Prometeo o il Caucaso
Prometeo | |
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Titolo originale | (GRC) Προμηθεὺς ή Καύκασος |
Altri titoli | Il Caucaso |
Atlante (a sinistra) e Prometeo (a destra) puniti da Zeus; cratere a calice laconico del VI secolo a.C. | |
Autore | Luciano di Samosata |
1ª ed. originale | II secolo d.C. |
Genere | dialogo |
Sottogenere | mitologico |
Lingua originale | greco antico |
Personaggi | Prometeo, Vulcano, Mercurio |
Prometeo o Il Caucaso (in greco antico: Προμηθεὺς ή Καύκασος?) è un dialogo di genere mitologico scritto nel II secolo d.C. da Luciano di Samosata. Lo scrittore si era già cimentato nel mito nei suoi Dialoghi, nella raccolta Dialoghi degli dei nel quale trattava in maniera satirica nei confronti degli Dei ma realistica e riflessiva della tortura di Prometeo. Il dialogo inizia come l'incipit della tragedia Prometeo incatenato di Eschilo.
Il mito di Prometeo
[modifica | modifica wikitesto]Prometeo era un titano figlio di Giapeto e Climene. Egli era il beniamino del popolo degli umani visto che li aveva creati lui usando la terra e il fuoco, ma questi erano malamente considerati da Zeus e dagli dei che li ritenevano minori e inutili. Come fratello Prometeo aveva lo sciocco Epimeteo il quale, quando gli fu dato assieme al fratello l'incarico di donare alle creature dei doni per sopravvivere, contò male i poteri e le qualità, trascurando completamente l'uomo. Successivamente Zeus si schierò apertamente contro l'umanità a causa di un torto ordito da Prometeo. Infatti durante una celebrazione di sacrifici in onore del dio, Prometeo per l'offerta tolse la carne e gli organi, lasciando al sacerdote solo le ossa e il grasso. Quando Zeus se ne accorse privò l'umanità del fuoco. Così Prometeo deciso a riprenderselo, partì per l'Olimpo e usando il carro dorato di Elio, dio del Sole, rubò il fuoco agli Dei. L'affronto, spifferato inoltre al Padre degli Dei da Epimeteo per timore di essere punito, sconvolse l'Olimpo e così Prometeo fu prelevato dal dio fabbro Efesto, nonché suo parente, e condannato ad essere incatenato sulle rocce del Caucaso con un'aquila che gli mangiava il fegato ogni giorno, su legge divina che l'organo sarebbe ricresciuto di notte per lo strazio del giorno successivo. Ad Epimeteo come premio, ma in realtà come prova, fu data da Zeus e dal contributo di tutti gli altri dei creatori la donna Pandora. Ella simboleggiava la furbizia e l'infedeltà, tanto che assieme a lei, Zeus donò al titano un vaso che avrebbe dovuto essere custodito dalla donna, senza mai aprirlo.
Il dialogo
[modifica | modifica wikitesto]La disputa tra i due Dei e il titano avviene proprio nel momento in cui Prometeo è condotto alle pendici del Monte Caucaso per essere incatenato. Il crudele Giove ha scelto il dio fabbro Vulcano come fabbricatore delle catene infrangibili da mano mortale affinché avvinghiassero più strettamente possibile Prometeo affinché non si liberasse mai più dal luogo ove era bloccato. Prometeo si dimena e supplica Mercurio e il cugino Vulcano di fermarsi cosicché gli venga concessa una seconda possibilità per redimersi ma Mercurio, più di Vulcano che vorrebbe disobbedire a Giove, è impassibile e invita il compagno ad affrettarsi nell'incatenarlo. Mentre ciò avviene Prometeo allora lancia una tremenda invettiva contro Giove, così crudele nei confronti dei più deboli come gli umani che non sono immortali e contro la lussuria e la superbia di tutti gli Dei che non pensano ad altro che crogiolarsi nella sofferenza altrui.
Mercurio invita il condannato a tacere, ricordandogli dell'imbroglio del sacrificio di Giove e specialmente del furto del fuoco. Allora Prometeo spiega ai due le ragioni per cui ha trasgredito alle regole del sommo Giove. Secondo lui era assurdo e inaccettabile che gli Dei avessero bisogno ogni volta che volevano di un sacrificio. Innanzitutto si toglievano decine e decine di vite di animali innocenti e soprattutto le loro carni, anziché servire da pasto all'uomo e ai più bisognosi doveva essere arsa sui carboni per propiziarsi qualche evento. Tutto ciò Prometeo lo rinfaccia anche a Giove dicendo che egli era un bruto e un tiranno a volere fin dall'inizio il timore dell'uomo mediante i sacrifici e templi fastosi ed enormi. Per questo il titano dichiara felicemente e fieramente di aver agito con determinazione e saggezza nell'aver diviso le parti di una vittima sacrificale un giorno separandone le carni e gli organi da destinare all'uomo e le ossa con il grasso per il Dio; tanto alla fine col fuoco tutto sarebbe andato in fumo. Dato che Mercurio non è ancora convinto, Prometeo passa alla difesa dell'uomo, sua creatura prediletta, giacché il titano lo plasmò dalla terra con acqua e fuoco. Prometeo conferma di aver dato vita ad una forma di vita perfetta, simile agli Dei, ma non nei poteri e nella longevità. Infatti l'uomo sarebbe stato destinato a morire compiuto il suo ciclo, tuttavia aveva la capacità di riprodursi, con l'introduzione da parte di Giove di Pandora, ed inoltre grazie alla sua intelligenza avrebbe prosperato per i secoli dei secoli sulla Terra proprio come una sorta di Dio, simile agli Immortali dell'Olimpo. Tutto ciò Prometeo lo aveva già concepito creando il primo uomo, tuttavia Giove non vedeva di buon occhio la sua impresa, giacché l'uomo, avendo il libero arbitrio poteva o avvicinarsi di più all'immortalità grazie al buon uso dell'intelletto e delle sue capacità oppure degradarsi governando crudelmente i suoi simili e compiendo azioni turpi e scabrose. Così il Padre degli Dei, come spiega Prometeo, privò l'uomo di qualsiasi risorsa, e suo involontario e sciocco complice fu il balordo Epimeteo, fratello minore di Prometeo, il quale nel distribuire i doni e le qualità a tutti gli animali della Terra, concessili da Giove, si era scordato di darne un po' anche all'uomo, lasciandolo privo di artigli e nudo come un verme. Così, dopo che Giove privò l'uomo del fuoco, anziché prendersela con Prometeo per il sacrificio sabotato, il titano beniamino dell'umanità salì con l'aiuto di alcuni Dei minori sull'Olimpo e nascose una fiammella in un lungo bastone per poi consegnarlo agli abitanti della Terra cosicché potessero farne buon uso scaldandosi e cuocendo il cibo. Tuttavia Giove, ottuso e superbo, per non avere noie preferì sbarazzarsi di Prometeo e dare una lezione definitiva all'uomo. Ossia egli plasmò la donna Pandora, le consegnò un vaso dove rinchiuse tutti i mali dell'Universo e la diede in sposa ad Epimeteo. Prometeo mette in evidenza la curiosità, cattivo male che affligge l'uomo, che lo porta a cercare di conoscere qualsiasi risposta ad una domanda, tuttavia gli causa anche sciagure, come nell'esempio del vaso di Pandora. La donna volendo sapere cosa contenesse lo aprì e da allora il Mondo fu invaso dal Male.
Mercurio e Vulcano, sebbene stupiti dalle parole usate da Prometeo per la sua apologia dell'uomo, notano che lui non ha ancora trovato dei buoni motivi per riscattarsi dal supplizio. Allora Prometeo chiede a Mercurio se conoscesse la ninfa Teti, figlia di Nereo, uno dei padroni minori del mare. Al suo diniego, Prometeo gli spiega che lei, secondo un oracolo nefasto, avrebbe generato un figlio che da grande avrebbe superato in tutte le capacità fisiche e intellettive il padre; perciò gli consiglia di tenere Giove a bada da lei, dato che il Padre degli Dei, amava molto tradire la moglie Giunone e generare semidei con le mortali. Mercurio, stupito dalla benevolenza di Prometeo e dalla sua onestà, sebbene tutti i mali che gli ha fatto soffrire Giove, decide di liberarlo.
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikisource contiene il testo completo dei Prometeo o Il Caucaso
Collegamenti esterni
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