Homo rudolfensis

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
Homo rudolfensis
Ricostruzione di un cranio di Homo rudolfensis
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Sottoregno Eumetazoa
Ramo Bilateria
Superphylum Deuterostomia
Phylum Chordata
Subphylum Vertebrata
Infraphylum Gnathostomata
Superclasse Tetrapoda
Classe Mammalia
Sottoclasse Theria
Infraclasse Eutheria
Superordine Euarchontoglires
(clade) Euarchonta
Ordine Primates
Sottordine Haplorrhini
Infraordine Simiiformes
Parvordine Catarrhini
Superfamiglia Hominoidea
Famiglia Hominidae
Sottofamiglia Homininae
Tribù Hominini
Genere Homo
Specie H. rudolfensis
Nomenclatura binomiale
Homo rudolfensis
Alexeev, 1986

Homo rudolfensis Alexeev, 1986 è un ominide estinto, vissuto circa due milioni di anni fa in Africa, in concomitanza con Homo habilis. Non ebbe una lunga esistenza e fu nettamente soppiantato dal suo rivale evolutivo.

Ritrovamenti[modifica | modifica wikitesto]

I resti fossili furono ritrovati da Bernard Ngeneo del team di Richard Leakey e Meave Leakey nel 1972 a Koobi Fora sulle rive orientali del Lago Turkana in Kenya[1]. Il nome scientifico Homo rudolfensis fu proposto nel 1986 da Valeri Pavlovich Alekseyev[2] per il campione di riferimento Skull 1470 (KNM-ER 1470)[3] stimato avere un'età di 1,9 milioni di anni.

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Nel marzo 2007 un team diretto da T. Bromage, antropologo dell'Università di New York, ha ricostruito il cranio KNM-ER 1470. La nuova ricostruzione dava un aspetto da scimmia antropomorfa[4] e ne fu dedotta una capacità cranica di 526 cm³, diminuita rispetto alle precedenti stime di 752 cm³.[5]

Nel 2008 tuttavia la capacità cranica fu riportata a 700 cm³[6] in base a principi biologici, non precedentemente considerati, che permettono di correlare tra loro gli occhi, le orecchie e la bocca dei mammiferi.[5]

Interpretazione[modifica | modifica wikitesto]

Il campione di riferimento UR 501, il più antico fossile del genere Homo

Mentre Homo habilis riusciva a fabbricare strumenti con una certa facilità ed era più propenso al miglioramento delle proprie caratteristiche, Homo rudolfensis non riuscì veramente ad adattarsi all'ambiente e sparì dalla scena in poche centinaia di migliaia di anni. I resti che permangono a disposizione degli studiosi sono davvero pochi, e ciò quindi non ci permette di capire chiaramente quale aspetto avesse e come si comportasse in società. Era comunque molto simile all'habilis per aspetto e comportamenti, al punto che fu considerato rientrare nella variabilità di questo e a questo unificato come specie; ma si ritiene che fu proprio H. habilis la causa principale della sua estinzione.

La sua classificazione è emblematica dei problemi della paleoantropologia: classificato alla scoperta come specie a sé, è stato poi fatto rientrare nella variabilità di H. habilis, quindi riconsiderato specie a sé. Il dibattito non si ferma tuttavia qui: poiché secondo alcuni studiosi H. rudolfensis e H. habilis potrebbero rientrare nella variabilità del genere Australophitecus, e d'altra parte il cranio del primo presenta molte affinità con il precedente Kenyanthropus platyops, l'attribuzione di H. rudolfensis sarebbe ancora da definire tra ben 3 generi: Australophitecus, Homo e Kenyanthropus.[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Leakey, R.E. 1973. "Evidence for an advanced Plio-Pleistocene hominid from East Rudolf, Kenya"; Nature 242: 447-450.
  2. ^ Alexeev, Valerii P. (1986) The Origin of the Human Race. Moscow: Progress Publishers.
  3. ^ KNM-ER sta per: Kenya National Museum -East Rudolph
  4. ^ John Hawks, KNM-ER 1470 is not a microcephalic, su johnhawks.net, 31 marzo 2007.
  5. ^ a b Than, Ker, Controversial Human Ancestor Gets Major Facelift, in LiveScience, 29 marzo 2007. URL consultato il 28 aprile 2007.
  6. ^ Bromage TG, McMahon JM, Thackeray JF, et al., Craniofacial architectural constraints and their importance for reconstructing the early Homo skull KNM-ER 1470, in The Journal of Clinical Pediatric Dentistry, vol. 33, n. 1, 2008, pp. 43–54, PMID 19093651.
  7. ^ Giorgio Manzi: "L'evoluzione umana". Il Mulino, 2007

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]