Aulo Cecina Peto

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Cecina Peto)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Aulo Cecina Peto
Console dell'Impero romano
Nome originaleAulus Caecina Paetus
Nascita6 a.C. circa
Patavium?
Morte42
Roma
ConsorteArria
FigliAulo(?) Cecina Peto; Gaio Lecanio Basso Cecina Peto; Arria minore
GensCaecina
Consolatosettembre-dicembre 37 (suffetto)

Aulo Cecina Peto (in latino: Aulus Caecina Paetus; Patavium?, 6 a.C. circa – Roma, 42) è stato un magistrato e senatore romano, console dell'Impero romano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Origini e carriera[modifica | modifica wikitesto]

Peto era discendente di una gens originaria di Volaterrae, in Etruria, che forse si era spostata nella Venetia, in particolare nella città di Patavium[1][2][3].

Della carriera di Peto, non molto è noto. L'unica carica attestata lo vede però al vertice dello stato romano: Peto fu infatti console suffetto da settembre a dicembre nel 37 insieme a Gaio Caninio Rebilo[4][5]. Peto e Rebilo sembrano essere stati scelti in origine da Tiberio e confermati come suffetti da Caligola[5][6][7], che decise però di inserire se stesso e lo zio Claudio come consoli suffetti aggiuntivi nei mesi di luglio e agosto del 37, come immediati predecessori dei "tiberiani" Peto e Rebilo[4][5][7]. Durante il loro consolato, il nuovo princeps Caligola ricevette, il 21 settembre, il titolo di pater patriae[8] ma poi andò incontro ad una gravissima malattia[9][10][11], spesso considerata nelle fonti il punto di svolta del principato del giovane[12][13][14] e in ogni caso portatrice di conseguenze che influenzarono i rapporti tra il princeps e i suoi principali consiglieri[15].

Rivolta di Scriboniano e morte[modifica | modifica wikitesto]

Dopo il suo consolato, Peto prese parte, insieme ai consolari Lucio Annio Viniciano e Quinto Pomponio Secondo e ad altri notabili romani[16][17][18][19], alla rivolta di Lucio Arrunzio Camillo Scriboniano del 42[20]: la rivolta, probabilmente precipitata dalla condanna di Gaio Appio Giunio Silano all'inizio dell'anno[16][21] e agglomerante tutte le frange opposte alla continuazione del principato giulio-claudio dopo l'assassinio di Caligola nel gennaio 41[19], doveva prevedere l'insurrezione di Scriboniano in Dalmazia, provincia da lui governata in qualità di legatus Augusti pro praetore, con le legioni lì stanziate (la VII e la XI), e la rivolta contro Claudio a Roma di Viniciano, con l'appoggio di altri notabili cittadini[16][17][18][19]. Il fondamentale sostegno delle legioni dalmatiche venne però rapidamente meno: esse confermarono, forse anche grazie a presagi sfavorevoli alla ribellione[22], la loro fedeltà a Claudio (venendo poi chiamate entrambe Claudia Pia Fidelis[16]) e costrinsero Scriboniano prima alla fuga sull'isola di Issa e poi al suicidio[16], mentre i sostenitori di Claudio, in primis Messalina e i liberti imperiali, procedettero all'eliminazione dei ribelli a Roma[16].

Peto doveva trovarsi in Dalmazia insieme a Scriboniano, e al momento del fallimento della rivolta, fu trascinato a Roma in arresto[16][20]. Durante il processo a lui e alla moglie Arria di fronte a Claudio[23], la donna, nonostante la sua alta posizione sociale in quanto amica di Messalina[16], coraggiosamente decise di convincere Peto a prevenire un verdetto di sicura colpevolezza e la morte con il suicidio, mostrandogli l'esempio e anticipandolo nel togliersi la vita[16][24]. Peto, folgorato dall'esempio della moglie, decise allora di togliersi la vita[16], come racconta Plinio il Giovane:

(LA)

«Praeclarum quidem illud eiusdem, ferrum stringere, perfodere pectus, extrahere pugionem, porrigere marito, addere vocem immortalem ac paene divinam: "Paete, non dolet." Sed tamen ista facienti, ista dicenti gloria et aeternitas ante oculos erant.»

(IT)

«Fu certo famoso quell'altro gesto suo [sc. di Arria]: stringere il pugnale, immergerlo nel petto, estrarre la lama, porgere l'arma al marito, soggiungendo un detto divenuto immortale e quasi divino: "Peto, non fa male". Tuttavia facendo e dicendo ciò essa aveva dinanzi agli occhi la gloria e l'immortalità.»

Legami familiari[modifica | modifica wikitesto]

Sposato con l'integerrima Arria[24], Peto ebbe tre figli[6]. Il primo, definito da Plinio il Giovane "di una rara bellezza, di pari modestia, e caro ai genitori per tutte le sue qualità, ancor più che per esser loro figlio"[25], dovette morire ancora giovane di malattia[25]: mentre lo stesso Peto era malato, Arria preparò i funerali e ne guidò l'accompagnamento funebre senza che il marito se ne accorgesse, ed evitò ripetutamente di dar dolore a Peto nascondendogli il decesso del figlio e piangendo di nascosto per poi ricomporsi da vera matrona romana[26]. Il secondo figlio, forse il minore dei due maschi[6], fu Gaio Lecanio Basso Cecina Peto[27]: figlio biologico di Peto e Arria, egli dovette poi essere adottato per testamento dal console ordinario del 64 Gaio Lecanio Basso[27][28], e arrivò poi a ricoprire il consolato suffetto nel 70[27]. L'ultima figlia fu invece Arria minore[6], omonima della madre e in qualche modo cognata del poeta volterrano Persio[29], che sposò il patavino[30] (e quindi forse conterraneo del padre[1][2][3]) Publio Clodio Trasea[31][32]: avendo assistito al suicidio dei suoceri[31], Trasea decise non solo di adottare il cognomen Peto[33][34] ma anche di contraddistinguersi per la sua libertà di parola e di pensiero opponendosi a Nerone[30], da cui verrà condannato a morte nel 66[32]. Trasea e Arria minore ebbero una figlia, Fannia[32][35], che sposò Gaio Elvidio Prisco[36], oppositore di Vespasiano da lui condannato a morte nel 74[36][37]: il panegirico di Elvidio portò alla condanna a morte di Erennio Senecione da parte di Domiziano nel 93[38] e anche il figlio di Elvidio e Fannia, omonimo del padre, fu condannato da Domiziano nello stesso anno insieme a tutti i sostenitori del padre[38].

Fama postuma[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Arria.
Arria e Peto (Lepautre e Théodon, gruppo marmoreo, 1690 circa)
Peto e Arria (Boydell, calcografia da una riproduzione di Robert Dunkarton del dipinto di Benjamin West, 1773)

Già pochi anni dopo il loro suicidio, la vicenda di Arria e Peto ispirò la letteratura: Persio ne trasse dei versi ormai perduti[39] e Marziale un epigramma particolarmente significativo nella costruzione della fama di Arria[40].

Nella letteratura moderna, Arria è ricordata con altre due donne che seguirono il marito nella morte nei Saggi di Montaigne (1580)[41], mentre la tragedia Arria und Messalina di Wilbrandt (1874) contrappone la sua figura a quella della dissoluta moglie di Claudio. Tra le altre trasposizioni letterarie si ricordano una tragedia in francese di Marie-Anne Barbier, Arrie et Pétus (Parigi, Barbou, 1707); una lirica in tedesco di Johann Heinrich Merck, Pätus und Arria (Freistadt am Bodensee, Perrenon, 1775); una tragedia in cinque atti in inglese di John Nicholson, Paetus and Arria (Londra, Lackington Allen & Co., 1809); un quadro storico in cinque atti in ceco di Josef Wenzig, Arria a Pätus (Praga, Kober, 1872); una tragedia in tre atti in polacco di Józef Kościelski, Arria (Cracovia, Paszkowski, 1874).

La morte di Arria e Peto è stata poi spesso trasposta nell'arte figurativa d'età moderna. Il tema è presente nei dipinti di West (1766), Vincent (1785), Bouchet (1802) e Bin (1861), come anche in uno schizzo di Rossetti (1872); v'è anche il dubbio che il tema di un Tarquinio e Lucrezia attribuito a Tiziano (1515) sia in realtà la vicenda di Arria e Peto[42]. Nella scultura si ricordano i gruppi marmorei di Lepautre (1691-1696) e la terracotta di Nollekens (1771).

Esempi di adattamento della vicenda in musica sono il Singstück in tedesco Paetus und Arria, pubblicato nel 1786 da Schubart (che lo attribuì ad Anfossi) con testo e aggiunte proprie; la canzone con accompagnamento per tastiera Arria to Paetus di Shield con testo di Thomas Holcroft (1786); l'opera Arria di Staehle (1847).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b R. Syme, Tacitus, II, Oxford 1958, p. 559 nota 3.
  2. ^ a b R. Syme, Roman Papers, II, Oxford 1979, pp. 709-710.
  3. ^ a b R. Syme, Roman Papers, IV, Oxford 1988, pp. 376-377 e 386.
  4. ^ a b Fasti Ostienses, frgm. Ch (Vidman).
  5. ^ a b c A. Tortoriello, I fasti consolari degli anni di Claudio, Roma 2004, p. 620.
  6. ^ a b c d PIR2 C 103 (Groag).
  7. ^ a b Cassio Dione, Storia Romana, LIX, 7, 9.
  8. ^ A. A. Barrett, Caligula. The Abuse of Power, London-New York 2015, pp. 97-98, che rimanda in particolare ad J. Scheid, Commentarii fratrum Arvalium qui supersunt, Rome 1998, p. 31, frgm. 12c, ll. 83-91.
  9. ^ Filone di Alessandria, Legatio ad Gaium, XIV-XXI.
  10. ^ Svetonio, Caligola, XIV, 2.
  11. ^ Cassio Dione, Storia Romana, LIX, 8, 1-2.
  12. ^ Filone di Alessandria, Legatio ad Gaium, XIV, XXII, LIX, LXIII, LXVI-LXXIII.
  13. ^ Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XVIII, 256.
  14. ^ Svetonio, Caligola, VII; XIV, 2-3; XXII; L, 2.
  15. ^ Le ultime ricostruzioni sono in A. A. Barrett, Caligula. The Abuse of Power, London-New York 2015, pp. 107-109, e R. Cristofoli, Caligola. Una vita nella competizione politica, Firenze 2018, pp. 100-106.
  16. ^ a b c d e f g h i j Cassio Dione, Storia Romana, LX, 15-16.
  17. ^ a b B. Levick, Claudius, London 1990, pp. 59-60.
  18. ^ a b P. Buongiorno, Claudio. Il principe inatteso, Palermo 2017, pp. 92-94.
  19. ^ a b c A. Galimberti, La rivolta del 42 e l'opposizione senatoria sotto Claudio, in M. Sordi (ed.), Fazioni e congiure nel mondo antico, Milano 1999, pp. 205-215.
  20. ^ a b Plinio il Giovane, Lettere, III, 16, 7.
  21. ^ E. Bianchi, L'opposizione dinastica a Claudio: i casi di Livilla e Agrippina Minore, in R. Cristofoli, A. Galimberti. F. Rohr Vio (ed.), Lo spazio del non-allineamento a Roma fra tarda Repubblica e primo Principato. Forme e figure dell'opposizione politica, Roma 2014, pp. 183-204.
  22. ^ Svetonio, Claudio, XIII, 2.
  23. ^ Plinio il Giovane, Lettere, III, 16, 9.
  24. ^ a b Plinio il Giovane, Lettere, III, 16.
  25. ^ a b Plinio il Giovane, Lettere, III, 16, 3.
  26. ^ Plinio il Giovane, Lettere, III, 16, 3-5.
  27. ^ a b c PIR2 C 104 (Groag).
  28. ^ R. Syme, Roman Papers, IV, Oxford 1988, pp. 160 e 377.
  29. ^ Vita Persii, su latin.packhum.org. (ll. 28-31)
  30. ^ a b R. Syme, The Augustan Aristocracy, Oxford 1986, p. 281.
  31. ^ a b Plinio il Giovane, Lettere, III, 16, 10.
  32. ^ a b c Tacito, Annales, XVI, 34.
  33. ^ R. Syme, The Augustan Aristocracy, Oxford 1986, p. 258.
  34. ^ R. Syme, Roman Papers, IV, Oxford 1988, pp. 146, 166, 374.
  35. ^ Plinio il Giovane, Lettere, III, 16, 2; VII, 19, 3.
  36. ^ a b Plinio il Giovane, Lettere, VII, 19, 3-4.
  37. ^ Svetonio, Vespasiano, XV.
  38. ^ a b Plinio il Giovane, Lettere, III, 11, 3; VII, 19, 3-4.
  39. ^ Vita Persii, su latin.packhum.org. (ll. 47-48)
  40. ^ Marziale, Epigrammi, I, 13.
  41. ^ Montaigne, Saggi, II, 35.
  42. ^ E. M. Moormann, W. Uitterhoeve, Miti e personaggi del mondo classico. Dizionario di storia, letteratura, arte, musica, Milano 2004, p. 129.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Console dell'Impero romano Successore
Gaio Cesare Augusto Germanico I settembre-dicembre 37 Marco Aquila Giuliano
con Tiberio Claudio Nerone Germanico I con Gaio Caninio Rebilo con Publio Nonio Asprenate