Birra in Italia
L'Italia è il paese con il tasso di consumo di birra più basso d'Europa, (circa 28,6 litri pro capite all'anno).[1] Storicamente nella penisola italiana si produce e si consuma molto vino, nonostante ciò la birra è diffusa e bevuta in tutto il paese, anche se in modiche quantità.[senza fonte] Tradizionalmente viene abbinata alla pizza, ma fin dagli anni settanta le occasioni di consumo hanno cominciato a moltiplicarsi variando da questo classico binomio.[senza fonte] Difficilmente comunque la birra viene consumata a tavola, che rimane il regno incontrastato del vino, ma viene piuttosto considerata una bevanda rinfrescante.[senza fonte] Non a caso la maggior parte degli italiani preferiscono bere una delle birre chiare a bassa fermentazione presenti sul mercato, prodotte industrialmente e con un basso tenore alcolico.[senza fonte]
Storia
In Piemonte, a Pombia, nell’attuale provincia di Novara, scavi archeologici hanno portato alla luce una necropoli protoceltica a cremazione, appartenente alla cultura di Golasecca. In una tomba a pozzetto, in proprietà Baù, risalente al 560 a.C.. sono state rinvenute tracce di birra.[2]
In Italia il primo a coltivare luppolo per la produzione della birra fu il forlivese Gaetano Pasqui, nel 1847.[3]
In generale la metà del XIX secolo vede la nascita di piccoli impianti industriali per la produzione di birra, specialmente al Nord;[4] produzione e consumo, in costante ascesa, raggiungono il picco alla fine degli anni venti, con 1.569.000 hl prodotti nel 1925. A partire però dal 1927 (con la famigerata Legge Marescalchi) e con l'aumento della tassazione sulla birra, il consumo e quindi la produzione di birra calano rapidamente (a favore di chi produceva vino). Le successive vicende belliche non aiutano, e i decenni successivi alla seconda guerra mondiale vedono livelli altalenanti di produzione e consumo, tendenzialmente comunque sempre in crescita, sino agli anni più recenti.
XXI secolo
A partire dal 1996, in seguito a novità legislative che permisero anche ai privati di produrre legalmente birra (homebrewing) un gran numero di microbirrifici hanno aperto i battenti.[5][6] Queste piccole realtà possono definirsi tali se la loro produzione non supera i 5.000 (o secondo altri 10.000) hl annui.[7]
La produzione dei microbirrifici italiani nel complesso presenta una creatività e una varietà notevolissima, forse proprio a causa della mancanza di una tradizione consolidata. Si producono birre ispirate ai più diversi stili internazionali, ed anche create con ingredienti e aromatizzazioni più o meno inusuali come farro, frutta e castagne, ma anche mirra, zenzero e fagioli. Inoltre in diverse realtà l'esperienza derivata dalla vinificazione è stata messa a frutto anche per la produzione della birra.
Nella seconda metà degli anni 2000 anche l'esportazione di queste birre "artigianali" ha raggiunto un discreto livello, principalmente sul mercato statunitense, ricevendo in alcuni casi un ottimo apprezzamento, come testimoniano i principali siti internet di rating.[8]
Legislazione
La legislazione italiana suddivide la birra nelle seguenti categorie, con finalità fiscali (differenti accise):
- birra doppio malto: oltre 14,5 gradi Plato
- birra speciale: oltre 12,5 gradi Plato
- birra: oltre 10,5 gradi Plato e titolo alcolometrico volumico superiore a 3,5%
- birra leggera o light: grado Plato compreso tra 5,0 e 10,5 e titolo alcolometrico volumico compreso tra 1,2% e 3,5%
- birra analcolica: grado Plato compreso tra 3,0 e 8,0 e titolo alcolometrico volumico inferiore a 1,2%
Da sottolineare che è entrato nel linguaggio comune il termine "birra doppio malto", ma in realtà non ha alcun significato se non, appunto, di tipo fiscale, e quindi non serve ad individuare un particolare tipo di birra rispetto ad un altro, contrariamente a quanto comunemente si crede.[9]
Birre
Nel XXI secolo, ci sono pochi grandi birrifici tra i quali possiamo ricordare:
- i tre stabilimenti Peroni di Roma, Bari e Padova, nata originariamente a Vigevano (PV) nel 1846, proprietà della multinazionale SABMiller, nei quali si producono anche Nastro Azzurro, Wührer, e Raffo;
- lo stabilimento ex "Industrie Poretti" nel sito di Induno Olona presso Varese, dal 1982 proprietà della Carlsberg[10]; il secondo stabilimento situato a Ceccano presso Frosinone, dove un tempo veniva prodotta la Splügen Brau è stato chiuso nel 2009;
- i birrifici Heineken Italia (Pollein, Massafra, Comun Nuovo, Assemini), che producono anche i marchi Birra Moretti, Birra Ichnusa, Birra Messina, Dreher e la birra Von Wunster storico marchio bergamasco;
- L'alto atesina Forst, maggiore produttore italiano indipendente, controlla anche la Menabrea di Biella;
- Birra Castello, produttore friulano attivo dal 1997 in seguito all'acquisizione di un impianto del marchio Birra Moretti. All'inizio del 2006 ha rilevato dalla Heineken anche lo storico stabilimento di Pedavena e il relativo marchio.
- Drive Beer, a Baragiano in provincia di Potenza, che produce fra gli altri i Morena, Drive Beer, Black Royal.
- Birra Venezia nel 1928 inglobata da Birra Pedavena, è tornata autonoma ed ha riapreso la produzione nel 2008.[11]
Note
- ^ http://www.assobirra.it/press/wp-content/ar2011_assobirra.pdf
- ^ Marco Cattaneo, La bionda venuta da lontano, Milano 2013
- ^ Umberto Pasqui, L'uomo della birra, CartaCanta Editore, Forlì 2010
- ^ Dal sito www.mondobirra.org
- ^ http://www.beercoasters.it/ITALIAN%20MICROS.HTM Vedi gli anni di fondazione dei birrifici italiani
- ^ Gli anni del fermento, articolo di Luca Giaccone per Slowfood
- ^ http://www.unionbirrai.it/index.php?option=com_content&view=article&id=47&Itemid=54 Statuto di Unionbirrai, si veda ad esempio l'articolo 10
- ^ The Best Pilsener in the World according to RateBeer.com
- ^ Dal sito: www.microbirrifici.org
- ^ Carlsberg
- ^ birravenezia.it, http://www.birravenezia.it/art-1/birra_artigianale .