Canonici regolari di San Marco

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I Canonici regolari di San Marco furono un'antica congregazione di chierici sorta a Mantova, forse, agli inizi del Duecento ed estinta nel Cinquecento.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Le origini delle congregazione sono oscure: una tradizione leggendaria ne fa risalire la fondazione all'evangelista Marco, quando era vescovo di Alessandria; i canonici sarebbero stati introdotti a Mantova nel 1076 da Matilde di Canossa, che avrebbe loro assegnato la chiesa di San Marco e altri beni.[1]

Le prime notizie certe risalgono agli inizi del Duecento, quando la regola composta per la comunità da Alberto da Mantova fu approvata dai papi Innocenzo III (1204), Onorio III (1220) e Gregorio IX (bolla data in Rieti il 1º settembre 1231).[2]

Alberto (forse appartenente alla famiglia Spinola) potrebbe essere stato il fondatore, non solo il riformatore, della comunità.[2]

La loro regola imponeva ai canonici la povertà, l'obbedienza, la castità, strettissimi digiuni, l'astinenza dalle carni (riservata ai religiosi ammalati) e, di venerdì e in tempo d'Avvento, anche da uova e formaggi. I religiosi dovevano osservare un rigorosissimo silenzio, anche in coro e in refettorio (potevano romperlo solo in caso di incendio o di assalto di predoni), e dovevano esprimersi in segni; il priore, se necessario, poteva parlare sottovoce.[2]

Oltre a San Marco a Mantova, nel 1220 la congregazione comprendeva le canoniche di San Marco a Parma, Santo Spirito a Verona, Santa Perpetua a Faenza e Sant'Eusebio a Sarego; nei decenni successivi si aggiunsero San Tommaso e San Giovanni a Mantova, Santi Pietro e Marcellino a Brescia, Santissima Trinità a Modena, San Bartolomeo a Vicenza, San Leonardo a Verona, Santa Pelagia a Cremona e altre.[2]

Nonostante i tentativi di papa Alessandro VI, che concesse alla congregazione di accettare religiosi provenienti da altri ordini, i canonici regolari si estinsero nel corso del Cinquecento. San Marco passò agli umiliati e, nel 1584, ai camaldolesi.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Silvio Tramontin, DIP, vol. II (1975), col. 122.
  2. ^ a b c d e Silvio Tramontin, DIP, vol. II (1975), col. 123.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Guerrino Pelliccia e Giancarlo Rocca (curr.), Dizionario degli Istituti di Perfezione (DIP), 10 voll., Edizioni paoline, Milano 1974-2003.
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