto dall'esercito degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, durante il quale vennero uccisi 76 prigionieri di guerra tedeschi e italiani, in due distinti episodi.

Entrambi gli episodi avvennero il 14 luglio 1943 nelle campagne di Piano Stella, vicino a Biscari, oggi Acate, località siciliana a sud di Caltagirone e in provincia di Ragusa.

Il discorso di Patton e lo sbarco in Sicilia

Lo stesso argomento in dettaglio: George Smith Patton e Operazione Husky.
Patton in Sicilia durante la campagna d'Italia

Il 27 giugno 1943, durante la preparazione delle truppe statunitensi in vista dell'Sbarco in Sicilia, lo Sbarco in Sicilia, il comandante della 7ª Armata USA, generale G.S.Patton tenne un rapporto agli ufficiali della 45ª Divisione di fanteria nel corso del quale diede disposizione di uccidere - senza accettare le loro eventuali offerte di resa - i militari nemici che resistessero ancora quando le fanterie statunitensi fossero giunte a 200 iarde, circa 180 metri, di distanza da essi.

«Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!»

Subito dopo lo sbarco in Sicilia le unità statunitensi si diressero verso gli aeroporti siti nella parte meridionale dell'isola. Si segnalarono già alcune stragi di civili come quella che avvenne il 10 luglio 1943 a Vittoria, dove trovarono la morte dodici italiani tra cui il podestà fascista di Acate Giuseppe Mangano e il figlio diciassettenne Valerio[3]. Quest'ultimo riuscito a divincolarsi cercò di soccorrere il padre, ma fu ucciso da un colpo di baionetta al volto[4].

In particolare il 180º Reggimento della 45ª Divisione di fanteria si diresse su quello di S.Pietro, identificato sulle carte statunitensi come aeroporto di Biscari-Santo Pietro. L'attacco iniziò nel corso della notte fra il 13 ed il 14 luglio 1943, ed i reparti dei difensori, in massima parte italiani, con nuclei tedeschi, dopo un'accanita resistenza, si arresero alle forze statunitensi nel pomeriggio.

Le stragi

La prima strage ad opera del Capitano Compton

L’aeroporto di Santo Pietro era presidiato da una guarnigione di avieri comandati dal Capitano Mario Talante[5], un battaglione di artiglieri al comando del Maggiore Quinti ed un reparto di truppe tedesche. Dopo intensi bombardamenti l’aeroporto fu accerchiato all’alba del 14 luglio 1943. Gli avieri, la sera prima, furono divisi in due gruppi. Con certezza un gruppo, armato con i moschetti 91, fu lasciato in una casamatta nel tentativo di contenere l’avanzata degli americani. Furono presto presi prigionieri ed uscirono dal rifugio con le mani alzate, mentre qualcuno sventolava un fazzoletto bianco in segno di resa. Ai prigionieri furono tolti vestiti, scarpe, oggetti di valore e subito messi in fila per essere fucilati per ordine del capitano John Compton[6]. Di questo gruppo si salvarono solo due militari italiani (il caporale Virginio De Roit e il soldato Silvio Quaiotto) che ai primi colpi riuscirono a darsi alla fuga e a nascondersi presso il torrente Ficuzza.

Il mattino del 15 luglio il tenente colonnello W.E. King, un cappellano della 45ª Divisione, trovò una fila di cadaveri sulla strada che dall'aeroporto portava al paese di Biscari, a pochi metri da una grande quantità di bossoli americani, per un totale di 34 italiani e 2 tedeschi. Il tenente colonnello King trovò altri cadaveri allineati, quindi, presumibilmente, fucilati, prima di giungere all'aeroporto, dove venne a conoscenza di un ulteriore gruppo di militari italiani fucilati.

La seconda strage ad opera del Sergente West

Un altro gruppo di prigionieri incolonnato per essere condotto nelle retrovie ed interrogato dagli uomini dell’intelligence fu affidato al Sergente Horace West con 7 militari. Durante il tragitto si aggiunsero altri 37 prigionieri di cui 2 tedeschi. Dopo circa un chilometro di marcia furono obbligati a fermarsi e disporsi su due file parallele mentre West, imbracciato un fucile mitragliatore, aprì il fuoco compiendo il massacro[7]. Al centro della prima fila c’era l’Aviere Giuseppe Giannola che fu l'unico superstite, che in una relazione inviata al Comando Aeronautica della Sicilia ricordò:

«Fummo avviati nelle vicinanze di Piano Stella ove fummo poi raggiunti da un altro contingente di prigionieri italiani del R° esercito, e questi ultimi in numero circa di 34. Tutti fummo schierati per due di fronte - un Sottufficiale americano, mentre altri 7 ci puntavano con il fucile per non farci muovere, col fucile mitragliatore sparò a falciare i circa 50 militari che si trovavano schierati. Il dichiarante rimasto ferito al braccio destro (rimase) per circa due ore e mezzo sotto i cadaveri, per sfuggire ad altra scarica di fucileria, dato che i militari anglo americani rimasero sul posto molto tempo per finire di colpire quelli rimasti feriti e agonizzanti.»

Giannola, quando pensò che gli americani se ne fossero andati via, alzò la testa nel tentativo di allontanarsi, ma da lontano qualcuno gli sparò con un fucile colpendolo di striscio alla testa. Cadde e si finse di nuovo morto. Restò immobile per circa mezz’ora fin quando, strisciando carponi, raggiunse un grosso albero. Vide degli americani con la croce rossa al braccio e si avvicinò. Gli fu tamponata la ferita al polso e alla testa e gli fu fatto capire che da lì a poco sarebbe sopraggiunta un’autoambulanza che l’avrebbe trasportato al vicino ospedale da campo. Poco dopo vide avvicinarsi una jeep e fece segno di fermarsi. Scesero due soldati, uno con un fucile che gli domandò se fosse italiano. Alla risposta positiva il soldato statunitense gli sparò, colpendolo al collo con foro d’uscita alla regione cervicale destra, risalì in macchina e si allontanò.

Poco dopo sopraggiunse l’autoambulanza che lo raccolse trasportandolo all’ospedale da campo di Scoglitti. Due giorni dopo fu imbarcato su una nave e portato all’ospedale inglese di Biserta ed altri del Nord Africa. Rientrò in Italia il 18 marzo 1944 e ricoverato all’ospedale militare di Giovinazzo. Al termine del conflitto, in data 4 marzo 1947, presentò al Comando Aeronautica della Sicilia un resoconto di quanto accaduto, ma rimase inascoltato. Negli anni che seguirono continuò inutilmente a far sentire la sua voce, fino a quando, assistito dal figlio Riccardo, raccontò tutto al procuratore militare di Padova il quale aveva aperto un fascicolo per la storia di un altro sopravvissuto al crimine di guerra consumato negli stessi luoghi per mano del Capitano Compton.[9][10]

Le conseguenze giuridiche della strage

La procura militare statunitense iniziò gli accertamenti sull'episodio e rinviò a giudizio due graduati del 180º Reggimento, il sergente Horace West (Compagnia A) ed il capitano John Compton (Compagnia C).

Fu accertato che il sergente Horace West aveva ricevuto l'ordine di trasferire al comando di battaglione 37 prigionieri nemici (uno era sfuggito ai controlli del tenente colonnello King) ma, giunti in un uliveto, li aveva personalmente fucilati con la sua arma di ordinanza. Il sergente West si difese sostenendo che gli ordini dal Comando d'Armata erano di uccidere i militari nemici che non si fossero arresi immediatamente, sulla base del discorso già citato del Generale G.S.Patton, riportato ai gradi inferiori dal comandante del 180º reggimento con le stesse parole. La Corte Marziale, comunque, giudicò West colpevole, se non altro per aver ucciso militari che ormai avevano già ottenuto lo status di prigionieri e lo condannò all'ergastolo. Fu incarcerato fino alla fine di novembre del 1944, ma poi fu rimesso in servizio sul fronte italiano, come soldato semplice. Alla fine della guerra fu congedato.

Anche il capitano Compton si riferì al discorso del gen. Patton per giustificare le sue azioni, dato che aveva fucilato i militari italiani, circa quaranta, subito dopo la loro resa. Compton concluse la propria difesa sostenendo di aver agito sulla base di istruzioni del Comandante di Armata, generale con tre stelle ed una grande esperienza di combattimento. Compton fu assolto, ma cadde in combattimento l'8 novembre 1943 presso Montecassino.

Il generale G.S.Patton, in un colloquio successivo, 5 aprile 1944, col tenente colonnello C.E. Williams, ispettore del Ministero della Guerra sui fatti di Biscari, ammise di aver tenuto un discorso abbastanza sanguinario, pretty bloody, ma di averlo fatto per stimolare lo spirito combattivo della 45ª Divisione di fanteria, che si trovava per la prima volta sotto il fuoco nemico, negando comunque di aver incitato all'uccisione di prigionieri.

Riconoscimenti

Solo nel settembre 2009 il superstite Giuseppe Giannola[11] fu ricevuto al Quirinale dal Generale Rolando Mosca Moschini, Consigliere Militare del Presidente Giorgio Napolitano, al quale consegnò una lettera appello, rivolta al Presidente della Repubblica, nella quale chiedeva che si facesse di tutto per individuare il luogo ove furono seppelliti i suoi commilitoni, per restituire l'onore ai giovani sterminati quella mattina del 14 luglio 1943, cancellando quindi quei nomi dall'elenco dei dispersi e/o dei disertori.

Il 14 luglio 2012 è stata apposta a Santo Pietro una targa di marmo che ricorda i nomi di tutti i soldati italiani uccisi nella strage e quattro tedeschi. La manifestazione è stata organizzata dai comuni di Acate, Caltagirone, Vittoria e Santa Croce Camerina, in collaborazione con l'Associazione Culturale Storica Lamba Doria.

Note

  1. ^ Giuseppe Federico Ghergo. 14 luglio 1943: il massacro di Biscari su Storia Militare n° 133, ottobre 2004 (p. 4-7)
  2. ^ G. Ghergo, art. cit. pag 6
  3. ^ Fabrizio Carloni, Le atrocità alleate in Sicilia, articolo su "Storia e battaglie", aprile 2009, pag 13: "La prima strage documentata fu consumata, anche questa quasi sicuramente, da uomini della 82 a Vittoria, dove furono messi al muro una dozzina di civili, la maggior parte dei quali rimasti sconosciuti; tra loro il podestà di Acate, sorpreso con la moglie, il fratello ufficiale medico, il figliolo adolescente e la donna di servizio nella periferia stessa del paese lo stesso giorno dello sbarco."
  4. ^ Fabrizio Carloni, Le atrocità alleate in Sicilia, articolo su Storia e battaglie, aprile 2009, pag 13: "Il figlio di Mangano, Valerio, liberatosi dalla guardia dei militari statunitensi, impugnando un sasso, si gettò in soccorso del padre e fu fermato da una baionettata che lo colpì alla guancia sinistra staccandogli quasi la testa."
  5. ^ Andrea Augello, "Uccidi Gli Italiani", Milano, Mursia, 2009, pag 138
  6. ^ Andrea Augello, "Uccidi Gli Italiani", Milano, Mursia, 2009, pag 136: "Quando la fila degli inermi fu composta, il capitano americano ordinò al plotone di fucilarli tutti."
  7. ^ Andrea Augello, "Uccidi Gli Italiani", Milano, Mursia, 2009, pag 136: "Nella stessa giornata un altro gruppo di trentasette soldati italiani prigionieri fu sterminato dal sergente Horace West, che invece aveva ricevuto l'ordine di scortarli nelle retrovie per farli interrogare."
  8. ^ Andrea Augello, "Uccidi Gli Italiani", Milano, Mursia, 2009, pag 165
  9. ^ Andrea Augello, "Uccidi Gli Italiani", Milano, Mursia, 2009, pag 138-143
  10. ^ Testimonianza di Giuseppe Giannola raccolta da Gianluca Di Feo sul Corriere della Sera, 3 marzo 2005
  11. ^ «Sei un prigioniero italiano? E mi sparò al cuore»

Voci correlate

Collegamenti esterni

Bibliografia

  • Andrea Augello, "Uccidi Gli Italiani", Milano, Mursia, 2009
  • Giovanni Bartolone. Le altre stragi. Le stragi alleate e tedesche nella Sicilia del 1943-1944. Bagheria, Tipografia Aiello & Provenzano, 2005.
  • Alfio Caruso. Arrivano i nostri. Longanesi, 2004.
  • Paolo Casolari. "L'anima muore di sera - Sicilia 1943: difesa del "bagnasciuga", confidenze e anabasi nel diario inedito di un sottotenente che non si piegò all'inevitabile". Irradiazioni, Roma, 2006.
  • Gianfranco Ciriacono. Le stragi dimenticate - Gli eccidi americani di Biscari e Piano Stella. Ragusa, tipografia Cooperativa Cdb.
  • Gianfranco Ciriacono. Arrivano .... Vittoria, 2003.
  • Carlo D'Este. Lo sbarco in Sicilia. Milano, Mondadori, 1990
  • Ezio Costanzo. Sicilia 1943. Le Nove Muse, 2003.
  • Giuseppe Federico Ghergo. 14 luglio 1943: il massacro di Biscari su Storia Militare n° 133, ottobre 2004 (p. 4-7).
  • Giannola Giuseppe, Aviere (Classe 1917), testimonianza resa alla Regione Carabinieri Sicilia su delega della Procura Militare di Padova in data 4 dicembre 2004
  • Anfora-Pepi Obiettivo Biscari Mursia (2013) ISBN 9788842552635

Voci correlate