al-Qamishli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Qamishli
città
(AR) القامشلي (al-Qāmišlī)
(KU) قامشلۆ/Qamişlo
Qamishli – Veduta
Qamishli – Veduta
Localizzazione
StatoSiria Siria
Governatoratoal-Hasaka
DistrettoQamishli
Sottodistretto
Territorio
Coordinate37°03′N 41°13′E / 37.05°N 41.216667°E37.05; 41.216667 (Qamishli)
Altitudine455 m s.l.m.
Abitanti184 231[2] (2004)
Altre informazioni
Linguecurdo, arabo, aramaico
Prefisso53
Fuso orarioUTC+2
Cartografia
Mappa di localizzazione: Siria
Qamishli
Qamishli
Sito istituzionale

Qamishli, anche chiamata Qamishlo o Kamichlié (in curdo: قامشلۆ Qamişlo; in arabo: القامشلي‎ al-Qāmišlī; ; in assiro: ܩܡܫܠܐ, Qamişlo) è una città della Siria del nord-est al confine con la Turchia, adiacente alla città turca di Nusaybin e vicino all'Iraq. Secondo il censimento del 2004, Qamishli aveva una popolazione di 184.231 abitanti.[1] Qamishli si trova a 680 chilometri a nord-est di Damasco.[3]

La città è la capitale amministrativa del distretto di Qamishli del Governatorato di Al-Hasaka e il centro amministrativo del sottodistretto di Qamishli composto da 92 località con una popolazione combinata di 232.095 abitanti nel 2004. Nel corso della guerra civile siriana, Qamishli è diventata la capitale dell'Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, meglio conosciuto come Rojava

È abitata in prevalenza da curdi e assiri. Venne fondata dagli abitanti che emigrarono in Siria dopo che la Turchia annesse Nusaybin, al termine di un sanguinoso conflitto prolungatosi tra il 1914 e il 1922. Il nome Qamislo deriva da qamiş (nome delle canne da zucchero) che si estendevano lungo il canale che attraversa il centro della città.
Questa grande città è capoluogo di un distretto che conta circa 200.000 abitanti all'interno del Governatorato di al-Hasaka, è oggigiorno abitata da importanti comunità assire, arabe e armene ed è sede eparchiale dell'Eparchia di Qamişlo.

Nella città è presente anche un aeroporto con il codice aeroportuale IATA KAC.

Scontri del 2004[modifica | modifica wikitesto]

Nel marzo del 2004 mentre in Iraq prendeva forma la Regione autonoma del Curdistan, durante una caotica partita di calcio, ebbero luogo gravi incidenti.

Le violenze iniziarono quando i sostenitori della squadra ospite, arabi provenienti da Deir ez-Zor, issarono gigantografie di Saddam Hussein responsabile di massacri e dell'uso di armi chimiche contro la popolazione nel Kurdistan iracheno. In risposta il pubblico della squadra locale cominciò a sventolare bandiere separatiste curde, inneggiando a Mas'ud Barzani e a Jalal Talabani[4].

La situazione degenerò, i sostenitori del Deir ez-Zor erano entrati armati di pietre e oggetti contundenti mentre i curdi, secondo testimoni[5], erano stati perquisiti. Le porte d'accesso allo stadio erano state chiuse e tre ragazzi curdi morirono per la calca e il lancio di pietre. Questo elemento e la serie di accadimenti hanno condotto all'ipotesi che la situazione fosse stata pianificata dal governo siriano per reprimere il sorgere di volontà separatiste alimentate da quanto accadeva oltre il confine.

Una volta giunta la notizia la popolazione corse in soccorso dei concittadini imprigionati nello stadio, così le forze di sicurezza siriane aprirono il fuoco provocando altri sei morti.

Il giorno seguente una folla di decine di migliaia di persone si radunò per le strade formando un corteo funebre che doveva portare le vittime al cimitero, tuttavia davanti all'edificio della dogana le forze di sicurezza siriane aprirono il fuoco, provocando altri quattro morti e decine di feriti. Dalla folla si distaccarono diversi gruppi che, mentre la maggioranza dei manifestanti continuò verso il cimitero, iniziarono ad assaltare edifici e simboli del potere, come la sede del partito Ba'th e la statua di Hafez al-Assad scontrandosi con le forze armate. A quanto raccontano i testimoni, vi erano dei tiratori scelti piazzati sul percorso, la folla venne così colpita in diversi punti della città. Al prevedibile degenerare della situazione entrarono prontamente in città i carri armati e truppe del regime supportate da elicotteri militari. La rivolta fu repressa nel sangue provocando 30 vittime, numerosissimi prigionieri e un esodo verso l'Iraq che diede vita al campo profughi di Moqebleh[6].

Nel giugno 2005, migliaia di curdi dimostrarono nella città per protestare contro l'assassinio dello sceicco Khaznawi, un religioso curdo siriano, a seguito della morte di un poliziotto e del ferimento di 4 curdi.[7][8] Nel marzo 2008, secondo l'Human Rights Watch,[9] le forze di sicurezza siriana aprirono il fuoco contro i Curdi che celebravano la festività primaverile del Nawrūz (che segna l'inizio del nuovo anno), presumibilmente reiterando quanto accaduto negli scontri del 2004. Le sparatorie lasciarono sul terreno 3 morti curdi.

Tutte queste avvisaglie della guerra civile che sarebbe esplosa nel 2011, non erano motivate da tensioni interetniche, dato che i rapporti fra Curdi e Arabi sono sempre stati ottimi, quanto dal sentimento indipendentistico curdo e dalla crescente avversione nei confronti del potere del Presidente della Repubblica Baššār al-Asad.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Copia archiviata, su cbssyr.sy. URL consultato il 20 ottobre 2019 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  2. ^ [1]
  3. ^ Zurutuza, Carlos. "Syria's first Kurdish-language newspaper." (Archive) Al Jazeera. 18 ottobre 2013. Consultato il 22 ottobre 2013.
  4. ^ James Brandon, The PKK and Syria's Kurds, Washington, DC 20036, USA, Terrorism Monitor, The Jamestown Foundation, 15 febbraio 2007, p. Volume 5, Issue 3 (archiviato dall'url originale il 7 novembre 2007).
  5. ^ Arzu Demir, http://www.sportpopolare.it/index.php?option=com_content&view=article&id=181:il-massacro-di-qamishlo-il-calcio-e-i-tentativi-di-assimilazione-coatta-del-popolo-turco-in-siria&catid=10&Itemid=124, in La rivoluzione del Rojava. URL consultato il 21 settembre 2017 (archiviato dall'url originale il 22 settembre 2017).
    «testimonianza di Muhammet Emin Suleyman»
  6. ^ (EN) Syrian Kurds Have Long Memories, in Pulitzer Center, 21 ottobre 2011. URL consultato il 21 settembre 2017.
  7. ^ Nicholas Blanford, A murder stirs Kurds in Syria, in USA Today, 15 giugno 2005.
  8. ^ Hassan M. Fattah, Kurds, Emboldened by Lebanon, Rise Up in Tense Syria, in The New York Times, 2 luglio 2005.
  9. ^ Syria: Investigate Killing of Kurds - Human Rights Watch

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN159651610 · LCCN (ENn2004144277 · GND (DE4821352-4 · BNF (FRcb16691979w (data) · J9U (ENHE987007478053205171