Julie Burchill

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Julie Burchill (Bristol, 3 luglio 1959) è una scrittrice e giornalista inglese.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Julie Burchill nacque a Bristol nel 1959 e trascorse la sua infanzia a Brighton. Suo padre, un sindacalista membro del Partito comunista britannico, lavorava in una distilleria, mentre la madre lavorava in una fabbrica di cartone.[1] All'età di 17 anni, Julie interruppe i suoi corsi di laurea per lavorare alla rivista NME, per la quale scrisse perlopiù articoli di musica punk.[2]

All'età di 20 anni, Burchill redasse articoli per The Face[1] per poi passare al Sunday Times, nel quale trattava di musica pop, moda, cinema e cronaca.[1] Durante gli anni 1980, Burchill gestiva una personale rubrica politica filo-thatcheriana presente nelle edizioni domenicali del Daily Mail. Nonostante ciò, la stessa giornalista invitava i lettori a votare per il Partito Laburista britannico.

Nel 1989, Burchill pubblicò il suo romanzo Ambition, che fu un bestseller in madrepatria.[1] Nel 1991 co-fondò la rivista The Modern Review, che ebbe però vita breve.[1] Dal 1998 al 2004, Burchill lavorò a una rubrica del fine settimana presente sul Guardian mentre, agli inizi degli anni duemila, iniziò a scrivere per il Times.[1]

Nel 2002 la giornalista partecipò alla stesura di un documentario dedicato alla morte di suo padre, deceduto a causa dell'amianto. Nel 2004 uscì il romanzo per ragazzi sul tema del lesbismo Sugar Rush, da cui verrà tratta l'omonima serie televisiva. Nel 2006, Burchill si trasferì a Brighton per studiare teologia. In seguito, divenne una scrittrice e giornalista freelance.[3]

Pensiero[modifica | modifica wikitesto]

Julie Burchill tratta sovente tematiche inerenti all'ingiustizia sociale, e difende la classe operaia, che considera discriminata da parte dei politici conservatori e dai media. In più occasioni, la giornalista ha criticato i media per aver usato la parola spregiativa chavs in riferimento nei confronti degli operai.[4] Burchill non difende appieno le idee della sinistra britannica, e ha spesso appoggiato la politica statunitense: si è infatti dichiarata favorevole alla guerra in Iraq ed è spesso stata favorevole alle prese di posizione del governo israeliano.[5]

Burchill si considera una filosofa e una "femminista militante". In un'intervista del Guardian, ha affermato che bisogna "rendersi conto che i diritti umani delle donne sono più importanti della cosiddetta sensibilità culturale". Burchill è infatti contraria ai precetti dell'Islam, secondo cui le donne devono indossare un velo sul capo, e possono essere sottoposte alla mutilazione genitale.[6]

Vita privata[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver a lungo pensato di convertirsi al giudaismo, dal 1999 aveva professato la fede cristiana e in seguito dichiarò che voleva diventare di nuovo ebrea. Julie Burchill si sposò tre volte ed ebbe una relazione di sei mesi con la giornalista Charlotte Raven.[7] Il più giovane dei suoi due figli, Jack Landesmann, si tolse la vita nel 2015.[8]

Controversie[modifica | modifica wikitesto]

Burchill è stata spesso presa di mira dai media per le sue posizioni politiche, considerate contraddittorie, e per la sua presunta dipendenza dalla cocaina.[9] L'ex marito di origine ebraica Cosmo Landesmann la accusò di aver abusato di stereotipi antisemiti nel suo libro The Memoirs of a Philo-Semite (2014), in cui gli ebrei sarebbero descritti irrealmente come delle persone particolarmente intelligenti e stravaganti.[10]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

  • 1978 – The Boy Looked at Johnny (con Tony Parsons)
  • 1985 – Love It or Shove It
  • 1986 – Girls on Film
  • 1987 – Damaged Gods: Cults and Heroes Reappraised
  • 1989 – Ambition
  • 1992 – Sex and Sensibility
  • 1993 – No Exit
  • 1998 – Married Alive
  • 1998 – I Knew I Was Right
  • 1999 – Diana
  • 2000 – The Guardian Columns 1998–2000
  • 2002 – On Beckham
  • 2004 – Sugar Rush
  • 2007 – Sweet
  • 2007 – Made in Brighton (con Daniel Raven)
  • 2008 – Not in My Name: A compendium of modern hypocrisy (con Chas Newkey-Burden)
  • 2014 – Unchosen: The Memoirs of a Philo-Semite

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f (EN) Squeaky queen, su theguardian.com. URL consultato il 26 luglio 2020.
  2. ^ (EN) Riffs, Rucks And Reviews, su nme.com. URL consultato il 26 luglio 2020.
  3. ^ (EN) 'I have no ambition left', su theguardian.com. URL consultato il 26 luglio 2020.
  4. ^ (EN) Julie Burchill: It's time to tackle the chav-baiters, su independent.co.uk. URL consultato il 26 luglio 2020.
  5. ^ (EN) ‘I just adore the JEWS. They can LITERALLY do no wrong in my book’, su theguardian.com. URL consultato il 26 luglio 2020.
  6. ^ (EN) 'I know we've had our spats', su theguardian.com. URL consultato il 26 luglio 2020.
  7. ^ (EN) 'I'm a happy mess', su standard.co.uk. URL consultato il 26 luglio 2020.
  8. ^ (EN) Julie Burchill mourns son, Jack, who killed himself this week, su theguardian.com. URL consultato il 26 luglio 2020.
  9. ^ (EN) EIF chiefs urge revamp of King's Theatre as fears of closure grow, su scotsman.com. URL consultato il 26 luglio 2020.
  10. ^ (EN) What Julie Burchill's ex-husband thinks of her new memoir, su spectator.co.uk. URL consultato il 26 luglio 2020.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN19747674 · ISNI (EN0000 0001 0876 517X · SBN RAVV046311 · Europeana agent/base/63001 · LCCN (ENn79042920 · GND (DE120478994 · BNF (FRcb123231142 (data) · J9U (ENHE987007330534305171 · WorldCat Identities (ENlccn-n79042920