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Legionario (cacciatorpediniere)

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Legionario
Il Legionario fotografato il 18 maggio 1942
Descrizione generale
Tipocacciatorpediniere
ClasseSoldati II Serie
In servizio con Regia Marina (1942-1946)
Marine nationale (1948-1956)
IdentificazioneLG (1942-1948)
T14 (1948-1956)
CostruttoriOTO
CantiereLivorno
Impostazione21 ottobre 1940
Varo16 aprile 1941
Entrata in servizio1º marzo 1942
Nomi successiviDuchaffault (1948-1956)
IntitolazioneLouis Charles du Chaffault de Besné, ammiraglio francese (1948-1956)
Radiazione15 agosto 1948
Destino finaleceduto alla Francia nel 1948, demolito nel 1956
Caratteristiche generali
Dislocamento
  • standard: 1850 t
  • carico normale: 2140 t
  • pieno carico: 2580 t
Lunghezza106,7 m
Larghezza10,2 m
Pescaggio4,35 m
Propulsione3 caldaie
2 gruppi di turbine a vapore su 2 assi
potenza 44.000 hp
Velocità37 nodi (68,52 km/h)
Autonomia2 200 miglia a 20 nodi (4 074 km a 37,04 km/h)
Equipaggio13 ufficiali, 202 tra sottufficiali e marinai
Equipaggiamento
Sensori di bordoRadar "Fu.Mo. 24/40Ggl «De.Te.»"(produzione tedesca)
Armamento
Artiglieria
Siluri6 tubi lanciasiluri da 533 mm
Altro
  • 2 lanciabombe di profondità
  • 2 tramogge per bombe di profondità
dati presi da [1], [2] e [3]
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Il Legionario è stato un cacciatorpediniere della Regia Marina.

La realizzazione dell'unità avvenne negli stabilimenti OTO di Livorno, dove venne impostata il 21 ottobre 1940, varata il 16 aprile 1941 entrando in servizio il 1º marzo 1942. Dopo la sconfitta di Capo Matapan, che aveva evidenziato le varie carenze della Regia Marina nel settore dei radar, fu la prima unità operativa italiana a montare uno di questi apparecchi.[1] Il suo apparato Fu.Mo. 24/40Ggl «De.Te.» (Dezimetre Telegraphie, in lingua tedesca, denominazione adottata dalla Regia Marina)[1] (Funkmessgerät Fu. Mo 24/40Ggl Seetakt, denominazione tedesca dell'apparato)[1], di produzione tedesca, fu il primo radar imbarcato da una nave italiana[2][3].

Attività bellica

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L'unità partecipò alla Battaglia di mezzo giugno (12-16 giugno 1942), durante la quale il radar imbarcato ebbe la prima occasione di utilizzo[2]: alle 22.30 del 15 giugno rilevò un gruppo di aerei in avvicinamento, sei minuti prima del loro arrivo sulla formazione italiana (nel successivo attacco venne aerosilurata la corazzata Littorio)[4].

Partecipò poi a numerose missioni di scorta sulle rotte per la Tunisia.

Tra il 3 ed il 5 agosto 1942 scortò un convoglio composto dalle motonavi Ankara, Nino Bixio e Sestriere (con destinazione Tobruk per la prima e Bengasi per le altre due; il carico era costituito da 92 carri armati, 340 automezzi, 3 locomotive, una gru, 292 militari, 4381 t di combustibili ed olii lubrificanti, 5256 t di altri rifornimenti), insieme ai cacciatorpediniere Freccia, Corsaro, Folgore, Grecale e Turbine, nonché le torpediniere Partenope e Calliope; le navi giunsero a destinazione nonostante numerosi attacchi aerei; in quell'occasione si verificò peraltro il primo attacco condotto da velivoli statunitensi contro unità italiane (si trattò di un attacco di bombardieri Consolidated B-24 Liberator)[5].

Il 18 novembre 1942 scortò a Biserta, insieme al gemello Bombardiere e alla moderna torpediniera Groppo, i trasporti truppe Puccini e Viminale: il convoglio giunse indenne a destinazione nonostante attacchi da parte di sommergibili inglesi al largo di Capo San Vito[6].

Tornando in Italia l'unità (al comando del capitano di fregata Corrado Tagliamonte, caposcorta) scortò da Biserta a Napoli le grandi motonavi Monginevro e Sestriere insieme ai gemelli Bombardiere e Velite, ma alle 15.04 del 21 novembre, circa 18 miglia a sudovest di Ischia, il Velite fu centrato ed immobilizzato da un siluro: il comandante Tagliamonte ordinò al Bombardiere di prendere a rimorchio la nave danneggiata, che fu trainata a Napoli[6].

Il 22 dicembre effettuò una missione di trasporto truppe da Trapani a Biserta[2].

Il 17 gennaio 1943 salpò da Biserta per scortare a Palermo, insieme al Bombardiere, la motonave Mario Roselli[7]. Alle 17.30, poco dopo il tramonto, quando ormai la Sicilia era in vista, il sommergibile britannico United silurò il Bombardiere, che affondò rapidamente spezzato in due[7][8]. Il Legionario, senza fermarsi, si limitò a gettare ai superstiti del cacciatorpediniere gli zatterini di salvataggio che aveva a bordo, scortando poi la Roselli indenne a Palermo[7]. Del Bombardiere perirono 175 uomini su un equipaggio di 224[7].

Nel corso del 1943 il Legionario fu sottoposto a lavori che videro la sostituzione del complesso lanciasiluri poppiero con 2 mitragliere Breda 37/54 mm antiaeree[3].

Capitano di vascello Giovanni Marabotto (nato a Savona il 6 ottobre 1891) (gennaio 1942)

Capitano di fregata Corrado Tagliamonte (nato a Noto il 1 novembre 1900) (13 gennaio - 22 novembre 1942)

Capitano di vascello Amleto Baldo (nato a La Spezia il 29 giugno 1899) (23 novembre 1942 - dicembre 1943)

Armistizio e cobelligeranza

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Alla proclamazione dell'armistizio la nave si trovava a La Spezia da dove salpò con il resto della squadra navale per consegnarsi agli Alleati a Malta[9][10] secondo quelle che erano le clausole dell'armistizio che riguardavano la flotta, che prevedevano oltre al trasferimento immediato delle navi italiane a Malta, dove sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino, che durante il trasferimento le navi italiane avrebbero innalzato, in segno di resa, pennelli neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde.[11]

Il Legionario durante la cobelligeranza. Notare l'apposita colorazione

La squadra navale salpò da La Spezia alle 03:00 del mattino del 9 settembre[12] con la corazzata Roma con l'insegna di ammiraglia della flotta, che insieme alle corazzate Vittorio Veneto e Italia costituivano la IX Divisione, con gli incrociatori Montecuccoli, Eugenio di Savoia e Attilio Regolo, che in quel momento costituivano la VII Divisione, i cacciatorpediniere Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite della XII Squadriglia e i cacciatorpediniere Legionario, Oriani, Artigliere e Grecale della XIV Squadriglia e una squadriglia di torpediniere formata da Pegaso, Orsa, Orione, Ardimentoso e Impetuoso..

L'apparato evaporatore dell'unità, tuttavia, si guastò, obbligando il Legionario a separarsi dalla formazione alle 13.24 del 10 settembre e dirigere per Biserta; lungo il percorso la nave trasse in salvo alcuni aviatori Alleati, che vennero sbarcati nel porto tunisino, ove il Legionario giunse alle 15.15[9]. Alle otto del mattino dell'11 settembre il cacciatorpediniere, dopo aver riparato il guasto ed essersi rifornito d'acqua, lasciò Biserta e proseguì per Malta alle ove giunse l'11 settembre, alle 19.30, ormeggiandosi a Marsa Scirocco[9].

Il 12 settembre si rifornì di carburante alla Valletta ed il 14 lasciò l'isola, insieme all'Oriani, portandosi dapprima a Biserta e quindi ad Algeri; lì le due unità imbarcarono alcuni reparti statunitensi e le loro attrezzature, trasportandole poi ad Ajaccio (Corsica) in supporto alla resistenza opposta dalle forze italiane e francesi alle truppe tedesche nell'isola, e, compiuta la missione (lo sbarco avvenne il 19 settembre[2]), fecero ritorno a Malta alle ore otto del 29 settembre, ormeggiandosi a Marsa Scirocco (Legionario) e Marsa Scala (Oriani)[9].

Il 4 ottobre il Legionario salpò da Malta insieme a numerose altre unità (l'Oriani, gli incrociatori Garibaldi, Abruzzi e Pompeo Magno, le torpediniere Libra e Calliope, le corvette Ape, Cormorano, Danaide, Gabbiano, Minerva e Pellicano, le motosiluranti MS 35, MS 54, MS 55, MS 56, MS 61 ed MS 64, i cacciasommergibili VAS 201, VAS 204, VAS 224, VAS 233, VAS 237, VAS 240, VAS 241, VAS 246 e VAS 248) e rientrò in Italia[13].

La cessione alla Francia

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A guerra finita il trattato di pace ne previde l'assegnazione alla Francia come riparazione dei danni di guerra[2].

Il 15 agosto 1948 il Legionario venne ceduto alla Marine Nationale che, dopo avergli temporaneamente assegnato la denominazione di L 6,[14] lo rinominò infine Duchaffault[2].

Radiato nel 1956, fu avviato alla demolizione[2].

  1. ^ a b c Piero Baroni, La guerra dei radar: il suicidio dell'Italia : 1935/1943, GRECO & GRECO Editori, 2007, p. 152, ISBN 978-88-7980-431-8. URL consultato il 29 novembre 2011.
  2. ^ a b c d e f g Trentoincina
  3. ^ a b Ct classe Soldati Archiviato il 18 febbraio 2012 in Internet Archive.
  4. ^ Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli. La tragedia della Marina italiana nella seconda guerra mondiale, p. 257
  5. ^ Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943, p. 527
  6. ^ a b Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta 1940-1943, pp. 542-543
  7. ^ a b c d Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli. La tragedia della Marina italiana nella seconda guerra mondiale, p. 273
  8. ^ Le Operazioni Navali nel Mediterraneo Archiviato il 18 luglio 2003 in Internet Archive.
  9. ^ a b c d J. Caruana su Storia Militare n. 204 – settembre 2010, pp. da 48 a 52
  10. ^ Enzo Biagi, La seconda guerra mondiale – parlano i protagonisti, fasc. 9 – L'Italia si arrende
  11. ^ Petacco 1996, p. 177.
  12. ^ Petacco 1996, pp. 176-177.
  13. ^ J. Caruana su Storia Militare n. 204 – settembre 2010, p. 63
  14. ^ Le navi che l'Italia dovette consegnare in base al trattato di pace nell'imminenza della consegna vennero contraddistinte da una sigla alfanumerica.
    Le navi destinate all'Unione Sovietica erano contraddistinte da due cifre decimali precedute dalla lettera 'Z': Cesare Z 11, Artigliere Z 12, Marea Z 13, Nichelio Z 14, Duca d'Aosta Z 15, Animoso Z 16, Fortunale Z 17, Colombo Z 18, Ardimentoso Z 19, Fuciliere Z 20; le navi consegnate alla Francia erano contraddistinte dalla lettera iniziale del nome seguita da un numero: Eritrea E1, Oriani O3, Regolo R4, Scipione Africano S7; per le navi consegnate a Jugoslavia e Grecia, la sigla numerica era preceduta rispettivamente dalle lettere 'Y' e 'G': l'Eugenio di Savoia nell'imminenza della consegna alla Grecia ebbe la sigla G2. Stati Uniti e Gran Bretagna rinunciarono integralmente all'aliquota di naviglio loro assegnata, ma ne pretesero la demolizione - Erminio Bagnasco, La Marina Italiana. Quarant'anni in 250 immagini (1946-1987), in supplemento "Rivista Marittima", 1988, ISSN 0035-6984 (WC · ACNP).

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