Attilio Monti

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Attilio Monti (Ravenna, 8 ottobre 1906Cap d'Antibes, 23 dicembre 1994) è stato un imprenditore italiano.

Fondatore della raffineria Sarom (di cui fu presidente), proprietario dell'Eridania, oltre che dei quotidiani «Il Resto del Carlino» e «La Nazione», che oggi appartengono agli eredi (gruppo Monti-Riffeser)

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Origini[modifica | modifica wikitesto]

Figlio di Anita e Giuseppe, Attilio Monti nacque in una famiglia di modeste condizioni economiche: il padre faceva il fabbro[1]. Iniziò a lavorare giovanissimo come rappresentante di lubrificanti nelle campagne romagnole, assumendo alla fine degli anni venti la rappresentanza dell'Agip per la provincia di Bologna[2]. Non riuscendo invece a diventare agente Agip per Ravenna e Forlì, accettò di lavorare per la «Petrolifera Italo Rumena» della famiglia Ottolenghi, che aveva sede nel capoluogo ravennate[3], divenendo nel 1938 rappresentate dell'APIR per la Romagna[2].

Da giovane, Monti fu legato da una stretta amicizia con il concittadino Ettore Muti (1902-1943). L’amicizia tra i due fu cementata dalla comune adesione al fascismo. Dopo la morte di Muti, ucciso in circostanze misteriose a Fregene, sul litorale romano, il 25 agosto 1943, Monti si fece carico del mantenimento della vedova, Fernanda Mazzotti, e della figlia con un vitalizio[2].

Nel 1938 Monti realizzò a Ravenna, nell'area di Porto Corsini, un grande deposito costiero per lo stoccaggio del greggio, che però fu distrutto durante la guerra. Nel dopoguerra il deposito di Porto Corsini fu ricostruito e ad esso venne aggiunta nel 1950, lungo la banchina destra del canale Candiano, una raffineria di petrolio, gestita dalla neonata società Sarom («Società anonima di raffinazione olii minerali»). Fu con la Sarom che Monti iniziò la sua ascesa nel mondo petrolifero e finanziario internazionale[4].

Alla metà degli anni cinquanta è, con Angelo Moratti ed Edoardo Garrone (fondatore della ERG), uno dei tre imprenditori che controlla il mercato nazionale dei carburanti. Nel 1956, quando fu nominato Cavaliere del lavoro, fu il più giovane cavaliere del lavoro d'Italia[5].

Nel 1954 acquisì la società calcistica della sua città, il Ravenna Football Club, con l'intenzione di portarlo dalle serie inferiori fino alla Serie B. Nel 1958 la società, rinominata «Sarom Unione Sportiva Ravenna», fu vicinissima al raggiungimento dell'obiettivo, finendo terza ad 1 punto dalla seconda classificata (le prime due furono promosse in Serie B). Nel 1964 Monti cedette la società.

Costituzione del gruppo Monti[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1957 Attilio Monti si assicurò un contratto di esclusiva con la British Petroleum per la raffinazione di tutto il greggio destinato dalla società britannica al mercato italiano (Monti, in cambio, nel 1958[6] cedette la sua rete di distributori di benzina)[7]. Assurse così a una posizione di assoluto rilievo nel mercato dei prodotti petroliferi. A Milano Monti fece realizzare un grattacielo di 30 piani, tra i più alti della città (la Torre Galfa), per gli uffici delle proprie aziende. Nel settembre del 1966 il suo gruppo industriale acquisì in Borsa il controllo della Società Industrie Agricole Ligure Lombarda, rilevandola dai suoi storici proprietari.

La società era proprietaria non solo dell'Eridania, la più grande industria saccarifera nazionale, ma anche della S.A Poligrafici "Il Resto del Carlino" (oggi Poligrafici Editoriale), che pubblicava i quotidiani d'informazione «Il Resto del Carlino» (Bologna) e «La Nazione» (Firenze), nonché il quotidiano sportivo bolognese «Stadio». Alle tre testate del nascente impero editoriale si aggiunsero in seguito il quotidiano «Il Telegrafo» di Livorno e, nel 1969, il quotidiano romano «Il Giornale d'Italia», acquistato da Confindustria (che però fu chiuso nel 1976 dopo soli sette anni di gestione).

Quando nel 1979 Monti dovette cedere l'Eridania ai Ferruzzi, la Poligrafici fu esclusa dall'accordo ed i quotidiani rimasero di sua proprietà.

Difficoltà e cessioni[modifica | modifica wikitesto]

Nell'autunno del 1973 il gruppo Monti acquistò dalla British Petroleum la sua rete di distributori di benzina (ribattezzandoli con il nuovo marchio "Mach") e le raffinerie di Volpiano e di Porto Marghera[8], offrendo 20 miliardi di lire in più dei 100 offerti dall'Eni. Questa acquisizione però segnò per la Sarom l'inizio della parabola discendente[9] poiché, a causa della crisi petrolifera conseguente alla guerra dello Yom Kippur il prezzo del petrolio salì alle stelle e le raffinerie italiane ben presto si trovarono a soffrire di un eccesso di capacità produttiva, cosa che mise in serie difficoltà finanziarie il gruppo Monti. Nello stesso anno il governo italiano decise il razionamento dell'energia. Furono bloccate le forniture di greggio agli imprenditori privati. Monti dovette spegnere gli impianti di Gaeta, Milazzo e anche di Ravenna. Volle aiutare comunque la sua città mettendo a disposizione del Comune il kerosene ancora depositato alla Sarom[5].

In crisi di liquidità, nel 1979 Monti decise di vendere l'Eridania al gruppo Ferruzzi[10] e nel 1981 la Sarom, che possedeva le raffinerie di Ravenna, Milazzo, Gaeta, Volpiano e Porto Marghera fu ceduta al prezzo simbolico di una lira all'ENI, che si accollò gli oltre 500 miliardi di lire di debiti della società[7]. La rete di distributori Mach fu divisa tra le allora controllate del gruppo ENI, Agip e IP, e la francese Elf.[11]

Anche la Torre Galfa venne venduta: fu acquistata dalla Banca Popolare di Milano. Monti rimase però proprietario dei quotidiani, ed anzi, nel 1984, fu in lizza per l'acquisto del «Corriere della Sera» dalla liquidazione del Banco Ambrosiano, ed acquistò «Il Piccolo» di Trieste. In seguito dovette chiudere il «Il Telegrafo», ma rimase comunque proprietario di un consistente gruppo di testate giornalistiche.

L'eredità[modifica | modifica wikitesto]

Attilio Monti ebbe una sola figlia, Maria Luisa Monti, che sposò Bruno Riffeser. Nel 1976, alla morte di Bruno Riffeser, le redini del gruppo (rinominato per l'appunto Monti-Riffeser, da cui Monrif, società finanziaria quotata in Borsa) sono così passate al nipote Andrea Riffeser.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere del lavoro - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinaria

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Giampaolo Pansa, L'irresistibile ascesa del “Cavalier Artiglio”, «La Repubblica», 11 settembre 1984
  2. ^ a b c Attilio Monti, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  3. ^ Riministoria. Guido Nozzoli, su digilander.libero.it. URL consultato il 15 luglio 2021.
  4. ^ Angelo Varni (a cura di), Lo scorrere del paesaggio, Faenza, EDIT, 2007.
  5. ^ a b Lorenzo Tazzari, Monti, l'uomo che sapeva guardare lontano, in il Resto del Carlino, 29 settembre 2020.
  6. ^ Notizie economiche, in La Stampa, 18 febbraio 1958.
  7. ^ a b S. Cingolani, Le grandi famiglie del capitalismo italiano, Editori Laterza, 1990. L'ENI riutilizzò la raffineria come deposito di carburanti.
  8. ^ BP Sale to Monti Row. The Financial Times (London, England), Thursday, June 07, 1973; pg. 6; Edition 26,077.
  9. ^ "Business Diary: Major challenge for Monti." Times [London, England] 9 May 1974: 31. The Times Digital Archive.
  10. ^ Alberto Mazzuca, Gardini il Corsaro, Bologna, Minerva Edizioni, 2013, pp. 78-79.
  11. ^ Giorgio Carlevaro, Cosa è rimasto dopo il "viavai" dei marchi sulla rete carburanti, in Muoversi, n. 2, 2021.
  12. ^ Sito Federazione nazionale Cavalieri del lavoro: dettaglio decorato.
  13. ^ Dettaglio decorato MONTI Attilio sul sito della Presidenza della Repubblica Italiana, su quirinale.it. URL consultato l'11 settembre 2015.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giorgio Meletti, «MONTI, Attilio» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 76, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012.
  • «MONTI, Attilio» in Dizionario di Economia e Finanza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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