Giuseppe Ferrari (filosofo)

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«Lo stesso procedimento che ci promette la certezza ci conduce al dubbio.»

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Giuseppe Ferrari (Milano, 6 marzo 1811Roma, 2 luglio 1876) è stato un filosofo e politico italiano. Federalista, di posizioni democratiche e socialiste, fu deputato della Sinistra nel Parlamento italiano per sei legislature dal 1860 al 1876, e senatore del Regno dal 15 maggio 1876.

Biografia

Nato a Milano da una famiglia borghese - il padre era medico -, dopo la morte dei suoi genitori, avvenuta quando era ancora giovane, poté godere di una piccola rendita grazie alla quale visse senza particolari problemi economici.

Studi

Ferrari fece i suoi studi nel ginnasio S. Alessandro, fu poi alunno dell'Almo Collegio Borromeo e si laureò in utroque iure a Pavia nel 1831. Fu però più interessato dalla filosofia, che coltivò nel cerchio della gioventù milanese che si riuniva attorno a Gian Domenico Romagnosi.

Giunto a posizioni irreligiose e scettiche, nutriva per la cultura filosofica, storica e politica francese un'ammirazione che nel 1838 lo portò a Parigi, dove il 29 agosto del 1840 sostenne l'esame di dottorato in filosofia alla Sorbona, con la presentazione di due tesi intitolate De religiosis Campanellae opinionibus[1]e De l'erreur, nella prima delle quali presentava positivamente il pensiero religioso di Tommaso Campanella, mentre nella seconda giungeva ad una conclusione scettica a proposito dei giudizi, che non consentono di giungere alla verità assoluta in quanto essa è indissolubilmente intrecciata all'errore, così che si può dire che la verità sia un errore relativo e l'errore una verità relativa.

L'esilio in Francia

A causa delle sue convinzioni politiche Ferrari passò la maggior parte della sua vita all'estero, in particolare in Francia. Fu docente di filosofia al Liceo di Rochefort-sur-mer, poi nel 1841 all'Università di Strasburgo dove, attaccato dalla Chiesa e dal partito cattolico per le affermazioni irreligiose e scettiche espresse nel suo corso sulla filosofia del Rinascimento, fu anche accusato di insegnare dottrine socialiste e sospeso dall'insegnamento nel 1842 e, benché avesse la nazionalità francese e avesse ottenuto nel 1843 l'"agrégation" di filosofia per poter insegnare all'università, non fu più reintegrato nell'insegnamento universitario.

L'allontanamento dalla cattedra di Strasburgo fu all'origine del suo lungo rapporto con Proudhon che, avendo appreso il "caso Ferrari" dalla stampa, s'interessò a lui e ai suoi scritti e dette inizio ad un'amicizia che durò sino alla morte di Proudhon, nel 1865. Dal 1838 al 1847 collaborò regolarmente alla Revue des deux mondes. Durante il sollevamento delle cinque giornate di Milano contro il governo austriaco nel marzo del 1848 fu accanto a Carlo Cattaneo ma, deluso dai risultati della rivoluzione, fece rientro in Francia, dove insegnò la filosofia al Liceo di Bourges fino al 1849.

Il 2 dicembre 1851 si svolse il colpo di Stato che mise fine alla Seconda Repubblica francese e portò al trono Napoleone III; Ferrari, ricercato come repubblicano, si rifugiò à Bruxelles per sfuggire alla polizia.

Il ritorno in Italia

Ferrari ritornò definitivamente a Milano a metà dicembre del 1859, per partecipare alle vicende che porteranno all'unificazione ed alla nascita dello stato italiano. Fu eletto deputato al primo Parlamento d'Italia nel collegio di Luino nel 1859, confermato nelle elezioni del 27 gennaio-3 febbraio del 1861, eletto in secondo scrutinio nello stesso collegio di Luino, nel frattempo allargato a Gavirate. Confermato per quindici anni, Ferrari sedette al Parlamento sui banchi della Sinistra ininterrottamente per sei legislature, fino al 1876 (XII Legislatura). Nel 1870 fu pure eletto nel primo collegio di Como, ma si mantenne fedele ai suoi primi elettori.

Attività parlamentare

Il suo programma domandava per il nuovo stato italiano una costituzione federale di tipo svizzero o americano, con un esercito, delle finanze e delle leggi federali comuni, ma anche con la più ampia decentralizzazione amministrativa possibile.

Nel giugno del 1862, contro la sua volontà, Ferrari fu nominato dal re cavaliere-ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, e rimandò immediatamente il decreto di nomina al ministro della Pubblica Istruzione, che glielo aveva inviato. Ma la nomina era irrevocabile, essendo stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale.

Nominato professore di filosofia all'Accademia di Milano, benché non ci fosse a quel tempo nessuna indennità parlamentare e i parlamentari non godessero di nessun beneficio, Ferrari rinunciò allo stipendio per poter rimanere in Parlamento pur continuando a insegnare. In Parlamento, Ferrari prese posizione in sede di discussione sull'intitolazione degli atti del governo, contro la denominazione di secondo, e non primo re d'Italia, assunta da Vittorio Emanuele [2], a più riprese contro uno stato unitario, in favore di una costituzione federale e dell'autonomia delle regioni, in particolare del Mezzogiorno. Per Ferrari infatti, come scrisse nel saggio La révolution et les réformes en Italie del gennaio 1848:

«L'unità italiana non esiste, salvo in letteratura e nella poesia.»

Si è pure pronunciato contro la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia (1860), contro il trattato di commercio con la Francia (1863) e contro gli accordi con il governo francese per la ripartizione del debito già pontificio (1867) (lui, "francese al peggiorativo", come amava chiamarlo il suo irriducibile avversario, Mazzini) e in favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze (1864), prese parte attiva ai dibattiti parlamentari sulla proclamazione di Roma capitale, sul brigantaggio, sulla situazione finanziaria del nuovo regno, sulle vicende dell'Aspromonte. Il 15 maggio del 1876 fu fatto senatore. Morì improvvisamente nella notte tra il e il 2 luglio del 1876.

Assolutamente solitario e totalmente estraneo ad ogni gruppo politico e ad ogni consorteria, Ferrari non ebbe seguito e, come disse il politico Francesco Crispi intervenendo alla Camera il 3 agosto 1862:

«L'onorevole deputato Ferrari, tutti lo sanno, è una delle illustrazioni del parlamento, ma non esprime senonché le sue idee individuali»

La sua azione parlamentare è stata così caratterizzata e riassunta:[3]

«Ferrari sedeva sui banchi della Sinistra difendendo le opinioni liberali, combattendo gli arbitri e gli errori dell'amministrazione, denunciando nel piemontesismo l'indebita preminenza di una consorteria, vagheggiando la demolizione di ogni privilegio ecclesiastico, e per tutto questo poteva sembrare d'accordo con i suoi colleghi dell'Estrema, anche se talvolta si divertiva a pungerli e sgomentarli con l'indisciplinata libertà dei suoi atteggiamenti; ma intimamente non era con loro.»

Il socialismo di Ferrari

Come tutti i teorici socialisti italiani del primo Ottocento, Ferrari è fortemente influenzato dalle teorie francesi, ed in particolare dall'Illuminismo e da Proudhon. Il suo socialismo si costituisce come una radicalizzazione del principio di uguaglianza affermato dalla rivoluzione francese.

Ferrari riconosce come unico fondamento della proprietà il lavoro: propone quindi un socialismo che, non strettamente in opposizione al liberalismo, fosse fondato sul merito individuale e sul diritto di godere dei frutti del proprio lavoro. Più che con la nascente borghesia, Ferrari si pone dunque in contrasto con i residui feudali ancora presenti in Italia, ed auspica uno sviluppo industriale ed una rivoluzione borghese.

Partecipa anche attivamente al dibattito risorgimentale: contrario all'unificazione della penisola, propone come obiettivo la formazione di una federazione di repubbliche, in modo da tutelare le particolarità e l'unicità delle singole regioni. Questo progetto doveva essere attuato attraverso un'insurrezione armata, aiutata dall'intervento francese. Al contrario della maggioranza dei teorici risorgimentali (in particolare Giuseppe Mazzini), i quali credevano che l'Italia avesse una missione storica, egli credeva - abbastanza pragmaticamente - che fosse necessario l'intervento di uno stato estero per sconfiggere gli eserciti organizzati dei diversi stati italiani.

L'opinione pubblica doveva essere preparata alla rivoluzione (che doveva avvenire spontaneamente e non guidata da un gruppo di cospiratori) da un partito di stampo democratico, repubblicano, federalista e socialista (la questione sociale era infatti inscindibile da quella istituzionale). Il futuro stato federale sarebbe stato gestito da un'assemblea nazionale e da tante assemblee regionali.

Insieme a Guglielmo Pepe elaborò il termine neoguelfismo, per sottolineare il carattere reazionario di restaurare la presenza attiva della Chiesa nella vita politica dello Stato; Ferrari era critico verso la formula liberale libera Chiesa in libero Stato, ed affermava la necessità di una superiorità dello Stato rispetto alla Chiesa, corrispondente alla superiorità della ragione rispetto alla credenza religiosa.

Note

  1. ^ Giuseppe Ferrari, Sulle opinioni religiose di Campanella, Milano, Franco Angeli, 2009
  2. ^ Atti del parlamento italiano (1861)
  3. ^ P. Schinetti, Le più belle pagine di Scrittori italiani scelte da scrittori viventi. Giuseppe Ferrari, Milano, Garzanti, 1944, p. 261.

Opere

  • La mente di G. D. Romagnosi, 1835
  • La mente di Vico, 1837
  • Vico et l'Italie, 1839
  • Essai sur le principe et les limites de la philosophie de l'histoire, 1843
  • La philosophie catholique en Italie, 1844
  • La révolution et les révolutionnaires en Italie, 1844-1845
  • Des idées et de l'école de Fourier depuis 1830, 1845
  • La révolution et les réformes en Italie, 1848
  • Machiavel juge des révolutions de notre temps, 1849
  • Les philosophes salariés, 1849
  • La Federazione repubblicana, 1851
  • Filosofia della rivoluzione, 1851
  • L'Italia dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851, 1852
  • La mente di Giambattista Vico, 1854
  • Histoire des révolutions d'Italie, 1856-1858
  • Histoire de la raison d'Etat, 1860
  • L'annessione delle Due Sicilie, 1860
  • Corso sugli scrittori politici italiani, 1862
  • Il governo a Firenze, 1865
  • La Chine et l'Europe, 1867
  • La mente di Pietro Giannone, 1868
  • Storia delle Rivoluzioni d’Italia, 1872
  • Teoria dei periodi politici, 1874
  • Proudhon, 1875
  • Corso sugli scrittori politici italiani, prefazione di A. O. Olivetti, 1929
  • Opere di Giandomenico Romagnosi, Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari, a cura di E. Sestan, 1957
  • Lettere di Ferrari a Proudhon (1854-1861) a cura di F. Della Peruta, 1961
  • Scritti politici, a cura di S. Rota Ghibaudi, 1973
  • I filosofi salariati, a cura di L. La Puma, 1988
  • Scritti di filosofia politica, a cura di M. Martirano, 2006
  • Il genio di Vico, 2009
  • Sulle opinioni religiose di Campanella, 2009

Bibliografia

  • Agnelli, A., "Giuseppe Ferrari e la filosofia della rivoluzione", in: Per conoscere Romagnosi, a cura di R. Ghiringhelli e F. Invernici, 1982
  • Ferrari, A., Giuseppe Ferrari, Saggio critico, 1914
  • Frigerio, F., "Giuseppe Ferrari", in: Dictionnaire international du Fédéralisme, Bruxelles, 1994
  • Ghiringhelli, R., Giuseppe Ferrari et le fédéralisme, 1991
  • Martirano, M., Giuseppe Ferrari editore e interprete di Vico, 2001
  • Monti, A. Giuseppe Ferrari e la politica interna della Destra, 1925
  • Panizza, G. L'illuminismo critico di Giuseppe Ferrari, 1980
  • Rota Ghibaudi, S., Giuseppe Ferrari, l'evoluzione del suo pensiero (1838-1860), 1969
  • Rota Ghibaudi, S. e Ghiringhelli, T. [a cura di], Giuseppe Ferrari e il nuovo stato italiano, 1992
  • Schiattone, M., Alle origini del federalismo italiano, Giuseppe Ferrari, 1996

Altri progetti

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