La ragazza di via Millelire: differenze tra le versioni
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'''''La ragazza di Via Millelire''''' è un [[lungometraggio]] del [[1980]], ambientato a [[Torino]], e diretto da [[Gianni Serra]].<br/> |
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Nello stesso periodo uscì il libro omonimo, scritto sempre del regista, edito dalla [[Samonà e Savelli|Savelli]]. |
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E' uno spaccato delle realtà sociali dei giovani delle periferie metropolitane e dei relativi servizi sociali che li seguono, ambientato ai confini di [[Torino]] agli inizi degli [[anni 1980|anni ottanta]]. La pellicola mescola vari e brevi episodi e misti dal punto di vista cronologico.<br/> |
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Il film inizia al piccolo centro d'incontro |
Il film inizia al piccolo centro d'incontro in via [[Domenico Millelire]], nel quartiere [[Mirafiori Sud]], estrema periferia di [[Torino]], gestito dagli operatori sociali Verdiana, Wanda, Lucia, e Petrini. La struttura non è lontana da ''Via Emanuele Artom'', considerata, all'epoca, un vero e proprio rione "dormitorio" di [[Mirafiori Sud]], noto focolaio di delinquenza, violenza, droga, prostituzione e disagio di giovani spesso figli [[Emigrazione italiana|immigrati meridionali]] pregiudicati e senza un lavoro.<br/> |
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Verdiana risponde al telefono, accanto a Primaldo, un ragazzo problematico e con |
L'assistente sociale Verdiana risponde al telefono, accanto a Primaldo, un ragazzo problematico e con ritardo mentale. Dall'altra parte del telefono c'è Elisabetta Pellegrino, detta Betty, una tredicenne problematica e che ha appena iniziato a bucarsi: è appena scappata da una comunità-alloggio di [[Casale Monferrato]], insieme alla sua compagna di stanza, Carmela. Una seconda telefonata alla Comunità poi, segnala che Betty è stata ritrovata in centro città, svenuta per strada. Arrivata a [[Torino]] infatti, Betty continua a frequentare ragazzi allo sbando, ladruncoli, aspiranti spacciatori e delinquenti in erba, come ad esempio Vincenzo e Michele, che vogliono spingerla a prostituirsi.<br/> |
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Verdiana si prende a cuore il caso, cercando invano di capire la vera personalità di Betty: dapprima va a parlare con Gipì, un ex drogato di una Comunità presso le campagne di [[Ivrea]] e vecchio conoscente di Betty, poi a parlare con la suora della Comunità Alloggio di Ivrea.<br/> |
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Betty intanto, in mezzo alle sue folli scorribande torinesi, viene fermata dalla polizia. Gli assistenti sociali non sanno più cosa fare. Verdiana cerca di reinserire Betty nella società civile, facendole cercare un lavoro onesto come, ad esempio, l'infermiera all'ospedale; Betty rimarrà una ragazza contraddittoria, sospesa tra la sua fresca vitalità, travolgente e - spesso - masochistica, e l'istintiva coscienza di quel che si deve rifiutare, con una continua, pura ed inespressa ricerca del riscatto |
Betty intanto, in mezzo alle sue folli scorribande torinesi, viene fermata dalla polizia. Gli assistenti sociali non sanno più cosa fare. Verdiana cerca di reinserire Betty nella società civile, facendole cercare un lavoro onesto come, ad esempio, l'infermiera all'ospedale; Betty tuttavia, rimarrà sempre una ragazza contraddittoria, sospesa tra la sua fresca vitalità, travolgente e - spesso - masochistica, e l'istintiva coscienza di quel che si deve rifiutare, con una continua, pura ed inespressa ricerca del suo riscatto sociale.<br/> |
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== Accoglienza == |
== Accoglienza e critica == |
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La presentazione in concorso al [[Mostra internazionale d'arte cinematografica|Festival del Cinema di Venezia]] [[1980]] del film spaccò in due la critica, suscitando scalpore e polemiche.<br/>Il film, sia a [[Destra (politica)|destra]] che a [[Sinistra (politica)|sinistra]] delle allora correnti politiche, fu bollato come ''denigratorio, vergognoso, nocivo''.<br/> |
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La presentazione in concorso al [[Mostra internazionale d'arte cinematografica|Festival di Venezia]] [[1980]] del film spaccò in due fazioni la critica, suscitando scalpore e polemiche.<br/>Il film, sia a destra che a sinistra, fu bollato come ''denigratorio, vergognoso, nocivo''. [[Diego Novelli]], l'allora Sindaco di [[Torino]], lo definì "Un cuneo duro, aspro, pesante, terribile, ma reale". Un cuneo affondato nel sottobosco della Torino di periferia, in una di quelle "aree dormitorio" sorte ai margini di una città industriale per ospitare i sottoproletari del "boom" economico.<br />Nonostante il gradimento del pubblico, il regista subì un processo di eliminazione dal circuito professionale cinematografico di una violenza estrema. In parole povere non gli permisero più di realizzare film per la distribuzione, perché venne bollato come autore provocatorio, cinico, e anche “mascalzone”.<br />A nulla valsero vari riconoscimenti e premi ricevuti all'estero dal film, {{Citazione necessaria|il suo permanere per molto tempo in testa alle classifiche degli incassi cinematografici nel Nord Italia}}. Ugualmente a nulla valsero la dichiarazioni di Umberto Eco, giurato, e del giurato americano, che trovarono incomprensibili scandalo e linciaggio contro un film a loro parere meritevole del Leone d'Oro.<br />Il tiro al bersaglio, politicamente trasversale, che si scatenò a Venezia contro questo film, fu in buona parte organizzato e pretestuoso: perché il bersaglio principale, oltre al Sindaco comunista [[Diego Novelli]], era colui che aveva prodotto il film, e cioè il Direttore di Rete 2 [[Massimo Fichera]], socialista anomalo, che [[Bettino Craxi|Craxi]] voleva cacciare, come infatti avvenne subito dopo.<ref>Morando Morandini - [[Trovacinema.repubblica.it]]</ref> |
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[[Diego Novelli]], l'allora [[Sindaci di Torino|sindaco di Torino]], lo definì ''"...un cuneo duro, aspro, pesante, terribile, ma reale"''. Il cuneo sociale che, di fatto, separava il degrado del [[sottoproletariato]] delle periferie con la stessa città metropolitana, industriale e dinamica.<br/> |
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Nonostante il gradimento del pubblico e di alcuni giurati di [[Venezia]], tra cui lo scrittore [[Umberto Eco]], il regista bresciano, già precedentemente cimentatosi in pellicole impegnate, subì una dura critica e un vero e proprio processo di emarginazione professionale, etichettato come troppo provocatorio, cinico, e anche “mascalzone”. A nulla valse il riconoscimento in [[Francia]] del ''Jeune Cinema'' [[Hyères]] [[1981]], dove il film fu soltanto sottotitolato, e il discreto successo e relativo incasso nelle sale cinematografiche. Tuttavia, molti ritengono che il boicottaggio fu organizzato e pretestuoso, in quanto il bersaglio principale, oltre ad una parte della [[Sinistra (politica)|Sinistra]] torinese di [[Diego Novelli]], fu lo stesso produttore del film, il direttore dell'allora [[Rai 2|Rai Due]] [[Massimo Fichera]], socialista anomalo che lo stesso [[Bettino Craxi|Craxi]] voleva cacciare, come infatti avvenne subito dopo.<ref>Morando Morandini - [[Trovacinema.repubblica.it]]</ref>. |
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⚫ | A [[Torino]], il film fu sostenuto dall'allora [[Centro di produzione Rai di Torino|Centro di produzione Rai]], in collaborazione con il [[giornalista]] torinese [[Bruno Gambarotta]]. Successivamente, la pellicola suscitò aspra disapprovazione tra alcuni consiglieri comunali, che criticarono [[Diego Novelli|Novelli]] per aver favorito la distribuzione di un film che, a loro avviso, screditava la città<br/>. Fu contestato anche dagli stessi rappresentanti dei comitati di quartiere di Via Artom a [[Mirafiori Sud]], nella quale la storia è ambientata, che raccolsero quasi cinquecento firme affinché l'opera non venisse immessa nei circuiti cinematografico e televisivo.<ref>http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,6/articleid,1447_02_1980_0242_0006_20502967/</ref> |
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== Critica == |
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⚫ | {{cit|Gli esponenti democristiani e liberali mi accusarono di non aver preso posizione contro un'opera che denigrava Torino. Ma allora quella era la Torino delle periferie. Non mancarono anche le petizioni dei residenti, che non si riconoscevano nel ritratto fatto da Serra del quartiere. Eppure quello era il mondo della periferia in tutte le grandi città italiane.'' Novelli fa un esempio, ripreso anche nel film, delle situazioni quasi paradossali che il Comune si trovava ad affrontare: ''In via Artom spaccavano tutte le notti le lampade dei lampioni pubblici. A questo punto ho voluto vedere chi aveva la testa più dura. Così, tutte le mattine, mandavo una squadra di operai a sostituirle. Loro rompevano e noi aggiustavamo. Alla fine si sono stufati loro.|Diego Novelli}} |
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Tra i protagonisti del film, antesignano misconosciuto di un genere poi diventato famoso con ''[[Mery per sempre]]'' del regista [[Marco Risi]], ci sono i ragazzi del quartiere. Oria Conforti (la Betty del film) ricorda il rapporto con loro e con il regista: "Io, pur arrivando non da quell'ambiente, mi trovai benissimo. Eravamo in sintonia. Avevo quindici anni e l'irrequietezza adolescenziale era la stessa. Alla prima del film, fatta al cinema Massimo di via Verdi a Torino, i ragazzi di via Artom ci furono al completo, alcuni di loro erano andati anche alla Mostra del Cinema di Venezia. Qui arrivò la cocente delusione della stroncatura critica, tanto da sinistra, che con un certo snobismo non voleva lavare i panni sporchi in pubblico, quanto dai conservatori che ne facevano una questione di "buona creanza". Non accettavano un'opera dove tra il pubblico e la storia non ci sono filtri. A partire da un linguaggio crudo, zeppo di bestemmie, che sono un voluto pugno nello stomaco dello spettatore. |
Tra i protagonisti del film, antesignano misconosciuto di un genere poi diventato famoso con ''[[Mery per sempre]]'' del regista [[Marco Risi]], ci sono i ragazzi del quartiere. Oria Conforti (la Betty del film) ricorda il rapporto con loro e con il regista: "Io, pur arrivando non da quell'ambiente, mi trovai benissimo. Eravamo in sintonia. Avevo quindici anni e l'irrequietezza adolescenziale era la stessa. Alla prima del film, fatta al cinema Massimo di via Verdi a Torino, i ragazzi di via Artom ci furono al completo, alcuni di loro erano andati anche alla Mostra del Cinema di Venezia. Qui arrivò la cocente delusione della stroncatura critica, tanto da sinistra, che con un certo snobismo non voleva lavare i panni sporchi in pubblico, quanto dai conservatori che ne facevano una questione di "buona creanza". Non accettavano un'opera dove tra il pubblico e la storia non ci sono filtri. A partire da un linguaggio crudo, zeppo di bestemmie, che sono un voluto pugno nello stomaco dello spettatore. |
Versione delle 13:27, 16 gen 2019
La ragazza di via Millelire | |
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Una scena del film | |
Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | |
Durata | 110 min |
Genere | drammatico |
Regia | Gianni Serra |
Soggetto | Gianni Serra, Tomaso Sherman, Tiziana Aristarco |
Sceneggiatura | Gianni Serra, Tomaso Sherman |
Produttore | Rai, Comune di Torino |
Distribuzione in italiano | SACIS, DIFILM |
Fotografia | Dario Di Palma |
Montaggio | Maria Di Mauro |
Musiche | Luis Enríquez Bacalov |
Scenografia | Silvestro Calamo |
Costumi | Stefania Benelli |
Trucco | Irma Malvicino |
Interpreti e personaggi | |
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[[Categoria:Film italiani del 1980]]
La ragazza di Via Millelire è un lungometraggio del 1980, ambientato a Torino, e diretto da Gianni Serra.
Nello stesso periodo uscì il libro omonimo, scritto sempre del regista, edito dalla Savelli.
Trama
E' uno spaccato delle realtà sociali dei giovani delle periferie metropolitane e dei relativi servizi sociali che li seguono, ambientato ai confini di Torino agli inizi degli anni ottanta. La pellicola mescola vari e brevi episodi e misti dal punto di vista cronologico.
Il film inizia al piccolo centro d'incontro in via Domenico Millelire, nel quartiere Mirafiori Sud, estrema periferia di Torino, gestito dagli operatori sociali Verdiana, Wanda, Lucia, e Petrini. La struttura non è lontana da Via Emanuele Artom, considerata, all'epoca, un vero e proprio rione "dormitorio" di Mirafiori Sud, noto focolaio di delinquenza, violenza, droga, prostituzione e disagio di giovani spesso figli immigrati meridionali pregiudicati e senza un lavoro.
L'assistente sociale Verdiana risponde al telefono, accanto a Primaldo, un ragazzo problematico e con ritardo mentale. Dall'altra parte del telefono c'è Elisabetta Pellegrino, detta Betty, una tredicenne problematica e che ha appena iniziato a bucarsi: è appena scappata da una comunità-alloggio di Casale Monferrato, insieme alla sua compagna di stanza, Carmela. Una seconda telefonata alla Comunità poi, segnala che Betty è stata ritrovata in centro città, svenuta per strada. Arrivata a Torino infatti, Betty continua a frequentare ragazzi allo sbando, ladruncoli, aspiranti spacciatori e delinquenti in erba, come ad esempio Vincenzo e Michele, che vogliono spingerla a prostituirsi.
Verdiana si prende a cuore il caso, cercando invano di capire la vera personalità di Betty: dapprima va a parlare con Gipì, un ex drogato di una Comunità presso le campagne di Ivrea e vecchio conoscente di Betty, poi a parlare con la suora della Comunità Alloggio di Ivrea.
Betty intanto, in mezzo alle sue folli scorribande torinesi, viene fermata dalla polizia. Gli assistenti sociali non sanno più cosa fare. Verdiana cerca di reinserire Betty nella società civile, facendole cercare un lavoro onesto come, ad esempio, l'infermiera all'ospedale; Betty tuttavia, rimarrà sempre una ragazza contraddittoria, sospesa tra la sua fresca vitalità, travolgente e - spesso - masochistica, e l'istintiva coscienza di quel che si deve rifiutare, con una continua, pura ed inespressa ricerca del suo riscatto sociale.
Accoglienza e critica
La presentazione in concorso al Festival del Cinema di Venezia 1980 del film spaccò in due la critica, suscitando scalpore e polemiche.
Il film, sia a destra che a sinistra delle allora correnti politiche, fu bollato come denigratorio, vergognoso, nocivo.
Diego Novelli, l'allora sindaco di Torino, lo definì "...un cuneo duro, aspro, pesante, terribile, ma reale". Il cuneo sociale che, di fatto, separava il degrado del sottoproletariato delle periferie con la stessa città metropolitana, industriale e dinamica.
Nonostante il gradimento del pubblico e di alcuni giurati di Venezia, tra cui lo scrittore Umberto Eco, il regista bresciano, già precedentemente cimentatosi in pellicole impegnate, subì una dura critica e un vero e proprio processo di emarginazione professionale, etichettato come troppo provocatorio, cinico, e anche “mascalzone”. A nulla valse il riconoscimento in Francia del Jeune Cinema Hyères 1981, dove il film fu soltanto sottotitolato, e il discreto successo e relativo incasso nelle sale cinematografiche. Tuttavia, molti ritengono che il boicottaggio fu organizzato e pretestuoso, in quanto il bersaglio principale, oltre ad una parte della Sinistra torinese di Diego Novelli, fu lo stesso produttore del film, il direttore dell'allora Rai Due Massimo Fichera, socialista anomalo che lo stesso Craxi voleva cacciare, come infatti avvenne subito dopo.[1].
A Torino, il film fu sostenuto dall'allora Centro di produzione Rai, in collaborazione con il giornalista torinese Bruno Gambarotta. Successivamente, la pellicola suscitò aspra disapprovazione tra alcuni consiglieri comunali, che criticarono Novelli per aver favorito la distribuzione di un film che, a loro avviso, screditava la città
. Fu contestato anche dagli stessi rappresentanti dei comitati di quartiere di Via Artom a Mirafiori Sud, nella quale la storia è ambientata, che raccolsero quasi cinquecento firme affinché l'opera non venisse immessa nei circuiti cinematografico e televisivo.[2]
«Gli esponenti democristiani e liberali mi accusarono di non aver preso posizione contro un'opera che denigrava Torino. Ma allora quella era la Torino delle periferie. Non mancarono anche le petizioni dei residenti, che non si riconoscevano nel ritratto fatto da Serra del quartiere. Eppure quello era il mondo della periferia in tutte le grandi città italiane. Novelli fa un esempio, ripreso anche nel film, delle situazioni quasi paradossali che il Comune si trovava ad affrontare: In via Artom spaccavano tutte le notti le lampade dei lampioni pubblici. A questo punto ho voluto vedere chi aveva la testa più dura. Così, tutte le mattine, mandavo una squadra di operai a sostituirle. Loro rompevano e noi aggiustavamo. Alla fine si sono stufati loro.»
Tra i protagonisti del film, antesignano misconosciuto di un genere poi diventato famoso con Mery per sempre del regista Marco Risi, ci sono i ragazzi del quartiere. Oria Conforti (la Betty del film) ricorda il rapporto con loro e con il regista: "Io, pur arrivando non da quell'ambiente, mi trovai benissimo. Eravamo in sintonia. Avevo quindici anni e l'irrequietezza adolescenziale era la stessa. Alla prima del film, fatta al cinema Massimo di via Verdi a Torino, i ragazzi di via Artom ci furono al completo, alcuni di loro erano andati anche alla Mostra del Cinema di Venezia. Qui arrivò la cocente delusione della stroncatura critica, tanto da sinistra, che con un certo snobismo non voleva lavare i panni sporchi in pubblico, quanto dai conservatori che ne facevano una questione di "buona creanza". Non accettavano un'opera dove tra il pubblico e la storia non ci sono filtri. A partire da un linguaggio crudo, zeppo di bestemmie, che sono un voluto pugno nello stomaco dello spettatore.
Oggi La ragazza di via Millelire è un film da far rivedere, per insegnare alle nuove generazioni e alle istituzioni un pezzo della nostra storia recente ed evitare, se possibile, che certe situazioni si ripetano. La Banlieue francese docet”.
I critici cinematografici hanno scritto a proposito del film:
- "…Patrocinato senza rossore dal comune di Torino, Il film gronda fango d'ogni parte per colpa di una sceneggiatura e di una regia compiaciute del Brutto e dello Sporco fino al cinismo… pretende far fiorire gigli dal letame… All'uscita, noi abbiamo fatto domanda d'essere assunti come camerieri in casa Agnelli: almeno l'occhio si purgherà"[3]
- "…Un film convulso, violentissimo… Il meno che si possa dire di un'opera sgradevolissima (ma che vuole esserlo) è che gronda coraggio”[4]
- "È il film più becero dell'anno"[5]
- "…Vantona, sboccata, continuamente in fuga, non riconciliata con la famiglia né con la società né con il mondo... Betty di via Millelire è un 'carattere' difficile da dimenticare"[6]
- "Il film è un cumulo di orrori: provoca solo disgusto”[7]
- "…In un film che gela l'anima Serra non va in cerca del pittoresco sottoproletario, non rassicura, non si arrende al pianto, al lamento, alla pietà"[8]
- "Il film è l'accozzaglia di devianti più ripugnante che si possa assemblare in periferia"[9]
- "Fra strepiti e clamori, presentata a Venezia la prima eroina punk..."[10]
- "Raggiunge momenti di alta intensità espressiva, astenendosi rigorosamente da qualsiasi pregiudizio"[11]
Distribuzione
- Distribuzione televisiva SACIS (in Germania, Svezia, Jugoslavia)
- Distribuzione cinematografica DIFILM
- In italiano sottotitolato in francese su youtube
Note
- ^ Morando Morandini - Trovacinema.repubblica.it
- ^ http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,6/articleid,1447_02_1980_0242_0006_20502967/
- ^ Giovanni Grazzini sul “Corriere della sera”
- ^ Sergio Frosali, “Il resto del Carlino”
- ^ Alberto Farassino su “La Repubblica”
- ^ Lietta Tornabuoni su “La Stampa”
- ^ Gianluigi Rondi su “Il Tempo”
- ^ Mino Argentieri su «Rinascita»
- ^ Valerio Caprara su “Il Mattino” di Napoli
- ^ Roberto Silvestri su “Il Manifesto”
- ^ Paolo Mereghetti nel suo Dizionario dei film
Collegamenti esterni
- LA RAGAZZA DI VIA MILLELIRE, su CineDataBase, Rivista del cinematografo.
- La ragazza di via Millelire, su FilmTv.it, Arnoldo Mondadori Editore.
- (EN) La ragazza di via Millelire, su IMDb, IMDb.com.
- (EN) La ragazza di via Millelire, su AllMovie, All Media Network.
- (EN) La ragazza di via Millelire, su Box Office Mojo, IMDb.com.
- (EN) La ragazza di via Millelire, su BFI Film & TV Database, British Film Institute (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2018).