Corrado Lancia di Castromainardo

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Corrado Lancia di Castromainardo
Barone di Longi
Barone di Ficarra e di Castania
Stemma
Stemma
In carica1302-1328
SuccessoreUgo Lancia
Altri titoliSignore di Galati, di Mongelino, di Piraino, di Rendàculi, di Santa Marina e del castello di Brolo
Morteverso il 1328
DinastiaLancia
PadreGaleotto Lancia
MadreCubitosa d'Aquino
Consorte?
FigliUgo
ReligioneCattolicesimo

Corrado Lancia, barone di Longi, detto Corrado di Castromainardo (... – verso il 1328), è stato un nobile, militare e politico italiano del XIV secolo, capostipite dei Lancia di Sicilia.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque presumibilmente nella seconda metà del XIII secolo nell'Italia meridionale, da Galeotto dei Principi di Salerno e dalla di lui consorte Cubitosa (o Gubitosa) d'Aquino dei Conti di Acerra.[1] Nel 1268, rimase orfano del padre, giustiziato dagli Angioini assieme al nonno paterno Galvano Lancia, principe di Salerno, dopo la battaglia di Tagliacozzo, e secondo una ricostruzione fatta dall'abate Rocco Pirri, assieme alla madre e agli altri fratelli si rifugiò nel Regno d'Aragona.[1][2]

Corrado, che prima dell'esilio in terra iberica aveva vissuto in Sicilia, dominata dalla Casa regnante sveva a cui la sua famiglia era fedele, vi fece ritorno dopo il suo passaggio sotto il dominio aragonese, e nel 1302, ebbe concesso dal re Pietro III d'Aragona il possesso delle baronie di Longi, di Ficarra e di Castania, e le signorie di Galati, Mongelino (in territorio di Mineo), di Piraino, di Rendàculi, di Santa Marina e del castello di Brolo, per i servizi resi alla Corona.[3][4][5] Per ottenere la concessione di questi feudi, il Lancia dovette rinunciare al possesso del feudo calabrese di Castel Mainardo, di cui era signore e da cui derivava l'appellativo di Castromainardo.[5] Ottenne in seguito gli uffici di giustiziere di Palermo (1302-04), di maestro razionale del Real Patrimonio del Regno di Sicilia (1305-12) e di mastroportulano (1308-12).[2][3][4][5]

Nel 1312, il Sovrano aragonese lo inviò a Gerba, dove a capo di un contingente di 2.200 soldati, il Lancia sconfisse i Mori ribelli dell'isola.[2] Due anni più tardi, nel 1314, il re Federico III di Sicilia lo inviò a Trapani per trattare la tregua con Roberto d'Angiò che aveva assediato la città.[2] Nello stesso anno, il re Giacomo II d'Aragona lo inviò in Sardegna e lo incaricò di fornirgli una relazione sulle fortificazioni presenti nell'isola, obiettivo degli Aragonesi che la conquisteranno nel 1324.[6] Il Castromainardo conosceva benissimo la Sardegna, dove molti anni prima era stato al servizio della Repubblica di Pisa.[6]

Morì in Sicilia verso il 1328, e lasciò un figlio, Ugo (detto Ugone), che gli succedette nei titoli e nei feudi.[2][3][4][5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b G. Cordero di San Quintino, Osservazioni critiche sopra alcuni particolari delle storie del Piemonte e della Liguria nell'undecimo e dodicesimo secolo, corredate di prove autentiche per la maggior parte finora non mai pubblicate, vol. 2, Stamperia Reale di Torino, 1854, p. 184.
  2. ^ a b c d e Lancia di Brolo.
  3. ^ a b c A. Inveges, Annali della felice città di Palermo prima sedia, corona del Re, e capo del Regno di Sicilia nelli quali si contiene la sua origine, progressi, e varietà di stato sacro, politico, e militare, vol. 3, Palermo, Coppola, 1651, pp. 87-90.
  4. ^ a b c B. Aldimari, Memorie historiche di diverse famiglie nobili così napoletane, come forastiere, Così vive, come spente, con le loro Arme; e con un Trattato dell'Arme in generale, vol. 1, Stamperia Raillard, 1651, pp. 347-350.
  5. ^ a b c d A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), in Mediterranea : ricerche storiche. Quaderni vol. 1, Palermo, Associazione Mediterranea, 2006, pp. 209-219.
  6. ^ a b A. Solmi, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel medio evo, Presso la Società storica sarda, 1917, p. 320.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • F. Lancia di Brolo, Dei Lancia di Brolo. Albero genealogico e biografie, Palermo, Tipografia Gaudiano, 1875, pp. 116-118.