Anfitrione (Plauto)

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Anfitrione
Commedia in 5 atti
Manoscritto fiorentino del XV secolo
AutoreTito Maccio Plauto
Titolo originaleAmphitruo
Lingua originaleLatino
Composto nelfine del III secolo a.C.
Personaggi
  • Anfitrione
  • Alcmena
  • Giove
  • Mercurio
  • Sosia
 

L'Anfitrione (Amphitruo) è una commedia, in cinque atti e un prologo, scritta dall'autore latino Plauto presumibilmente verso la fine del III secolo a.C. e rappresentata, con molta probabilità, nel 206 a.C.

L'opera trae il titolo da uno dei protagonisti, il comandante dell'esercito tebano Anfitrione, mentre gli altri personaggi sono gli dei Giove e Mercurio, i mortali Alcmena e Sosia, rispettivamente moglie e servo di Anfitrione, oltre a due personaggi di contorno: il pilota Blefarone e la serva Bromia.

Di solito le commedie rappresentavano fatti riguardanti personaggi popolari, non divinità o soggetti mitici, di cui si occupava invece la tragedia; per questo motivo lo stesso poeta definisce nel prologo, per bocca di Mercurio, la sua opera una tragicommedia.

Il testo a noi pervenuto presenta lacune nel IV atto, del quale ci rimangono una cinquantina di versi.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Argomento[modifica | modifica wikitesto]

Nei testi manoscritti di cui si dispone, l'Amphitruo si apre con due argomenti di mano non plautina, ma aggiunti all'opera successivamente alla morte dello stesso Plauto. Essi riassumono in breve il contenuto dell'intera rappresentazione evidenziandone gli antefatti, lo svolgimento e l'epilogo; il secondo argomento si presenta sotto la caratteristica forma dell'acrostico, presente anche negli argomenti di altre opere plautine:

(LA)

«Amore captus Alcumenas Iuppiter
Mutauit sese in formam eius coniugis
Pro patria Amphitruo dum decernit cum hostibus.
Habitu Mercurius ei subseruit Sosiae:
Is aduenientis seruum ac dominum frustra habet.
Turbas uxori ciet Amphitruo: atque inuicem
Raptant pro moechis. Blepharo captus arbiter
Vter sit non quit Amphitruo decernere.
Omnem rem noscunt; geminos Alcumena enititur.»

(IT)

«Giove, preso d'amore per Alcmena, ha assunto le sembianze del marito di lei, Anfitrione, mentre costui combatte contro i nemici della patria. Gli dà manforte Mercurio, travestito da Sosia; egli si prende gioco, al loro ritorno, del servo e del padrone. Anfitrione fa una scenata alla moglie; e i due rivali si danno l'un l'altro dell'adultero. Blefarone preso come arbitro, non può decidere quale dei due sia Anfitrione. Poi si scopre tutto; Alcmena dà alla luce due gemelli.»

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Mercurio nei panni di Sosia sta sorvegliando la dimora di Anfitrione, intanto Giove, nei panni di Anfitrione, consuma il suo amore per Alcmena, anche la notte viene allungata per permettere al dio di giacere di più con la donna. Intanto Anfitrione è appena sbarcato dopo la vittoriosa spedizione contro i Teleboi, Sosia sta correndo a raccontare ad Alcmena del comportamento valoroso del suo padrone.

I atto[modifica | modifica wikitesto]

Sosia giunge davanti al palazzo di Anfitrione, ma Mercurio, fingendosi Sosia, minaccioso gli impedisce di entrare, i due passano da elaborate minacce alle mani e il dio prevale nettamente sulla codardia del servo. Alla fine Mercurio convince Sosia, con l'aiuto della violenza, che lui è il vero Sosia ed il povero servo se ne torna confuso da Anfitrione. Giove esce e saluta Alcmena dicendo che deve tornare alla guida delle sue truppe.

II atto[modifica | modifica wikitesto]

Anfitrione e Sosia si dirigono velocemente al palazzo e si stupiscono della fredda accoglienza di Alcmena, la quale sostiene di esser stata col marito fino a poco prima e difende la sua onestà. Il condottiero l'accusa di adulterio e invoca la presenza di Naucrate, cugino di sua moglie, a testimoniare come lui non si sia mosso dal suo accampamento per raggiungere la moglie fino a quella mattina. Quindi se ne va, seguito poco dopo da Sosia, cacciato in malo modo da Alcmena.

III atto[modifica | modifica wikitesto]

Alcmena minaccia di andarsene, mentre sopraggiunge Giove a scusarsi per il trattamento che Anfitrione le ha rivolto poco prima. Arriva anche Sosia a constatare che la pace è fatta tra moglie e marito. Sul finire dell'atto, in un monologo, Mercurio si vanta dell'intrigo teso ai mortali e il discorso assume anche una funzione chiarificatrice dell'andamento dei fatti per il pubblico, visto che la situazione si era parecchio ingarbugliata.

IV atto[modifica | modifica wikitesto]

Anfitrione, che non è riuscito a trovare Naucrate, torna a palazzo, ma viene malamente accolto da Mercurio, nelle sembianze di Sosia, che finge di non riconoscerlo e lo accusa di essere un impostore: il vero Anfitrione, in quel momento, sarebbe in casa con Alcmena e qui il testo si interrompe. Il testo riprende con Blefarone che parte lasciando uno scoraggiato Anfitrione. Giove rientra in casa: Alcmena sta quindi finalmente partorendo.

V atto[modifica | modifica wikitesto]

Dalla casa esce Bromia che annuncia ad Anfitrione un prodigio: mentre Alcmena stava partorendo è scoppiato un tuono e la casa si è riempita di riflessi d'oro. La donna ha dato alla luce due gemelli: il più giovane (Ercole) ha subito mostrato la sua forza strozzando due serpenti che (inviati da Giunone, gelosa per l'ennesima scappatella del marito) erano strisciati dal soffitto alla sua culla. Anfitrione si dice non disturbato di dover dividere i suoi beni con il padre degli dei che, alla fine, interviene come deus ex machina, chiedendo al tebano di perdonare sua moglie, la quale ha agito in perfetta buona fede, credendo di cedere alla corte del proprio marito. Anfitrione acconsente ed invita il pubblico all'applauso.

Commedia degli equivoci[modifica | modifica wikitesto]

Amphitruo è un classico esempio di quella che viene chiamata commedia degli equivoci, basata sulla confusione, in questo caso creata tra i personaggi umani e le divinità che ne hanno assunto le sembianze.

La somiglianza tra gli attori che dovevano rappresentare due personaggi, l'uno la copia dell'altro, era resa con delle parrucche e degli accessori e forse aiutata dalle maschere.

Differenti sono, in questo caso, i pareri tra gli studiosi. Le maschere erano sicuramente utilizzate nel teatro greco, mentre forse non erano adatte al teatro plautino, che faceva grande affidamento sulla mimica facciale.

La differenza tra il dio e l'uomo era ben visibile comunque allo spettatore: all'attore che impersonava Mercurio spuntavano due ali dal cappello, mentre Giove era munito di una treccia d'oro (il pubblico ne era stato avvertito nel prologo).

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