Mamerco Emilio Scauro

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Mamerco Emilio Scauro
Console dell'Impero romano
Nome originaleMamercus Aemilius Scaurus
Nascita16 a.C. circa
Morte34
Roma
ConsorteEmilia Lepida
Sestia
FigliEmilia (da Lepida)
GensAemilia
PadreMarco Emilio Scauro
Pretura14?
Consolatoprimavera-estate 21 (suffetto)

Mamerco Emilio Scauro (in latino: Mamercus Aemilius Scaurus; 16 a.C. circa – Roma, 34) è stato un magistrato e oratore romano, console dell'Impero romano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Origini familiari[modifica | modifica wikitesto]

Scauro faceva parte di un illustre ramo della patrizia gens Aemilia, gli Aemilii Scauri, che erano assurti alle massime cariche della Repubblica romana tra II e I secolo a.C. Il bisnonno di Scauro era stato il grande princeps senatus, console del 115 a.C. e censore nel 109 a.C. Marco Emilio Scauro, che aveva capitanato gli optimates nei difficili primi anni del I secolo a.C.[1][2] Figlio di questo, e nonno di Scauro, era stato l'omonimo Marco Emilio Scauro, proquestore di Pompeo Magno in Siria e suo legato vittorioso contro il nabateo Areta tra 65/64 e 61 a.C., edile nel 58 a.C. e pretore nel 56 a.C., che, appoggiato nella sua candidatura al consolato dal primo triumvirato, fu accusato di malversazione al ritorno dalla sua propretura in Sardinia et Corsica, fu difeso efficacemente da Cicerone con la pro Scauro ma rimase coinvolto nello scandalo elettorale del 54 a.C., ed infine fu esiliato per corruzione nel 52 a.C.[3][4][5] Padre di Scauro, figlio del precedente con Mucia Terzia ex-moglie di Pompeo Magno, fu Marco Emilio Scauro, che tradì il fratello uterino Sesto Pompeo fuggito in Asia nel 35 a.C. e, dopo la battaglia di Azio del 31 a.C., fu condannato a morte ma salvato per intercessione della madre[6].

Carriera sotto Tiberio[modifica | modifica wikitesto]

I primi passi della carriera di Scauro non sono noti, ma nelle fonti egli compare per la prima volta il 17 settembre del 14, alla riunione in cui venne discussa l'assunzione del principato da parte di Tiberio[7]. Prendendo la parola dopo i consolari Gaio Asinio Gallo, Lucio Arrunzio e Quinto Aterio, Scauro, probabilmente pretore all'epoca[8], parlò, come i precedenti oratori, in modo sgradito a Tiberio, affermando che vi era la speranza che le suppliche del senato non fossero vane, dal momento che Tiberio non aveva opposto il veto alla mozione dei consoli con la sua potestà tribunizia. Il figlio di Augusto, diversamente a quanto fece con gli altri, non rispose alle parole di Scauro, verso cui era adirato con ancora maggior implacabilità[7].

Scauro ricompare poi nel 20, quando la moglie Emilia Lepida, da cui Scauro aveva avuto una figlia, fu accusata in senato dopo una lacrimevole scenata in teatro che aveva aizzato il popolo contro l'ex-marito Publio Sulpicio Quirinio[9][10]. Su proposta di Gaio Rubellio Blando, sostenuto da Druso minore, Lepida fu condannata per ulteriori reati gravi alla aquae et ignis interdictio, ma Scauro ottenne che i di lei beni non fossero confiscati[9].

All'inizio dell'anno successivo, il 21, Scauro intervenne in una lite in senato tra l'ex-pretore Gneo Domizio Corbulone e il giovane Lucio Cornelio Silla Felice, reo di non aver ceduto il posto ad uno spettacolo gladiatorio al primo[11]. Dopo lunghi discorsi sulla mancanza di rispetto dei giovani tenuti dai parenti di Silla, tra cui Lucio Arrunzio e soprattutto lo stesso Scauro, zio e al tempo stesso patrigno del giovane ma anche oratore più fecondo dell'epoca, Druso, console, intervenne a placare gli animi e Corbulone ottenne soddisfazione da Scauro[11].

Poco dopo, nel medesimo anno, Scauro ricoprì il consolato come suffetto - probabile segno dell'inimicizia di Tiberio, soprattutto considerando l'alta nobiltà della gens Aemilia e invece i numerosi anni trascorsi tra la pretura del 14 e il consolato[12] - nella primavera-estate del 21 insieme a Gneo Tremelio in sostituzione dello stesso Tiberio, console per la quarta volta, e di suo figlio Druso minore, console per la seconda volta[13].

Nel successivo 22, Scauro, che per motivi ignoti non amministrò mai alcuna provincia[14], si incrudelì insieme al pretore Giunio Otone e all'edile Bruttedio Nigro contro il proconsole d'Asia uscente, Gaio Giunio Silano, accusato di concussione dagli alleati di Roma, incolpandolo anche di laesa maiestas verso il divo Augusto e Tiberio[15]. Scauro diede peso alle sue accuse adducendo illustri esempi dal passato, compresa l'accusa del bisnonno Marco contro Publio Rutilio, pur ignorando, certo volontariamente, che tali esempi antichi erano riferiti a colpe ben più gravi[15]. Tacito, deprecando la condotta di Scauro, scrive:

(LA)

«Videlicet Scipio et Cato talia ulciscebantur, aut ille Scaurus, quem proavum suum opprobrium maiorum Mamercus infami opera dehonestabat.»

(IT)

«Era chiaro che Scipione e Catone avevano voluto punire ben altre colpe e, con loro, quell'antico Scauro, di cui il pronipote Mamerco, obbrobrio dei suoi maggiori, disonorava il nome con la vita scellerata.»

I cattivi costumi di Scauro sono biasimati anche da Seneca, che critica l'ottusità di chi, ricordando gli antenati di Scauro, lo aveva promosso al consolato ignorando le sue turpitudini, tutt'altro che nascoste:

(LA)

«Quid? Tu, cum Mamercum Scaurum consulem faceres, ignorabas ancillarum illum suarum menstruum ore hiante exceptare? Numquid enim ipse dissimulabat? Numquid purus videri volebat? Referam tibi dictum eius in se, quod circumferri memini et ipso praesente laudari. Pollioni Annio iacenti obsceno verbo usus dixerat se facturum id, quod pati malebat; et cum Pollionis adtractiorem vidisset frontem: 'Quidquid' inquit 'mali dixi, mihi et capiti meo.' Hoc dictum suum ipse narrabat. Hominem tam palam obscenum ad fasces et ad tribunal admisisti? Nempe dum veterem illum Scaurum senatus principem cogitas et indigne fers subolem eius iacere.»

(IT)

«E quindi? Tu, quando nominavi console Mamerco Scauro, ignoravi che lui soleva raccogliere a bocca spalancata il mestruo delle sue schiave? Forse che lui stesso lo dissimulava? Forse che voleva sembrare puro? Ti riferirò una sua battuta su di sé che ricordo circolava e veniva lodata in sua presenza. Aveva detto ad Annio Pollione malato, usando una parola oscena, che gli avrebbe fatto ciò che lui stesso preferiva subire; e avendo visto la fronte alquanto contratta di Pollione, disse: "Qualunque cosa ho detto di male, ricada su di me e sulla mia testa." Lui stesso raccontava questa sua battuta. Hai ammesso ai fasci e alla piattaforma dei magistrati un uomo tanto apertamente osceno? Certo, perché nel mentre pensavi a quel vecchio Scauro, capo del senato, e mal sopportavi che la sua discendenza giacesse inerme.»

Il padre dello stesso Seneca, Lucio Anneo Seneca il Vecchio, traccia un quadro dell'attività oratoria di Scauro, contraddistinta da una violenza, da un fascino e da un'elaborazione retorica e performativa sopraffina, ma anche da un'ignavia e da una mancanza di cura formale che ne comprometteva il risultato[16]:

(LA)

«De Scauro si me interrogatis, cum illum mecum audieritis, iniqui estis. Non novi quemquam cuius ingenio populus Romanus pertinacius ignoverit. Dicebat neglegenter: saepe causam in ipsis subselliis, saepe dum amicitur discebat; deinde litiganti similior quam agenti cupiebat evocare aliquam vocem adversariorum et in altercationem pervenire: vires suas noverat. Nihil erat illo venustius, nihil paratius: genus dicendi antiquum, verborum quoque non vulgarium gravitas, ipse voltus habitusque corporis mire ad auctoritatem oratoriam aptatus. Sed ex his omnibus sciri potest non quantum oratorem praestaret [ignarus] Scaurus, sed quantum desereret. Pleraeque actiones malae, in omnibus tamen aliquod magni neglectique ingeni vestigium extabat. Raro aliqua actio bona, sed quam fortunae imputares: eo illum longa, immo perpetua desidia perduxerat ut nihil curare vellet, nihil posset. Orationes septem edidit, quae deinde <ex> senatus consulto combustae sunt. Bene cum illo ignis egerat, sed extant libelli qui cum fama eius pugnant, multo quidem solutiores ipsis actionibus; illas enim, cum destitueret cura, calor adiuvabat; hi caloris minus habent, neglegentiae non minus. Declamantem audivimus, et novissume quidem M. Lepido ita ut, quod difficillimum erat, sibi displiceret.»

(IT)

«Se mi chiedete di Scauro, siete ingiusti, giacché lo avete ascoltato insieme a me. Non ho mai conosciuto nessuno il cui talento il popolo romano abbia perdonato in modo più tenace. Parlava con negligenza: spesso apprendeva la causa sulle stesse panche del tribunale, spesso mentre si vestiva; poi, più simile ad un accusatore che ad un difensore, desiderava strappare qualche commento agli avversari e arrivare alla lite: conosceva le sue forze. Nulla era più affascinante, nulla più abile di quello: un modo di parlare all'antica, anche una solennità di parole non volgari, la stessa espressione e gestualità del corpo straordinariamente adattate all'autorevolezza dell'oratoria. Ma da tutto questo si può capire non che grande oratore fosse Scauro, ma che grande oratore rifiutò di essere. La maggior parte delle sue performances erano brutte, ma in tutte sopravviveva qualche traccia di un grande ma trascurato talento. Raramente qualche performance era buona, ma tale che la si imputerebbe ad un colpo di fortuna: a tal punto una lunga, anzi perpetua accidia lo aveva condotto a non voler curare nulla, a non poter curare nulla. Pubblicò sette orazioni, che poi furono bruciate per senatoconsulto. Bene aveva fatto con lui il fuoco, ma sopravvivono dei libercoli di appunti che contrastano con la sua fama, certo molto più sciolti delle performances stesse; queste, infatti, in mancanza di cura, erano aiutate dal fervore, mentre quelli hanno minor fervore, ma non minor trascuratezza. Lo abbiamo sentito declamare, e ultimamente proprio a Marco Lepido, in modo tale che - cosa assai difficile - era lui stesso insoddisfatto di sé.»

Caduta e suicidio[modifica | modifica wikitesto]

Scauro ricompare poi dieci anni dopo, passando da accusatore ad accusato, quando nel 32, sulla scia del vortice di processi scatenati dall'arresto e dalla morte di Seiano, Scauro fu incolpato di maiestas insieme agli altri consolari Gaio Annio Pollione con il figlio non consolare Lucio Annio Viniciano, Gaio Appio Giunio Silano e Gaio Calvisio Sabino[17]. Se Silano e Sabino furono messi fuori pericolo dal tribuno della coorte urbana Celso, le cause di Pollione, Viniciano e Scauro furono avocate a sé da Tiberio in persona, per esaminarle insieme al senato: solo per Scauro il princeps aggiunse osservazioni ominose[17].

Il processo dovette per il momento concludersi però con un'assoluzione. Due anni dopo, infatti, nel 34 Scauro venne accusato una seconda volta di maiestas da Servilio Tusco e Cornelio Prisco[18]: se questi due lo incolpavano di adulterio con l'ex-moglie di Druso minore Livilla e di pratiche magiche, fu però l'azione del nuovo prefetto del pretorio Macrone, bravo come Seiano a distruggere le persone ma più discreto del predecessore, a sugellare la fine di Scauro, che venne denunciato per aver scritto la tragedia Atreus, in cui la biasimata figura di Atreo sembrava - secondo l'accusa - riferirsi a Tiberio e alcuni versi inseriti da Macrone si rivolgevano esplicitamente contro il princeps[14][18][19][20]. Scauro, definito da Tacito "insigne per nobiltà di stirpe e per la sua oratoria avvocatesca, ma ignominioso per la sua condotta di vita", decise allora, su esortazione della moglie Sestia, di suicidarsi insieme alla stessa moglie, con un gesto, secondo lo stesso storiografo, "degno degli antichi Emili"[18][14].

Scauro era stato sposato prima con la nobile Emilia Lepida, promessa sposa di Lucio Cesare e poi moglie di Publio Sulpicio Quirinio[9], e in seguito con Sestia[21], ma non aveva avuto figli maschi, mentre l'unica figlia avuta da Lepida sembra essere morta prima di lui[22]: Lucio Cornelio Silla Felice, suo figliastro e nipote al tempo stesso[11], era quindi solamente figlio di Sestia e del primo marito di lei, il quale doveva essere fratello uterino di Scauro[10]. Con quest'ultimo, come afferma Seneca il Vecchio, si estinse l'illustre famiglia degli Aemilii Scauri[22].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Tacito, Annali, III, 66, 2; Seneca, Dei benefici, IV, 35, 5.
  2. ^ Ronald Syme, Sallust, Berkeley, 1964, pp. 155-172 passim.
  3. ^ T.S.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, II pp. 153-217 passim.
  4. ^ Erich Gruen, The last generation of the Roman republic, Berkeley, 1995, pp. 149, 333-337, 348.
  5. ^ Ronald Syme, Sallust, Berkeley, 1964, pp. 30, 166, 252.
  6. ^ PIR2 A 405; Ronald Syme, The Roman Revolution, Oxford, 1939, pp. 228, 269, 299, 349-350, 377, 492.
  7. ^ a b Tacito, Annali, I, 13, 4.
  8. ^ Ronald Syme, Roman Papers, III, ed. by Anthony R. Birley, Oxford, 1983, p. 1018 n. 15.
  9. ^ a b c Tacito, Annali, III, 23.
  10. ^ a b Ronald Syme, The Augustan aristocracy, Oxford, 1986, pp. 261-262.
  11. ^ a b c Tacito, Annali, III, 31, 3-4.
  12. ^ Ronald Syme, Tacitus, Oxford, 1958, I, p. 316 con n. 8; The Augustan aristocracy, Oxford, 1986, p. 267.
  13. ^ CIL VI, 2023b; CIL IV, 1553; Svetonio, Tiberio, 26.
  14. ^ a b c Cassio Dione, Storia Romana, LVIII, 24, 3-5.
  15. ^ a b Tacito, Annali, III, 66.
  16. ^ Esempi sono in Seneca il Vecchio, Controversiae, I, 2, 22; II, 1, 39; IX, 5, 17; X, 1, 9; X, 2, 19; X, 31, 19; Seneca, Epistole, XXIX, 6. Scauro è definito elegantissimus anche in Petronio, Satyricon, LXXVII, 5.
  17. ^ a b Tacito, Annali, VI, 9, 3-4.
  18. ^ a b c Tacito, Annali, VI, 29, 3-4; Seneca il Vecchio, Suasorie, II, 22; C. Russo Ruggieri, La rilevanza della anteacta vita nell'esperienza processuale, in Annali del seminario giuridico dell'Università di Palermo, 60 (2017), pp. 117-162, in particolare p. 135.
  19. ^ Svetonio, Tiberio, 61.
  20. ^ Cfr. Ronald Syme, Tacitus, Oxford, 1958, I, p. 362 con n. 7.
  21. ^ Tacito, Annali, VI, 29, 3-4; CIL VI, 23073.
  22. ^ a b Seneca il Vecchio, Suasorie, II, 22.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Fasti consulares Successore
Tiberio Cesare Augusto IV 21 (primavera-estate) ?
con Druso Giulio Cesare II con Gneo Tremelio con ?