Attilio Regolo (incrociatore)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Versione del 11 ott 2012 alle 23:28 di FrescoBot (discussione | contributi) (Bot: articoli sovrannumerari e modifiche minori)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Attilio Regolo
voci di navi presenti su Wikipedia

L'Attilio Regolo è stato un piccolo e veloce incrociatore leggero della Regia Marina appartenente alla classe Capitani Romani. Delle dodici unità previste, solo tre entrarono in servizio, prendendo parte al secondo conflitto mondiale: Attilio Regolo, Scipione Africano e Pompeo Magno. Le altre non vennero mai completate.

Attività bellica

La sua costruzione avvenne nel Cantiere navale OTO di Livorno dove il suo scafo impostato il 29 settembre 1939 venne varato il 28 agosto 1940. Entrato in servizio il 14 maggio 1942, il successivo 7 novembre al rientro da una missione di posa di mine fu colpito da un siluro del sommergibile inglese Unruffled che gli asportò completamente la prora. Dopo essere riuscito a raggiungere Messina venne rimorchiato fino alla Spezia, dove gli venne applicata la prora del Caio Mario ancora in costruzione.

Immagini della nave in navigazione senza prora
L'Attilio Regolo naviga senza la prora
dopo il siluramento
L'Attilio Regolo con la prora asportata

Armistizio e affondamento della corazzata Roma

Rientrato in servizio il 4 settembre 1943, il giorno dell'armistizio dell'8 settembre la nave si trovava a La Spezia al comando del Capitano di Vascello Notorbartolo di Sciara, e faceva parte della VII Divisione, insieme agli incrociatori Montecuccoli ed Eugenio di Savoia, nave ammiraglia della VII Divisione con insegna dell'ammiraglio Oliva. In quella giornata l'Ammiraglio Bergamini, comandante delle forze navali da battaglia, venne avvertito telefonicamente dal Capo di Stato maggiore della Marina De Courten dell'armistizio ormai imminente, e delle relative clausole che riguardavano la flotta, che prevedevano il trasferimento immediato delle navi italiane in località che sarebbero state designate dal Comandante in Capo alleato, dove le navi italiane sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino, e che durante il trasferimento avrebbero innalzato, in segno di resa, pennelli neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde. La proclamazione dell'armistizio giunse via radio nella stessa serata, dopo che qualche ora prima era stata già data notizia via radio da Algeri.

Bergamini era andato su tutte le furie[1] per poi formalmente accettare con riluttanza gli ordini, dopo che ebbe l'assicurazione che era esclusa la consegna delle navi e l'abbassamento della bandiera e dopo essere stato informato che il generale Ambrosio aveva chiesto agli angloamericani che la Flotta per motivi tecnici potesse trasferirsi alla Maddalena, dove tutto era pronto per l'ormeggio delle navi e dove si sarebbero trovati il Re Vittorio Emanuele III e il governo.

Alle 3 del mattino del 9 settembre, dopo concitate riunioni tra ufficiali, dove erano emerse diverse posizioni, quali l'intenzione di salpare per cercare un'ultima battaglia, o di autoaffondare le navi, avendo Bergamini preso in mano la situazione, da La Spezia partì per dirigersi all'isola sarda della Maddalena, il gruppo navale formato dalle corazzate Roma, con l'insegna di nave ammiraglia della flotta, Vittorio Veneto e Italia che costituivano la IX Divisione, dagli incrociatori della VII Divisione, con l'Attilio Regolo che svolgeva il ruolo di conduttore di flottiglia dei cacciatorpediniere di squadra con l'insegna dell'ammiraglio Garofalo, dai cacciatorpediniere Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia ed i cacciatorpediniere Legionario, Oriani, Artigliere e Grecale della XIV Squadriglia ed una Squadriglia di torpediniere formata da Pegaso, Orsa, Orione, Ardimentoso e Impetuoso.

Il gruppo, circa tre ore dopo la partenza, si ricongiunse con il gruppo navale proveniente da Genova, formato dalle unità della VIII Divisione, costituita da Garibaldi, Duca degli Abruzzi e Duca d'Aosta, nave insegna dell'ammiraglio Banchieri, preceduti dalla torpediniera Libra, al cui comando c'era il capitano di Corvetta Riccardi. Dopo il ricongiungimento delle due formazioni navali, per ottenere una omogeneità nelle caratteristiche degli incrociatori, il Duca d'Aosta passò dalla VIII alla VII Divisione, sostituendo l'Attilio Regolo che passò alle dipendenze della VIII Divisione.

La formazione navale, composta da ventitré unità, navigava senza avere issato i pennelli neri sui pennoni e aver disegnato i dischi neri sulle tolde come prescritto dalle clausole dell'armistizio, ma la corazzata Roma con a bordo l'insegna dell'ammiraglio Bergamini aveva innalzato il gran pavese. La formazione quando nel pomeriggio del 9 settembre stava per raggiungere La Maddalena, Bergamini venne avvertito da un messaggio di Supermarina che La Maddalena era stata occupata dai tedeschi e gli venne ordinato di cambiare rotta e dirigersi a Bona in Algeria. Bergamini ordinò di invertire subito la rotta di 180º, manovra che venne eseguita a velocità elevata. La formazione, al largo dell'isola dell'Asinara, venne sorvolata ad alta quota da bimotori Dornier Do 217 della Luftwaffe partiti dall'aeroporto di Istres, presso Marsiglia che sganciarono bombe razzo teleguidate Ruhrstahl SD 1400, conosciute dagli alleati con il nome di Fritz X, la cui forza di penetrazione era conferita dall'alta velocità acquistata durante la caduta, essendo prescritto il lancio da un'altezza non inferiore ai 5000 metri. La bomba era munita di un apparecchio ricevente ad onde ultracorte trasmesse dall'aereo, che permetteva di dirigerla verso il bersaglio ed avrebbero potuto essere contrastate solo con disturbi radio, in quanto volando alla quota di 6500 metri gli aerei sarebbero stati irraggiungibili. Per una troppo stretta ottemperanza alle disposizioni del Comando Supremo di osservare la neutralità, non vennero lanciati i caccia che le corazzate classe Littorio portavano a bordo, il solo mezzo che avrebbe potuto contrastare l'azione ad alta quota dei bombardieri tedeschi.

Alle 15.45 la corazzata Roma venne centrata una prima volta da un colpo che apparentemente non produsse effetti devastanti, anche perché l'esplosione avvenne in profondità nello scafo, ma un secondo colpo alle 15.50 centrò la nave verso prua con conseguenze ben diverse per la nave e per gran parte dell'equipaggio: la torre n. 2 saltò in aria, cadendo poi in mare, con tutta la sua massa di 1500 tonnellate, pari a quella di un cacciatorpediniere o di 30 carri armati Tiger. Lo scafo si spaccò dopo pochi minuti. La torre corazzata di comando fu investita da una tale vampata, che venne addirittura deformata e piegata dal calore, abbattendosi in avanti e scomparendo proiettata in alto a pezzi in mezzo a due enormi colonne di fumo: l'ammiraglio Bergamini con il suo stato maggiore, il comandante della nave Adone Del Cima e buona parte dell'equipaggio vennero uccisi pressoché all'istante. La vampata salì almeno a 400 metri di quota, formando il classico «fungo» delle grandi esplosioni.

La nave, alle 16.11, girandosi su un fianco, si capovolse e, spezzandosi in pochi minuti in due tronconi affondò, mentre sul ponte si affannavano i marinai supersiti, molti gravemente feriti ed ustionati. Mentre la nave sprofondava in acqua, dopo che lo scafo si era spezzato in due, chi si trovava a bordo rimase condannato, specialmente chi era a poppa e cinquanta marinai in procinto di gettarsi in acqua vennero travolti. Chi poté farlo, riuscì ad allontanarsi e ad essere salvato dai cacciatorpediniere di scorta.

Senza attendere ordini Mitragliere e Carabiniere invertirono immediatamente la rotta per recuperare i superstiti, seguiti da Regolo e Fuciliere. A queste unità si aggiunsero le torpediniere Pegaso, Orsa e Impetuoso.

I naufraghi della Roma, recuperati dalle unità navali inviate in loro soccorso furono seicentoventidue, di cui cinquecentotre recuperati dai tre cacciatorpediniere, diciassette dall’Attilio Regolo e centodue dalle tre torpediniere.

Successivamente venne colpita gravemente, ma non in maniera mortale, anche l'Italia (ex Littorio), ma essendo la carica di scoppio assai ridotta, la nave da battaglia, nonostante avesse imbarcato circa ottocento tonnellate di acqua continuò, seppure appesantita a navigare in formazione.

A prendere il comando della flotta diretta a Malta, dopo l'affondamento dalla Roma, fu l'ammiraglio Oliva, il più anziano tra gli ammiragli della formazione e comandante della VII Divisione con insegna sull'Eugenio di Savoia, che adempì ad una delle clausole armistiziali, quello di innalzare il pennello nero del lutto sui pennoni ed i dischi neri disegnati sulle tolde.[2] mentre le sette navi si erano fermate a recuperare i morti e i feriti dell'ammiraglia, il resto della squadra proseguì la navigazione dirigendo verso Malta destinazione scelta dagli alleati, dove la formazione si sarebbe ricongiunta con il gruppo proveniente da Taranto guidato dall'ammiraglio Da Zara e costituito dalle Duilio dal Cadorna e dal Pompeo Magno.

Nel frattempo i cacciatorpediniere della Classe Navigatori Ugolino Vivaldi e Antonio Da Noli, che avevano lasciato La Spezia la sera dell'8 settembre con destinazione Civitavecchia, dove si sarebbero dovuti imbarcare il Re e il governo per raggiungere La Maddalena, essendo stata l'isola occupata dai tedeschi, venne deciso che il Re si recasse a Brindisi e le due unità, ormai in prossimità di Civitavecchia, ricevettero il contrordine di ricongiungersi con la Squadra partita da La Spezia e proseguire per Bona; ma essendo le navi costrette a passare attraverso le Bocche di Bonifacio, le due unità vennero attaccate delle motosiluranti tedesche e subirono il bombardamento delle batterie costiere tedesche posizionate in Corsica, incappando anche in campi minati e naufragando. Le navi impegnate nel salvataggio dei naufraghi della corazzata Roma, ricuperarono anche i sopravvissuti dei due cacciatorpediniere.

Il recupero dei naufraghi si concluse poco prima delle 18 ed a quel punto il Capitano di Vascello Marini, comandante del Mitragliere, caposquadriglia della XII, tenuto conto dei molti feriti gravi a bordo, richiese al Regolo, l'autorizzazione a dirigere ad alta velocità verso Livorno, ma venne informato dal comandante del Regolo, che il comandante del gruppo cacciatorpediniere di squadra, il Capitano di Vascello Franco Garofalo, non era a bordo in quanto era stato autorizzato da Bergamini a imbarcarsi su una corazzata, ma la sua insegna era rimasta sul Regolo e a quel punto il comandante superiore in mare del gruppo di sette navi, come ufficiale più anziano, era proprio Marini, che si trovava all'improvviso a dover prendere delle decisioni, sprovvisto delle informazioni utili a questo scopo. Il gruppo si trovava nella impossibilità di mettersi in contatto con la formazione al comando dell'ammiraglio Oliva e con Supermarina, non ricevendo risposta ai loro messaggi e dalla intercettazione dei messaggi di Supermarina dimostravano l'impossibilità di rientrare in porti italiani per sbarcare i feriti che avevano urgente bisogno di cure ospedaliere per cui era a quel punto necessario raggiungere le coste neutrali più vicine per lo sbarco dei feriti che non era possibile curare a bordo a causa della gravità delle loro condizioni ed inoltre le navi avevano ormai una ridotta autonomia a causa della riduzione delle scorte di nafta.

Il comandante Marini, data la minore velocità delle torpediniere divise il gruppo in due e diede alle torpediniere libertà di manovra sotto il comando del Capitano di Fregata Riccardo Imperiali, comandante del Pegaso, assumando il comando del resto della formazione composta dal Regolo e dai tre cacciatorpediniere. Marini e Imperiali decisero autonomamente ed indipendentemente di dirigere le loro formazioni verso le Baleari, considerato che la Spagna era neutrale, sperando che avrebbe consentito lo sbarco dei feriti e forniti i necessari rifornimenti di carburante e acqua potabile, senza procedere all'internamento delle navi ed aveva il vantaggio di essere in posizione centrale rispetto a eventuali successivi spostamenti verso l'Italia, verso Tolone o verso l'Africa settentrionale.

L'internamento alle Baleari

I due gruppi giunsero nelle Baleari nella mattinata del 10 settembre, con il gruppo di Marini che attracco a Porto Mahon nell'isola di Minorca e le tre torpediniere nella baia di Pollensa nell'isola di Maiorca.

Dei seicentoventidue naufraghi recuperati, nove decedettero a bordo delle navi e sedici sarebbero deceduti all'Ospedale di Porto Mahon.

L'Attilio Regolo in linea di fila con Mitragliere, Fuciliere e Carabiniere al rientro a Taranto il 23 gennaio 1945.

Nel primo pomeriggio del 10 settembre vennero sbarcati e trasportati all'ospedale 133 tra feriti e ustionati, mentre la mattina dell'11 settembre le salme di coloro che erano morti durante la traversata vennero deposte su un camion che si avviò al cimitero, seguito da un mesto corteo di marinai italiani, dove venne dato loro sepoltura. Nella notte tra il 10 e l'11 settembre a bordo del Regolo per evitare che lasciando le acque spagnole la nave dovesse consegnarsi agli alleati, aveva sabotato le turbine della nave. Nella stessa notte i comandanti del Pegaso e dell'Impetuoso Imperiali e Cigala Fulgosi alle 3 del mttino dell'11 settembre, dopo aver lasciato gli ormeggi autoaffondarono le due unità, i cui equipaggi raggiunsero terra con le imbarcazioni e furono internati. Il comandante Marini aveva cercato di avere i rifornimento di acqua e nafta, che gli spagnoli non concessero con vari espedienti e nel pomeriggio dell'11 settembre le autorità spagnole, senza aver dato il necessario preavviso, previsto dalla Convenzione dell'Aia, comunicarono al Comandante Marini che le navi non avendo lasciato gli ormeggi entro le previste 24 ore erano sotto sequestro per ordine del governo spagnolo.

I mesi che seguirono l'internamento furono carichi di tensione, con molti componenti degli equipaggi delle navi che simpatizzavano apertamente per la Repubblica Sociale Italiana. Nel gennaio 1944 vi fu la diserzione del direttore di macchina del Fuciliere, il capitano del genio navale Alberto Fedele e del direttore di tiro del Regolo, il Tenente di Vascello Mario Ducci, che con l'aiuto dell'ex addetto navale italiano raggiunsero il Nord Italia. A febbraio ci fu un tragico tentativo di fuga da parte 10 marinai del Regolo, che usciti in franchigia non erano più rientrati; la contemporanea sparizione di un peschereccio da 14 tonnellate fece ritenere che i dieci avesse rubato il motopeschereccio per attuare un loro progetto di fuga ed il fatto che quella notte e nei giorni successivi il tempo fu burrascoso con vento e mare agitatissimo fece ritenere che i fuggiaschi fossero naufragati.

Forti tensioni vi furono a causa dell'astio che militari e civili spagnoli di fede falangista covavano verso gli equipaggi delle navi ritenuti badogliani.

Dopo molte trattative diplomatiche le navi vennero autorizzate a lasciare le acque spagnole il 15 gennaio 1945, raggiungendo Taranto il 23 gennaio.

Dopoguerra

Nel dopoguerra, in base alle clausole del trattato di pace fu tra le unità che l'Italia dovette mettere a disposizione come riparazione per danni di guerra ed il 27 luglio 1948, fu ceduto alla Francia con la sigla R4.[3]

Chateaurenault (D 606)

Insieme al Regolo anche il gemello Scipione Africano venne ceduto ai francesi. Le due unità costituirono nella Marine Nationale la Classe Chateaurenault e vennero riarmate con cannoni ex-tedeschi da 105mm, gli stessi che costituivano l'armamento antiaereo degli incrociatori tedeschi Classe Hipper che sostituirono i cannoni 135/45 originari. Questi cannoni costituivano un armamento più leggero rispetto a quello originario ma con la virtù di essere armi duali avendo la fondamentale capacità di eseguire un'efficace tiro contraerei.

L'Attilio Regolo venne ribattezzato Chateaurenault e riclassificato cacciatorpediniere ebbe assegnata la matricola D 606 svolgendo il ruolo di conduttore di flottiglia e portabandiera della I Flottiglia Escorteurs d'Escadre della Squadra Navale del Mediterraneo di base a Tolone. La nave, posta in disarmo il 1º gennaio 1962 venne radiata il successivo 1º ottobre ed utilizzata come unità addestrativa.

Note

  1. ^ Gianni Rocca - Fucilate gli ammiragli, pag. 305
  2. ^ Gianni Rocca - Fucilate gli ammiragli, pag. 309
  3. ^ Le navi che l'Italia dovette consegnare in base al trattato di pace nell'imminenza della consegna vennero contraddistinte da una sigla alfanumerica. Le navi destinate all'Unione Sovietica erano contraddistinte da due cifre decimali precedute dalla lettera 'Z': Cesare Z11 Artigliere Z 12, Marea Z 13, Nichelio Z 14, Duca d'Aosta Z15, Animoso Z16, Fortunale Z17, Colombo Z18, Ardimentoso Z19, Fuciliere Z20; le navi consegnate alla Francia erano contraddistinte dalla lettera iniziale del nome seguita da un numero: Oriani O3, Regolo R4, Scipione Africano S7; per le navi consegnate a Yugoslavia e Grecia, la sigla numerica era preceduta rispettivamente dalle lettere 'Y' e 'G': l'Eugenio di Savoia nell'imminenza della consegna alla Grecia ebbe la sigla G2. Stati Uniti e Gran Bretagna rinunciarono integralmente all'aliquota di naviglio loro assegnata, ma ne pretesero la demolizione - Erminio Bagnasco, La Marina Italiana. Quarant'anni in 250 immagini (1946-1987), in supplemento "Rivista Marittima", 1988, ISSN 0035-6984 (WC · ACNP).

Bibliografia

Collegamenti esterni

Template:Classe Chateaurenault

  Portale Marina: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di marina