Battaglia di Forino

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Battaglia di Forino
Data663
LuogoForino
CausaInvasione del ducato di Benevento da parte dell'imperatore Costante II
EsitoVittoria longobarda, rinuncia dell'imperatore a riconquistare l'Italia meridionale
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
20 000[1]
Perdite
La quasi totalità dell'esercito[2]
Voci di battaglie presenti su Wikipedia

La battaglia di Forino fu combattuta nel 663 a Forino[3] tra l'esercito bizantino comandato dal generale Saburro e l'esercito del ducato longobardo di Benevento comandato dal duca Romualdo, figlio del re longobardo Grimoaldo. La vittoria longobarda segnò la fine del tentativo di riconquista dell'Italia meridionale da parte dell'imperatore Costante II.

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Ducato di Benevento, Impero bizantino e Regno longobardo.
I domini longobardi alla morte di Rotari (652)

L'imperatore bizantino Costante II, forse perché odiato dalla popolazione di Costantinopoli per aver ucciso il fratello Teodosio (la popolazione cominciò a chiamarlo "caino"), decise di lasciare la capitale per stabilire la propria residenza in Italia, desideroso di strapparla ai Longobardi.

Sbarcato a Taranto, nonostante la predizione avversa di un indovino tarantino, Costante II decise di aggredire il ducato di Benevento. L'assedio a Benevento tuttavia fallì per l'arrivo del re dei Longobardi Grimoaldo, accorso in aiuto del figlio e duca di Benevento Romualdo. Dopo aver subito un'altra sconfitta presso Pugna per opera del conte di Capua Mitola, Costante arrivò a Napoli[4].

Casus belli[modifica | modifica wikitesto]

L'iniziativa della battaglia fu presa da Saburro, "ottimate" del seguito di Costante II, che chiese ventimila uomini all'imperatore con la promessa di affrontare e sconfiggere Romualdo. A Benevento era già giunto re Grimoaldo il quale, non appena saputo che Saburro aveva posto l'accampamento a Forino, si accinse a muovere contro di lui; il giovane duca suo figlio, tuttavia, chiese e ottenne di poter scendere in battaglia personalmente, con una parte dell'esercito regio[2].

La posizione di Forino ha però indotto alcuni storici a interpretare diversamente il significato della battaglia: trattandosi di una località posta sui confini del ducato beneventano, sulla via Napoli-Nola-Avellino, avrebbe più verosimilmente ospitato uno scontro di frontiera o di contenimento di una puntata offensiva da parte beneventana[5].

Forze in campo[modifica | modifica wikitesto]

Paolo Diacono riporta in forma dubitativa la consistenza dell'esercito di Saburro, richiamando una tradizione che la faceva ammontare a ventimila uomini[1]; si trattava comunque soltanto di una parte dell'esercito imperiale. Non fornisce invece indicazioni precise sul contingente longobardo, salvo precisare anche in questo caso che si trattava di una parte dell'esercito di Grimoaldo[2].

Fasi del conflitto[modifica | modifica wikitesto]

L'unica descrizione del conflitto è quella offerta da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum:

(LA)

«Qui [Romuald] priusquam bellum cum eo [Saburro] iniret, a quattuor partibus tubas insonare praecepit moxque super eos audenter inrupit. Cumque utraeque acies forti intentione pugnarent, tunc unus de regis exercitu nomine Amalongus, qui regium contum ferre erat solitus, quendam Greculum eodem conto utrisque manibus fortiter percutiens, de sella super quam equitabat sustulit eumque in aera super caput suum levavit. Quod cernens Grecorum exercitus, mox inmenso pavore perterritus in fugam convertitur, ultimaque pernicie caesus, sibi fugiens mortem, Romualdo et Langobardis victoriam peperit. Ita Saburrus, qui se imperatori suo victoriae tropeum de Langobardis promiserat patrare, ad eum cum paucis remeans, ignominiam deportavit; Romuald vero, patrata de inimicis victoria, Beneventum triumphans reversus est patrique gaudium et cunctis securitatem, sublato hostium timore, convexit.»

(IT)

«[Romualdo], prima di scendere in battaglia con lui [Saburro], ordinò di suonare le trombe da quattro lati e subito arditamente si precipitò sui nemici. Mentre entrambi gli schieramenti combattevano con grande impegno, allora un uomo dell'esercito regio di nome Amalongo, che era incaricato di portare il contus [lancia pesante] del re, con quello colpendo a due mani con forza un greculo lo sollevò dalla sella sulla quale cavalcava e lo levò in aria sopra la sua testa. Avendo visto ciò, subito l'esercito greco colto da immensa paura si diede alla fuga e, sconfitto e decimato, con la fuga a sé procurò morte, a Romualdo e ai Longobardi vittoria. Così Saburro, che aveva promesso di portare al suo imperatore il trofeo della vittoria sui Longobardi, ritornando da lui con pochi [uomini], recò ignominia; invece Romualdo, ottenuta la vittoria sui nemici, ritornò a Benevento trionfante e portò gioia al patrie e sicurezza a tutti, per aver eliminato il timore dei nemici.»

Il nome di Amalongo appare di origine gotica, mentre il contus era un'arma di origine sarmatica, una lancia pesante fatta per essere maneggiata a due mani da cavallo. Presso i popoli germanici, e i Longobardi in particolare, era un simbolo regio: la sua presenza sul campo, nonostante l'assenza del sovrano, fa della battaglia di Forino una battaglia regale e non una semplice scaramuccia[5].

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Svanita ogni possibile speranza di riconquista dell'Italia, Costante si recò prima a Roma e poi a Siracusa, dove pose la residenza imperiale. Per il mantenimento della corte alzò di molto le tasse esasperando gli abitanti del luogo, molti dei quali preferirono trasferirsi a Damasco, nonostante fosse una città musulmana, piuttosto che pagare così tante tasse. Alla fine Costante II venne ucciso a Siracusa nel 668 mentre faceva il bagno[6].

Romualdo dopo la battaglia di Forino strappò ai Bizantini vari territori tra cui Taranto, riducendo i possedimenti imperiali in Puglia[7].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Il numero appare eccessivo per l'epoca, tanto che lo stesso Paolo Diacono lo riferisce con la formula «ut fertur», "a quanto si dice" (Historia Langobardorum, V, 10).
  2. ^ a b c Paolo Diacono, Historia Langobardorum, V, 10.
  3. ^ Paolo Diacono, Historia Langobardorum, V, 10: «ad locum cui Forinus nomen est».
  4. ^ Paolo Diacono, Historia Langobardorum, V, 7-9.
  5. ^ a b Capo, p. 541.
  6. ^ Paolo Diacono, Historia Langobardorum, V, 11; Gibbon, vol. 5, p. 11.
  7. ^ Paolo Diacono, Historia Langobardorum, VI, 1

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie
Fonti secondarie

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]