Tragicommedia

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Le due maschere, tragica e comica, del teatro latino. Mosaico del I secolo a.C., Musei Capitolini, Roma.

La tragicommedia (XVII secolo, dal latino tragicomoedĭa, da tragĭcus, tragico e comoedia, commedia) è un'opera (generalmente drammatica) che, come il nome stesso suggerisce, fonde tragedia e commedia.[1]

Può quindi indicare o una tragedia contenente però elementi comici, oppure un dramma che si conclude con un lieto fine.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Antichità classica[modifica | modifica wikitesto]

A differenza di "commedia" e "tragedia", entrambi termini del teatro greco, "tragicommedia" non è attestata in lingua ellenica. Ciononostante, il concetto (inteso come dramma con una conclusione felice) doveva essere presente in qualche misura agli antichi greci: Aristotele sembra parlarne nella sua Poetica.[2] In questo senso, alcuni drammi della produzione più tarda di Euripide, come lo Ione e soprattutto l'Alcesti, potrebbero essere definiti "tragicommedie".

Il termine compare nel prologo dell'Anfitrione di Plauto, da cui fu riesumato successivamente in lingua italiana durante il Rinascimento.

Rinascimento[modifica | modifica wikitesto]

Il termine tragicomedia compare in italiano nel 1541, in una lettera di Luca Contile a Taddeo Monterchi.[3]

Il genere si affermò dunque nei secoli XVI-XVII secolo venendo incontro al gusto e al pubblico delle corti. La sua codificazione avvenne per gradi, trovando un riconoscimento ufficiale nei trattati di Giambattista Giraldi Cinzio del 1554. Tuttavia in Italia la tragicommedia finì per identificarsi con il dramma pastorale, mentre in altri paesi europei il suo sviluppo fu autonomo.

Uno dei più importanti autori teatrali di tragicommedie è il francese Pierre Corneille che con le sue opere L'illusion comique e Le Cid contribuisce allo sviluppo del nuovo genere. Lo stesso Corneille, a proposito della prima, per mostrare come la novità della tragicommedia barocca sia nell'unione di più generi "classici" dice: "Ecco uno strano mostro [...] Il primo atto non è che un prologo, i tre seguenti sono una commedia imperfetta, l'ultimo è una tragedia, e tutto questo cucito insieme fa una commedia".

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Andreas Dorschel, Mit Entsetzen Scherz. Die Zeit des Tragikomischen. Hamburg, Meiner, 2022.
  2. ^ Arist. Poet. XIII, ove l'autore discute della tragedia "doppia", ovvero quella con conclusione felice per i buoni e infelice per i malvagi, affermando anche che questo tipo di finale non appare proprio di un'autentica tragedia, quanto del genere comico, caratterizzato dal lieto fine.
  3. ^ Annamaria Cascetta e Roberta Carpani, La scena della gloria: drammaturgia e spettacolo a Milano in età spagnola. Milano: Vita e Pensiero, 1995, p. 222, ISBN 88-343-1699-1, ISBN 978-88-343-1699-3

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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