Utente:Andrea borsari/Sandbox 3

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Contesto[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver gareggiato nelle categorie minori ed essersi imposto nel campionato irlandese kart del 1976, Eddie Jordan decise, nel 1979, di abbandonare la carriera di pilota per fondare una propria scuderia, la Eddie Jordan Racing. Dall'esordio fino al 1987 la squadra partecipò a campionati minori britannici, prendendo parte alle corse di Formula Ford e, in particolare, di Formula 3 britannica; nella categoria sfiorò il titolo più volte, classificandosi seconda nel 1983 con Martin Brundle, nel 1984 con Allen Berg e nel 1986 con Maurizio Sandro Sala. Fu Johnny Herbert, nel 1987, a conquistare il primo titolo per la squadra irlandese, un successo che portò Eddie Jordan a decidere di cimentarsi nel campionato europeo di Formula 3000 a partire dall'anno seguente.

Nel 1988 la squadra esordì quindi nel nuovo campionato, all'epoca considerato l'anticamera della Formula 1, con la coppia di piloti inglesi formata da Martin Donnelly e Johnny Herbert, che si dimostrarono subito competitivi; Herbert stesso vinse la gara d'esordio a Jerez, mentre Donnelly si aggiudicò le gare di Brands Hatch e Digione. L'anno successivo la Jordan vinse il campionato con l'esordiente Jean Alesi alla guida, mentre Donnelly si classificò ottavo.

Già alla fine del 1989, Eddie Jordan meditava il debutto in Formula 1 e, nel Natale dello stesso anno, prese contatti con Gary Anderson, all'epoca progettista della Reynard, che cominciò a operare all'interno del team nel febbraio del 1990.[1] La scelta fu influenzata dal fatto che Anderson godeva di un buon bagaglio di esperienza nel mondo delle corse, avendo ricoperto i ruoli di meccanico, capo meccanico e progettista in Formula 3, Formula 3000 e Formula 1, categoria in cui aveva lavorato in squadre di vertice come Brabham e McLaren.[2] Inoltre aveva progettato le scocche della Reynard con cui Jordan si era imposto in Formula 3000 ed era anche stato a capo della direzione tecnica dei team con cui la squadra irlandese si era confrontata in Formula 3.[3] Infine, Anderson è nord irlandese e Jordan ha sempre tenuto molto alle sue radici e a quelle del team.[senza fonte]

Nel 1990, Jordan presentò quindi alla FIA la documentazione per poter gareggiare in Formula 1 con la propria scuderia e il permesso gli venne accordato alla fine di quell'anno. Il nuovo team prese il nome di Jordan Grand Prix, in luogo della vecchia denominazione Eddie Jordan Racing. Con l'ingresso in Formula 1, Jordan dovette far fronte a nuovi problemi, dovendo costruire in casa il proprio telaio, mentre nelle categorie minori questi venivano forniti da costruttori esterni. Allo scopo venne realizzato uno stabilimento di 48.000 metri quadrati situato nei pressi dell'ingresso principale della pista di Silverstone:[2] una soluzione molto intelligente dal punto di vista logistico, che consentiva di provare immediatamente i prototipi abbattendo in modo drastico le spese per i trasporti.[senza fonte]

La vettura[modifica | modifica wikitesto]

La Jordan 191 venne sviluppata sotto la direzione di Gary Anderson: il tecnico coordinava un team formato da Andrew Green, addetto alla progettazione delle sospensioni, e Mark Smith, che si occupò del cambio.[4] A causa del poco tempo a disposizione e delle risorse limitate, la vettura venne sviluppata tramite CAD-CAM, basandosi sul concetto di semplicità e pulizia della linea.[2]

Il team disponeva di un budget di 12,5 milioni di dollari e lo staff era formato da 43 dipendenti.[2]

Motore[modifica | modifica wikitesto]

Jordan riuscì ad ottenere un contratto con la Ford per la fornitura dei motori e questo implicava l'utilizzo di un propulsore di seconda fascia rispetto a quelli adoperati dai top team, perché erogava una potenza inferiore ma aveva dalla sua un numero ridotto di componenti essendo un V8 (diversamente dai sofisticati V12 di Ferrari e McLaren e il V10 della Williams), e poteva vantare consumi inferiori di carburante.

Tuttavia il motore della Jordan era il cosiddetto HB, il motore di punta della Ford nella prima parte degli anni '90, che venne fatto esordire l'anno prima dalla Benetton (la quale beneficiava di una versione più evoluta per via del suo contratto di esclusiva), e garantiva prestazioni migliori rispetto ai Ford DFR utilizzati dalla maggior parte delle squadre di basso livello.

Aerodinamica[modifica | modifica wikitesto]

Ora che aveva il motore, Anderson doveva occuparsi del telaio che lo avrebbe dovuto ospitare, e delle linee aerodinamiche. Dal punto di vista aerodinamico la macchina non era particolarmente spinta, ma si basava su concetti tradizionali e linee pulite. Il disegno era molto compatto e riprendeva alcuni principi da diverse auto dell'epoca. Colpivano particolarmente il musetto e le pance laterali, il primo era semirialzato e stretto con l'alettone inglobato che si estendeva dallo stesso con un piccolo sbalzo, ed era arcuato verso l'alto nella parte frontale. Una soluzione tipica dell'epoca alla ricerca della miglior penetrazione aerodinamica, figlia della Tyrrel 019 di Posteltwhaite e Migeot, ma meno estremo e simile al frontale della Williams disegnata da Newey.

Sempre nell'ala anteriore spiccavano le bandelle laterali, abbastanza alte, e le due superfici alari supplementari contornate da splitter e nolder con lo scopo di accelerare i flussi e ridurre lo strato limite sulla superficie alare principale, ma anche indirizzare i filetti fluidi della parte superiore sulle fiancate evitando l'area delle sospensioni. Questo era possibile proprio perché le pance laterali erano molto basse.

Per questo le pance offrivano poca superficie all'aria, incrementando la penetrazione aerodinamica, ma erano raccordate alla coda in un modo che accentuava parecchio la cosiddetta zona Coca-Cola, ricordando vagamente il disegno a cassa di violino visto sulle Ferrari di Barnard, ma con un disegno più spinto e una rastrematura molto marcata.

Il rollbar e il cofano motore erano molto avvolgenti, tanto che la parte esterna di quest'ultimo ricalcava il supporto del filtro dell'aria del motore.

Il profilo estrattore aveva dimensioni generose, e sfruttava al limite le prescrizioni regolamentari. Era composto da due canali venturi simmetrici a forma di semicerchio e sembrava una soluzione semplificata della "cattedrale di Oatley" presente nelle McLaren.

In sostanza il disegno aerodinamico era semplice ed estremo allo stesso tempo, improntato molto sulla riduzione degli attriti e la penetrazione aerodinamica più che sulla ricerca del carico come avviene nelle macchine moderne, anche perché all'epoca era possibile utilizzare assetti molto rigidi con altezze da terra minime, che consentivano un'alta efficienza del fondo della macchina grazie ad un alto livello di evacuazione dei flussi dal fondo scocca.

Questo disegnato è stato possibile grazie all'utilizzo del Ford Cosworth HB, che era abbastanza corto avendo solo quattro cilindri per bancata, e l'adozione di una cambio di velocità trasversale (manuale a sei marce prodotto dalla Hewland) che consentiva una riduzione significativa del passo e tra le altre cose permetteva di rendere la vettura particolarmente maneggevole.

Le sospensioni erano a triangoli sovrapposti di tipo push rod, una soluzione all'avanguardia nella gestione delle escursioni delle ruote, ma che unito ad un angolo di bancata del motore di soli 75°, non ha permesso di abbassare ulteriormente il baricentro della macchina, tra l'altro all'avantreno venne sperimentata la soluzione del monoammortizzatore (ripreso dalla Ferrari l'anno seguente) che rendeva la macchina troppo rigida e creava problemi di beccheggio.

Il telaio era una monoscocca in fibra di carbonio, in un sol pezzo con la carrozzeria, una scelta più avanguardista rispetto a quella di squadre più blasonate come Ferrari e Mclaren che invece avevano i due elementi separati.

  1. ^ Murray, pp. 162-170
  2. ^ a b c d (EN) A man of the people, marzo 1992, p. 21. URL consultato il 26 febbraio 2017.
  3. ^ Nye, pp. 276-277.
  4. ^ (EN) Simon Arron, Retrospective Jordan 191, in Motor Sport, vol. 92, n. 5, maggio 2016, pp. 66-73.