Utente:MaSchw/Sandbox

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(DE)

«Zunge hat keine Knochen, wohin man sie dreht, dreht sie sich dorthin»

(IT)

«La lingua non ha ossa, dove la giri, gira»

Emine Sevgi Özdamar (Malatya, 10 agosto 1946) è una scrittrice, attrice e regista teatrale turca naturalizzata tedesca, dal 2007 membro della Deutsche Akademie für Sprache und Dichtung. Le sue opere, spesso a carattere autoautobiografico, sono incentrate sui temi della migrazione e della multiculturalità nel contesto tedesco.[1] Ha vinto il premio Ingeborg Bachmann nel 1991 e il premio Kleist nel 2004.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nata a Malatya, nell'Anatolia Orientale, all'età di 3 anni si trasferisce con la famiglia ad Istanbul e poi a Bursa, dove già a 12 anni debutta nel teatro di stato come attrice in una produzione de Il borghese gentiluomo di Molière. Nel 1965, all'età di 18 anni si trasferisce per la prima volta in Germania contro la volontà dei propri genitori e senza conoscere il tedesco, lavorando per sei mesi come donna delle pulizie in una fabbrica a Berlino-Ovest[2][3].

Tornata ad Istanbul, frequenta una scuola di recitazione e si esibisce nel ruolo di Charlotte Corday nello spettacolo di Peter Weiss Marat/De Sade e della vedova Begbick nel dramma di Bertolt Brecht Un uomo è un uomo.[4] In seguito al colpo di stato del 1971 in Turchia e all'instaurazione della dittatura militare, Özdamar decide di lasciare il suo paese e si trasferisce a Berlino. La letteratura tedesca, in particolare quella di Brecht, e il suo debutto nel teatro, la aiutano a costruirsi un nuovo progetto di vita.[5] [6]

A Berlino lavora dal 1976 nella troupe teatrale Berliner Ensamble di Benno Benson e Matthias Langhoff, fondata dallo stesso Brecht.[7] Dal 1978 vive ad Avignone e Parigi, dove si laurea in teatro all''università Paris VIII Vincennes.

Di ritorno in Germania, nel periodo tra il 1979 e il 1984 ottiene a Bochum un importante impiego come attrice ed assistente alla regia presso il teatro cittadino Schauspielhaus Bochum[8]. A Berlino, presso la Freie Volksbühne, recita sotto la regia del marito Karl Kneidl nel ruolo di Maë Garga dell'opera brechtiana Im Dickicht der Städte; nel 1988 recita come attrice in Yasemin e nel 1992 nella commedia criminale Happy Birthday, Türke!, tratta dal romanzo di Jakob Arjouni[4]. Nel 1993 interpreta Anfissa nella messa in scena dell'opera di Anton Cechov Tre sorelle.

Insieme alla sua attività di attrice in quel periodo si dedica a lungo alla scrittura di opere teatrali, romanzi e racconti: in particolare scrive la sua prima opera teatrale Karagöz in Alamania (1982), messa in scena a Francoforte quattro anni dopo.

Nel 1990 pubblica la sua prima raccolta di racconti, Mutterzunge che, tradotta in inglese con il titolo Mather Tongue, riceverà nel 1994 dal Times Literary Supplement il riconoscimento International Book of the Year[9]. Nei quattro racconti di cui si compone il libro, dedicato alla madre dell'autrice, viene descritta la vita di una donna turca in Germania; il focus è rivolto all'intricato e delicato intreccio esistente tra la lingua e l'identità di una persona che ha perso completamente la lingua madre, senza però trovare una vera identità nella lingua del nuovo paese in cui abita.[10] L'anno successivo scrive l'opera teatrale Keloğlan in Alamania, die Versöhnung von Schwein und Lamm sul tema dell'integrazione. Il protagonista è un giovane turco che rischia l'espulsione se non trova lavoro o moglie.[11]

Il suo primo romanzo Das Leben ist eine Karawanserei hat zwei Türen aus einer kam ich rein aus der anderen ging ich raus (letteralmente: La vita è un caravanserraglio ed ha due porte: da una ci entrai, dall'altra ci uscii), pubblicato nel 1992, viene insignito del premio Ingebor Bachmann nel 1991: è la prima scrittrice turca a riceverlo. Narra di una giovane ragazza che - come lei - si trasferisce con la propria famiglia in varie zone della Turchia, partendo dal paese di Malatya ed arrivando fino a Istanbul.[2] Alcuni anni dopo, nel 2006, emergerà una polemica sul possibile plagio, per quanto riguarda lo stile e i personaggi, compiuto su questo romanzo dall'autore turco Feridun Zaimoglu, altrettanto celebre in Germania, ma nessuna causa legale venne realmente intentata.[12][13]

Nel 1998 Özdamar pubblica il suo secondo romanzo, in parte autobiografico, Die Brücke vom Goldenen Horn. La protagonista è una giovane turca che parte da Instabul per la Germania e si stabilisce a Berlino come Gastarbeiter, lavoratrice ospite. Sono gli anni Sessanta, il tempo dell'amore libero e delle proteste studentesche. Quando farà ritorno in Turchia, troverà il suo paese completamente cambiato.[14][15]

Nel 2001 viene data alle stampe la raccolta di racconti Der Hof im Spiegel, ambientati in alcune importanti città europee come Istanbul, Parigi e Berlino. Queste metropoli fungono da sfondo per le storie di alcuni migranti, i cui destini si intersecano, e danno vita a una costellazione di memorie di guerra ed episodi amorosi o di vita sociale.[1]

Nel 2003 scrive Seltsame Sterne starren zur Erde, romanzo che si ispira al suo ritorno a Berlino-Est ed al suo impegno teatrale in seguito all'abbandono del suo paese natale.[4] Nello specifico l'opera narra le vicende del protagonista, pendolare, che deve gestire la sua vita tra i due teatri di Berlino est ed ovest.[6]

Tra le sue ultime opere in prosa si può annoverare Kendi Kendinim Terzisi Bir Kambur, Ece Ayhan'lı anılar, 1974 Zürih günlüğü, Ece Ayhan'ın makrupları, un testo in turco che contiene memorie e lettere del poeta turco Ece Ayhan, dal 1974 sofferente di un tumore al cervello (morirà nel 2002), con dipinti e i disegni di Sevgi Özdamar.

Özdamar vive nel quartiere di Kreuzberg, Berlino, con il marito Karl Kneidl, con il quale è sposata dal 1986.[5]

Temi e stile[modifica | modifica wikitesto]

Migrazione, lingua, identità culturale e linguistica

Temi centrali nelle opere di Özdamar sono la migrazione e l'identità linguistica e culturale[6][15], riconducibili alla sua esperienza personale di giovane donna emigrata dalla Turchia.[1] Fin dalla sua prima raccolta di racconti, Mutterzunge, l'autrice parla di migrazione, memoria e identità tedesca turca. Mutterzunge, Lingua madre, il titolo del libro e del primo racconto, è un termine che non esiste nella lingua tedesca, e che è invece presente in inglese, francese e turco. In questo racconto e nel successivo, Großvater Zunge (letteralmente La lingua del nonno), nel quale le lettere dell'alfabeto arabo prendono vita, viene evidenziato il ruolo svolto dalla lingua nel plasmare la soggettività. La lingua è flessibile, come lo è la propria identità: il narratore, dopo un lungo periodo trascorso in Germania, non sa più parlare il turco e la sua identità è cambiata, di riflesso al suo progressivo apprendimento del tedesco, che resta però impreciso.[16]

Die Brücke vom Goldenen Horn (1998) è un romanzo autobiografico ambientato a Berlino Ovest e racconta le esperienze vissute dall'autrice nel periodo 1965-1975. Fra le altre, descrive la quotidianità di alcune operaie di una fabbrica che vivevano in un alloggio comune ("Wonaym") vicino ad una stazione distrutta, soprannominata der beleidigte Bahnhof (la stazione "offesa"). C'è un gioco di parole con gli aggettivi usati per descrivere la stazione: "distrutto" ed "offeso" si traducono infatti alla stesso modo in turco, ovvero beleidigt. La stazione assume dunque in tedesco una duplice connotazione: è allo stesso tempo malconcia e, come se fosse personificata, anche offesa. La vicenda tratta inoltre le vicende di una giovane ragazza immigrata che a poco a poco cerca e con successo riesce ad ambientarsi in una nuova realtà. Questo processo è faticoso ed è basato sull'approccio alle parole straniere e a come esse possano venire apprese diventando una ricchezza personale, che crea cultura ed identità. Alla fine della storia la protagonista tornerà - come la scrittrice - ad Istanbul per diventare attrice di teatro.[6]

La sua prosa si intreccia con neologismi, elementi della lingua turca e araba, slang della lingua turca e errori grammaticali deliberati, al fine di esplorare la propria identità ibrida e le diverse culture presenti in Turchia e nella Germania dell'est e dell'ovest.[17]

Minoranza linguistica turca in Germania

L'autrice porta alla luce nella sua letteratura la complessa e delicata realtà del bilinguismo turco-tedesco in Germania, che porta di tanto in tanto alla formazione di neologismi e di una lingua mista che viene plasmata quasi inconsciamente dai parlanti turco-tedeschi. La lingua mista della quotidianità, fatta di espressioni prese da entrambe le culture, è la realtà linguistica effettiva della minoranza turca che vive in Germania ed Emine, con Feridun Zaimoglu, rappresenta un collegamento letterario tra i due mondi. “La lingua madre adotta la lingua straniera”, dichiarò Emine in un'intervista: le due realtà linguistiche e culturali si fondono insieme in Germania.[6]

Luoghi e città

Gli spazi cittadini e la città in quanto nucleo della società rappresentano un ruolo chiave, non sono solo uno sfondo nella letteratura di Emine Sevgi Özdamar. Alcuni racconti sono intitolati proprio “la mia Istanbul” o “la mia Berlino”, come se autore e narratore formassero un'inscindibile unità legata agli spazi che li circondano e che costituiscono la loro esperienza di vita.[1] Le impressioni personali dell'autrice – che funge da acuta osservatrice impegnata ora in Germania, ora in Turchia – sono il tessuto costitutivo dei testi. Il suo stile non risulta mai solo documentario, è una sorta di collage letterario. Nei suoi racconti vengono accostate descrizioni realistiche a fantasie o a versi di poesie e canzoni.[1]

Teatro

Seltsame Sterne starren zur Erde è un'altra opera che riprende le sue vicende autobiografiche. E' la storia di un attore che conduce una vita da pendolare e che divide la sua vita spostandoti tra due differenti teatri della città di Berlino, un tempo divisa in due zone: la parte est ed ovest. La vicenda è ambientata nello stesso teatro in cui lei aveva personalmente lavorato dal 1976 come assistente con Benno Besson, ovvero la Ost-Berliner Volksbühne, nella Berlino Est. Invece l'abitazione di Emine, situata all'epoca a Berlino Ovest, rappresenta simbolicamente un altro teatro nell'ambientazione fittizia del romanzo.[6]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Opere teatrali[modifica | modifica wikitesto]

  • 1982. Karagöz in Alamania. Schwarzauge in Deutschland
  • 1991. Keloğlan in Alamania, die Versöhnung von Schwein und Lamm. Oldenburg: Oldenburgisches Staatstheater
  • 2002. Noahi
  • 2010. Perikizi. Ein Traumspiel, in: RUHR.2010, Uwe B. Carstensen, Stefanie von Lieven (Hrsg.): Theater Theater. Odyssee Europa. Aktuelle Stücke 20/10. Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt a. M.
Perikızı. Un Sogno, Introduzione, traduzione e cura di Silvia Palermo, Napoli, Liguori, 2017, ISBN 9788820766924

Romanzi[modifica | modifica wikitesto]

  • 1992. Das Leben ist eine Karawanserei hat zwei Türen aus einer kam ich rein aus der anderen ging ich raus. Colonia: Kiepenheuer & Witsch Verlag
La lingua di mia madre, traduzione di Silvia Palermo, Bari, Paloma, 2007
  • 1998. Die Brücke vom Goldenen Horn. Colonia: Kiepenheuer & Witsch Verlag
Il ponte del corno d'oro, traduzione di Umberto Gandini, Milano, Ponte alle Grazie, 2010, ISBN 978-88-6220-042-4
  • 2003. Seltsame Sterne starren zur Erde. Colonia: Kiepenheuer & Witsch Verlag

Raccolte[modifica | modifica wikitesto]

  • 1990. Mutterzunge, Erzählungen. Berlin: Rotbuch
  • 2001. Der Hof im Spiegel, Erzählungen. Colonia: Kiepenheuer & Witsch Verlag
Il cortile nello specchio ; Bicicletta sul ghiaccio, traduzione a cura di Stefania Sbarra, Venezia, Cafoscarina, 2018, ISBN 978-88-7543-448-9
  • 2006. Sonne auf halbem Weg, die Istanbul-Berlin-Trilogie. Colonia: Kiepenheuer & Witsch Verlag
  • 2007. Kendi Kendinin Terzisi Bir Kambur, Ece Ayhan'lı anılar, 1974 Zürih günlüğü, Ece Ayhan'ın mektupları. Istanbul: Yapı Kredi Kültür Sanat Yayıncılık

Premi[modifica | modifica wikitesto]

  • 1991 Premio Ingebor Bachmann[1]
  • 1993 Premio Walter Hasenclever della città di Aachen
  • 1995 New-York Scholarship, Literaturfonds Darmstadt
  • 1999 Premio Adelbert-von-Chamisso[1]
  • 1999 Premio der LiteraTour Nord
  • 2001 Premio per le artiste del Land NRW
  • 2003 Premio scrittrice della città di Bergen-Enkheim"[6]
  • 2004 Premio Heinrich von Kleist[6]
  • 2009 Premio Theodor Fontane[18]
  • 2010 Medaglia Carl-Zuckmayer[18]
  • 2012 Premio Alice Salomon Poetik[18]
  • 2014 Premio DAAD Chair for Contemporary Poetics presso la New York University[18]
  • 2014 Visiting Professor ad Amburgo per la poetica interculturale[18]
  • 2017 Ammissione alla Berliner Akademie der Künste[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g (DE) Katrin Steinborn, Meine deutschen Wörter haben keine Kindheit, su literaturkritik.de, 1º novembre 2001. URL consultato il 18 maggio 2018.
  2. ^ a b c (DE) Akademie der Künste in Berlin, Vier Autorinnen aufgenommen, su boersenblatt.net, 7 luglio 2017. URL consultato il 10 maggio 2018.
  3. ^ (DE) Emine Sevgi Özdamar - Autoren - NRW Literatur im Netz, su www.nrw-literatur-im-netz.de. URL consultato il 18 maggio 2018.
  4. ^ a b c (DE) Emine Sevgi Özdamar, su www.nrw-literatur-im-netz.de, 30.07.2013. URL consultato il 13 maggio 2018.
  5. ^ a b (DE) Andrea Dernbach, Gute Arbeit, zwei Freunde, dann kannst du überall leben, su tagesspiegel.de, 30 novembre 2011. URL consultato il 15 maggio 2018.
  6. ^ a b c d e f g h (DE) Iris Alanyali, Raus aus der Multikulti-Ecke; Vergesst Kopftuch und Gastarbeiterliteratur: Künstler aus der Türkei gewinnen für Deutschland Preise, su welt.de, 17 maggio 2018.
  7. ^ Incroci di civiltà - Emine Sevgi Özdamar, su www.unive.it, 2018. URL consultato il 17 maggio 2018.
  8. ^ (DE) Daniel Bax, Deutschland, ein Wörtermärchen, su taz.de, 20 novembre 2004. URL consultato l'11 maggio 2018.
  9. ^ Yasemin Yildiz, Beyond the Mother Tongue: The Postmonolingual Condition, Fordham Univ Press, 2012, p. 247.
  10. ^ (EN) Stephanie Bird, Women Writers and National Identity: Bachmann, Duden, Özdamar, in The Modern Language Rewiev, luglio 2005, pp. 880-881.
  11. ^ (DE) Gaby Pailer, GeschlechterSpielRäume: "Dramatik, Theater, Performance und Gender", Rodopi, 2011, p. 126.
  12. ^ (DE) Christoph Schröder, Freispruch für Schenkel, su fr.de, 15 gennaio 2009. URL consultato l'11 maggio 2018.
  13. ^ Per un'analisi comparativa di queste due opere (Karawanserei e Leyla), vedi: Mark Kichner, Remembering Anatolia in Germany: Özdamar and Zaimoglu, in Turkish Literature and Cultural Memory: "multiculturalism" as a Literary Theme After 1980, (a cura di) Catharina Dufft, Otto Harrassowitz Verlag, 2009, pp. 225-231
  14. ^ (DE) Erdmute Klein, Die Brücke vom Goldenen Horn, in Deutschlandfunk, 8 maggio 1998. URL consultato il 22 maggio 2018.
  15. ^ a b (DE) Herzog, Andrea, Transkulturelle Elemente bei Emine Sevgi Özdamar in "Die Brücke vom Goldenen Horn" und "Mutterzunge", University of Vienna, 2010. URL consultato il 22 maggio 2018.
  16. ^ (EN) Charles P. Taft , Steven Martinson, Building Bridges: Part VII.Transcultural Literary Interpretation 3: Emine Sevgi Özdamar Mutterzunge and Der Hof im Spiegel, su youtube, 25 ottobre 2009. URL consultato il 22 maggio 2018.
  17. ^ (EN) Ernest Schonfield, [Emine Sevgi Özdamar Emine Sevgi Özdamar], su German Literature. URL consultato il 22 maggio 2018.
  18. ^ a b c d e Silvia Palermo, Nuove Migrazioni - Emine Sevgi Özdamar, su www.exilderfrauen.it, 2008. URL consultato il 16 maggio 2018.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Stephanie Bird, Women Writers and National Identity: Bachmann, Duden, Özdamar, in The Modern Language Review, luglio 2005, pp. 880-881.
  • (DE) Maria Ebner, Liebe Sevgi, Ich Habe Nichts Zu Sagen Nur Zu Zeigen. Reflexionen Zu Emine Sevgi Özdamar, ProQuest Dissertations and Theses. Web, 2013.
  • (EN) Birgit Mara Kaiser, A new German, singularly Turkish. Reading Emine Sevgi Özdamar with Derrida's Monolingualism of the Other, in Textual Practice, 28, 2014 - Issue 6, 14 luglio 2014.
  • (EN) Yeasemin Yildiz, Chapter four. Surviving the Mother Tongue Literal Translation and Trauma in Emine Sevgi Özdamar, in Beyond the Mother Tongue: The Postmonolingual Condition, Fordham Scholarship Online, May 2012, DOI:10.5422/fordham/9780823241309.001.0001.
  • (DE) Angela Weber, Im Spiegel Der Migrationen: Transkulturelles Erzählen Und Sprachpolitik Bei Emine Sevgi Özdamar, Bielefeld: Transcript, 2009.
  • (DE) Arnold, Heinz L, Hermann Korte, Hannah Arnold, Steffen Martus, Axel Ruckaberle, Michael Scheffel, Claudia Stockinger, Michael Töteberg, Yasemin Dayioglu-Yücel, and Ortrud Gutjahr, Emine Sevgi Özdamar, Richard Boorberg Verlag, 2016.
  • (DE) Jochen Neubauer, Türkische Deutsche, Kanakster und Deutschländer : Identität und Fremdwahrnehmung in Film und Literatur: Fatih Akin, Thomas Arslan, Emine Sevgi Özdamar, Zafer Şenocak und Feridun Zaimoğlu, Würzburg: Königshausen & Neumann, 2011.
  • (EN) Stewart, Lizzie, Matthes, Frauke, Introduction: Emine Sevgi Özdamar at 70, in Oxford German Studies, vol. 3, n. 45, 25 agosto 2016, pp. 237-244.