Referendum costituzionale in Mauritania del 2017

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Referendum sulle istituzioni
e i simboli nazionali
La bandiera adottata con il referendum
StatoMauritania
Data5 agosto 2017
Tiporeferendum costituzionali
Revisione costituzionale delle istituzioni della Repubblica
  
85,67%
neutrali
  
4,31%
no
  
10,02%
Affluenza53,72%
Revisione costituzionale della bandiera e dell'inno nazionale
  
85,61%
neutrali
  
4,40%
no
  
9,99%
Affluenza53,75%

Il referendum costituzionale del 2017 in Mauritania ha avuto luogo il 5 agosto 2017. Il popolo è stato chiamato a pronunciarsi su due progetti di legge. Il primo verteva su riforme istituzionali, tra le quali in particolare la soppressione del Senato e l'attuazione del regionalismo; il secondo sulla modifica dei simboli nazionali della bandiera e dell'inno nazionale.[1][2] Entrambi i quesiti sono stati approvati a larghissima maggioranza e le rispettive leggi sono state promulgate il 15 agosto seguente.[3][4]

Oggetto[modifica | modifica wikitesto]

Il referendum insisteva su due progetti di legge recanti revisione delle disposizioni della Costituzione del 20 luglio 1991 e delle relative leggi di modifica.[5]

Il primo dei due progetti prevedeva la soppressione del Senato e l'attuazione del regionalismo. A quest'ultimo fine il testo contemplava l'istituzione di una nuova categoria di collettività territoriali dotate di consigli regionali eletti dal popolo e chiamati a fungere da strumento di promozione e pianificazione dello sviluppo su scala regionale.[5]

Il progetto prevedeva inoltre l'introduzione del controllo sulle leggi in via d'eccezione, l'istituzionalizzazione dell'Alto consiglio della fatwā e dei ricorsi amministrativi in luogo dell'Alto consiglio islamico e del difensore civico della Repubblica, l'attribuzione delle questioni ambientali alla competenza del Consiglio economico e sociale e, in un primo momento, la soppressione dell'Alta corte di giustizia. Quest'ultima riforma fu successivamente stralciata dalla consultazione.[5][6]

Altri emendamenti costituzionali «tendenti ad accentuare il carattere patriottico della Repubblica e a migliorare il funzionamento delle sue istituzioni» erano inclusi nel secondo progetto di legge. La bandiera sarebbe stata caricata di due bande rosse, alla base e al vertice, a simboleggiare il sangue versato per la patria, e l'inno nazionale sarebbe stato modificato.

Tappe del progetto di legge[modifica | modifica wikitesto]

Il progetto di revisione costituzionale fu varato dal consiglio dei ministri del 3 novembre 2016. Il presidente della Repubblica, Mohamed Ould Abdel Aziz, indisse il referendum per gennaio 2017. Il progetto si riallacciava alle sedute del dialogo inclusivo organizzato tra maggioranza e opposizione moderata e tenuto dal 29 settembre al 20 ottobre, dialogo boicottato da parte dell'opposizione mauritana.[5][7]

Il referendum fu però annullato il 30 dicembre «a causa di una difficile congiuntura economica». Anziché alla consultazione, il governo procedette allora a una revisione costituzionale per via parlamentare, in base all'art. 99 della Costituzione. Il Parlamento in seduta comune (Assemblea nazionale e Senato) si trovò allora a decidere se adottare la riforma a maggioranza dei 3/5 dei voti, dopo che le due Camere si fossero pronunciate separatamente a maggioranza dei 2/3 dei rispettivi membri.

Il 9 marzo 2017, il progetto fu adottato dall'Assemblea nazionale con 141 voti su 147,[8][9] ma il 18 marzo il Senato lo respinse con 33 voti (24 dei quali della maggioranza di governo) su 56.[10][11] Benché i senatori avessero votato contro, restarono minoritari nel Parlamento in seduta comune. Il solo totale dei voti a favore espressi il 9 marzo dai membri della Camera bassa fu perciò sufficiente per superare la soglia dei 3/5.

Tuttavia, il 22 marzo, il presidente mauritano prese atto del rifiuto della Camera alta e decise, com'è sua prerogativa in base all'art. 38 della Costituzione, di ricorrere finalmente alla consultazione popolare per dotare il progetto di legittimazione popolare, pur considerando impossibile al momento fissare una data, salva la necessità di tenere il referendum «il più presto possibile».[12] Abdel Aziz decise allora di distinguere due quesiti, uno sulle istituzioni e l'altro sui simboli nazionali.

Il 21 aprile il governo annunciò la data della consultazione, prevista per il 15 luglio seguente.[2] L'8 giugno il Consiglio dei ministri spostò la data di tre settimane, posticipando il referendum al 5 agosto. Questo slittamento fu conseguenza di una richiesta della Commissione elettorale nazionale indipendente, volta a prolungare il censimento della popolazione per il rinnovo delle liste elettorali, che datavano ancora al 2014. La Commissione temeva in effetti che un censimento incompleto e non in grado di assicurare una buona partecipazione avrebbe rimesso in causa la credibilità del voto. Inoltre incombeva sulla consultazione il tempo del ramadan che, cadendo quell'anno a fine giugno, avrebbe potuto abbreviare la campagna elettorale.[1]

Opposizione[modifica | modifica wikitesto]

Le riforme istituzionali non suscitarono troppa resistenza nel popolo, ma solo quella violenta dei membri del Senato, che pure appartenevano in gran parte alla maggioranza. Lo stesso non fu però per le modifiche alla bandiera e all'inno. Tra i mauritani si temeva che cambiare inno aggravasse la frattura tra le varie comunità del paese.[5]

Secondo molti giuristi, l'art. 99 della Costituzione, che attribuisce al presidente della Repubblica il potere di indire un referendum, non poteva essere invocato in materia costituzionale, il che li indusse a ritenere che Abdel Aziz avrebbe violato la legge fondamentale persistendo nel suo intento.[13]

Poco dopo l'annuncio dell'apertura di un percorso referendario in seguito al voto negativo del Senato, nella capitale Nouakchott si tennero manifestazioni, soprattutto giovanili. Nacque così un comitato Jamais la modification de la Constitution («Mai la modifica della Costituzione») che pretendeva l'annullamento della consultazione e l'assegnazione dei 6 miliardi di ouguiyas (circa 16 milioni di euro) necessari per il suo svolgimento alle infrastrutture educative del paese, bisognose di fondi.[14]

Sul piano politico, l'opposizione restava divisa sul modo di contrastare il progetto. Il principale schieramento delle forze contrarie al presidente Abdel Aziz, il Forum nazionale per la democrazia e l'unità, si scindeva tra i partigiani del boicottaggio del voto e coloro che preferivano l'appello a votare No.[1] Il 4 luglio l'opposizione si compattò finalmente intorno al boicottaggio.[15]

La decisione fu presa in successione dalla quasi totalità dei partiti riuniti in coalizione in seguito alla scelta della principale componente d'opposizione, il partito islamista Tawassul, sebbene quest'ultimo preferisse inizialmente l'appello al voto contrario. L'inversione di rotta era legata alla Crisi del Golfo esplosa il 5 giugno tra il Qatar e una coalizione di paesi musulmani guidata dall'Arabia Saudita. La crisi spinse la Mauritania, alleata quest'ultima, a rompere a sua volta le relazioni diplomatiche con il Qatar minacciandone i sostenitori. Temendo che il partito fosse messo fuori legge a causa della sua vicinanza al Qatar, i dirigenti di Tawassul, forti della propria importanza in seno alla coalizione, decisero allora di adottare una posizione meno drastica dell'appello al No e di pronunciarsi invece per l'astensione, costringendo gli alleati ad allinearsi a questa scelta.[16]

Voto e risultati[modifica | modifica wikitesto]

I due quesiti furono posti in francese e in arabo, riportando in dettaglio alcune delle riforme più significative.

Scheda gialla:

Riforma delle istituzioni[3][17]
Risultati Preferenze Percentuale
sui voti validi
Si  573 935 85,67%
Neutrali 28 894 4,31%
 No 67 146 10,02%
Schede bianche e nulle 76 314
Totale votanti 746 289 100,00%
Corpo elettorale 1 389 092
affluenza 53,72%

Scheda azzurra:

Riforma dei simboli nazionali[3][17]
Risultati Preferenze Percentuale
sui voti validi
Si  584 084 85,61%
Neutrali 30 039 4,40%
 No 69 124 9,99%
Schede bianche e nulle 64 408
Totale votanti 746 655 100,00%
Corpo elettorale 1 389 092
affluenza 53,75%

Attuazione[modifica | modifica wikitesto]

Le riforme costituzionali sono entrate in vigore il 15 agosto 2017 con la promulgazione da parte del presidente della Repubblica. Specificamente, la Camera bassa mauritana ha assunto da quella data i poteri del senato ed è stata adottata la nuova bandiera.[18] L'inno nazionale, anziché essere semplicemente modificato, è stato sostituito: la musica è stata affidata all'egiziano Rajih Daoud,[19] il testo a una commissione di poeti scelti dall'autorità e il nuovo inno è stato adottato nel novembre 2017.[20]

Il 9 gennaio 2018 il Parlamento ha votato la legge organica di decentramento, che definisce lo statuto e le competenze di sei nuove regioni, due delle quali dotate di statuto speciale. Le due maggiori città del paese, la capitale Nouakchott e Nouadhibou, sono divenute a tutti gli effetti collettività territoriali regionali. Le regioni sono amministrate da un organo deliberante, il Consiglio regionale, eletto a suffragio universale diretto per un mandato quinquennale, e da un organo esecutivo composto da un presidente, anch'esso eletto a suffragio universale diretto, e da diversi vicepresidenti eletti dal Consiglio.[21] Le prime elezioni regionali si sono tenute il 1º settembre 2018 contestualmente alle politiche.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c (FR) Alain Faujas, Mauritanie: report du référendum constitutionnel au 5 août, in Jeune Afrique, 9 giugno 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  2. ^ a b (FR) Mauritanie: référendum sur une révision de la Constitution le 15 juillet (officiel), in AfricaNews, 21 aprile 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  3. ^ a b c (FR) Large victoire du Oui au référendum constitutionnel en Mauritanie, in Agence Presse Africaine, 6 agosto 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  4. ^ (FR) Sénat supprimé en Mauritanie, in VOA Afrique, 16 agosto 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  5. ^ a b c d e (FR) Cheikh Sidya, Mauritanie: un référendum pour supprimer le Sénat, changer de drapeau et d'hymne, in Le 360, 11 aprile 2016. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  6. ^ (FR) Référendum: le Président renonce à la suppression de la Haute Cour de Justice, in Alakhbar, 25 luglio 2017. URL consultato il 19 gennaio 2019.
  7. ^ (FR) Alain Faujas, Révision constitutionnelle en Mauritanie: la controverse de Nouakchott, in Jeune Afrique, 31 maggio 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  8. ^ (FR) La Mauritanie va changer de drapeau national, in Le Parisien, 10 marzo 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  9. ^ (FR) Ibrahima Bayo jr., Réforme constitutionnelle: la Mauritanie va-t-elle changer de drapeau?, in La Tribune d'Afrique, 10 marzo 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  10. ^ (FR) Mauritanie: les sénateurs rejettent la révision de la Constitution, in BBC, 18 marzo 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  11. ^ (FR) Mauritanie: le Sénat rejette le projet de révision constitutionnelle, in Radio France internationale, 18 mars 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  12. ^ (FR) Mauritanie: Mohamed Ould Abdelaziz annonce un référendum sur la révision de la Constitution, in Jeune Afrique, 23 marzo 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  13. ^ (FR) Mauritanie: l'annonce d'un référendum constitutionnel fait toujours débat, in RFI Afrique, 10 aprile 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  14. ^ (FR) Cheikh Sidya, Mauritanie: multiplication des manifestations antiréférendum constitutionnel, in Le 360, 11 aprile 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  15. ^ (FR) Cheikh Sidya, Mauritanie: l'opposition décide de boycotter le référendum d'Ould Abdel Aziz, in Le 360, 4 luglio 2017. URL consultato il 17 gennaio 2019.
  16. ^ (FR) Mauritanie: pourquoi l’opposition a opté pour le boycott du référendum constitutionnel, in Jeune Afrique, 15 agosto 2017. URL consultato il 19 gennaio 2019.
  17. ^ a b (FR) Référendum constitutionnel: la CENI proclame les résultats, in Alakhbar, 6 agosto 2017. URL consultato il 19 gennaio 2019.
  18. ^ (FR) Mauritanie: le changement de drapeau et la suppression du Sénat sont officiels, in Jeune Afrique, 17 agosto 2017. URL consultato il 19 gennaio 2019.
  19. ^ Filmato audio (EN) CGTN Africa, Renowned Egyptian composer hailed for anthem, su YouTube, 20 marzo 2018. URL consultato il 19 gennaio 2019.
  20. ^ (FR) Mauritanie: nouveau drapeau et nouvel hymne national, in BBC, 28 novembre 2017. URL consultato il 19 gennaio 2019.
  21. ^ (FR) Cheikh Sidya, Mauritanie: la loi organique sur les conseils régionaux adoptée, in Le 360, 9 gennaio 2018. URL consultato il 19 gennaio 2019 (archiviato dall'url originale il 30 giugno 2018).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]