Quid non mortalia pectora coges, auri sacra fames

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Un filosofo scrive su una colonna AURI SACRA FAMES. Sullo sfondo, vascelli spagnoli e portoghesi e massacro di indiani ridotti in schiavitù (illustrazione di Marillier su Guillaume Thomas Raynal, Storia filosofica e politica delle due Indie, vol. 2, 1775)

Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames è una frase latina tratta dall'Eneide di Virgilio (Libro III, vv. 56-57), che significa: «a che cosa non spingi l'animo degli uomini, maledetta brama dell'oro!».[1]


Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Nel Libro III dell'Eneide Enea rievoca la scoperta della morte insepolta di Polidoro, figlio di Priamo e di Ecuba, che in occasione della guerra di Troia i genitori avevano affidato alla protezione di Polimestore, re dei Traci e loro parente; ma quest'ultimo, volgendo al peggio le sorti di Troia, fece uccidere Polidoro e si impossessò del tesoro di Priamo che il giovane portava con sé. Ecuba si sarebbe poi crudamente vendicata, attirando Polimestore in un tranello, accecandolo e uccidendone i due figli.[2]

(LA)

«Hunc Polydorum auri quondam cum pondere magno
infelix Priamus furtim mandarat alendum
Threicio regi, cum iam diffideret armis
Dardaniae cingique urbem obsidione videret.
Ille, ut opes fractae Teucrum et Fortuna recessit,
res Agamemnonias victriciaque arma secutus
fas omne abrumpit: Polydorum obtruncat, et auro
vi potitur. Quid non mortalia pectora cogis,
auri sacra fames!»

(IT)

«Il povero Priamo segretamente aveva un giorno mandato questo Polidoro al re Tracio, con un grande tesoro, affinché lo crescesse, quando ormai aveva perso fiducia nella guerra e vedeva la città dardania circondata dall'assedio. Costui, non appena le forze troiane furono infrante e la Fortuna si allontanò, seguendo i re greci e gli eserciti vincitori, infranse ogni legge divina: uccide Polidoro, e con la forza si impadronisce del tesoro. A che cosa non spingi l'animo degli uomini, maledetta fame dell'oro!»

Significato e tradizione[modifica | modifica wikitesto]

L'espressione ha evidente valore deprecativo nei confronti della cupidigia di ricchezze come vizio capitale dell'umanità e movente di azioni vili (di cui la vicenda di Polidoro ne ricorda gli effetti proditori e ferali), e con tale significato è spesso citata, soprattutto nella forma abbreviata Auri sacra fames.[3]

Per comprendere correttamente l'espressione occorre però considerare che in latino l'aggettivo sacer, accanto al significato più diffuso equivalente all'italiano «sacro», può assumere anche il valore opposto di «esecrabile, maledetto», che è appunto quello che ha in questa frase.[4]

Dante e Stazio[modifica | modifica wikitesto]

Dante Alighieri, nel canto XXII del Purgatorio, traduce e reinterpreta il senso dell'espressione, immaginando che proprio quelle parole abbiano persuaso al pentimento il prodigo Stazio, poeta latino, che così si confessa rivolto a Virgilio:

«... io drizzai mia cura,
quand'io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l'umana natura:

"Per che non reggi tu, o sacra fame
de l'oro, l’appetito de' mortali?"»

Ossia: «io compresi il mio peccato di prodigalità, e mi sono pentito, meditando quel passo dove tu (Virgilio) gridi (a gran voce), quasi corrucciato verso la corruzione degli uomini: "Perché, o giusta (santa, quando sei moderata) brama dell'oro, non freni, non guidi l'appetito dei mortali?"». Dante cioè si rammaricherebbe che gli uomini, fra le deviazioni opposte dell'avarizia e della prodigalità, non siano governati dalla virtù mediana, cioè da un desiderio di ricchezze moderato e quindi ammissibile e giusto. Questa lettura assume che Dante abbia consapevolmente assegnato al sacra virgiliano il significato comune, che conserva nell'italiano, e non quello di esecrando che ha nel testo di Virgilio.[5]

La citazione dantesca rappresenta una delle innumerevoli riprese virgiliane con cui l'autore della Commedia poeta rende omaggio allusivamente al suo «maestro» e «autore».

Errori e varianti[modifica | modifica wikitesto]

L'espressione ricorre occasionalmente sul web e in qualche libro nella forma Quod non mortalia pectora coges (si noti: quod anziché quid; coges anziché cogis). Questa variante, che presenta la forma errata del pronome interrogativo, viene arbitrariamente ricondotta a una presunta citazione di Seneca.[6] Tuttavia la forma con la sola variante coges (futuro semplice, rispetto al presente cogis) fa parte della tradizione virgiliana antica, ed è già attestata in Isidoro di Siviglia (560 circa - 636).[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nella traduzione classica di Annibal Caro: «Ahi de l'oro empia ed essecrabil fame! / E che per te non osa, e che non tenta / quest'umana ingordigia?»
  2. ^ Il mito della tragedia di Ecuba ispirò molte opere di varie epoche, fra le quali resta notevole l'Ecuba di Euripide).
  3. ^ Ma già in Donato la frase viene intesa con un più generale valore gnomico e sapienziale, a significare l'origine di tutti i mali. Commentando l'episodio di Polidoro, egli annota: Virgilio «intende riferirsi non solo a questo caso specifico, ma a tutta l'umanità, a tutte le vicende possibili, a tutti i delitti compiuti. Come si apprende dalle letture e dagli esempi antichi, la cupidigia di guadagno ha creato i traditori della patria; per delle somme d'oro è stata spesso infranta la fedeltà dei soldati, quella dei coniugi, dei marinai, dei vicini di casa, degli alleati, degli amici». Si veda anche il suo commento a Eneide, XI, 228-229: Virgilio, «per spiegare che il denaro è causa di tutti i delitti, disse Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames!, così da mostrare che tutte le più diverse azioni criminali hanno inizio dalla bramosia di denaro e possono trovare forza se sono mosse dall'amore per il guadagno».
    Carlo Marx richiama l'espressione da un punto di vista non moralistico, ma "scientifico": «Il denaro non è soltanto un oggetto della brama di arricchimento, è invece il suo oggetto. Essa è essenzialmente auri sacra fames. La brama di arricchimento in quanto tale, come forma particolare di appetito […], è possibile soltanto quando la ricchezza generale, la ricchezza in quanto tale, è individualizzata in oggetti particolari […]. Il denaro non è dunque soltanto l'oggetto della brama di arricchimento, ma ne è in pari tempo anche la fonte. […] Di qui i lamenti degli antichi sul denaro come fonte di ogni male» (Karl Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica, Einaudi, Torino, 1977, vol. 1 p. 161).
  4. ^ Cfr. Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni (1948), Torino, Boringhieri, 1984, p.39: «Commentando il detto di Virgilio auri sacra fames, Servio nota giustamente che sacer può significare tanto 'maledetto' che 'santo'. Eustazio nota il medesimo significato doppio di aghios, che può esprimere contemporaneamente l'idea di 'puro' e di 'contaminato' . La stessa ambivalenza del sacro compare nel mondo paleosemitico ed egiziano».
    Oltre a Servio, anche Donato rileva l'ambivalenza semantica di sacer, commentando i nessi virgiliani sacrum Argiletum (Argileto è il luogo dove fu commesso un delitto, l'uccisione di Argo) e sacer ales «sparviero» (Eneide, rispettivamente VIII, 345-346 e XI, 721) e richiamando appunto il precedente Auri sacra fames.
    Su sacer e sulla polarità sacro/profano si veda anche il Wikibook Le religioni e il sacro (Etimologia del termine e La polarità sacro/profano). Si veda, inoltre, la voce sacertà.
  5. ^ Ma sull'interpretazione di questi versi, in realtà, la questione è dibattutissima: all'opposto di coloro che sostengono che Dante, non certo per errore o arbitrio, si sia avvalso della possibilità polisemica che la prassi ermeneutica del suo tempo gli offriva, in piena conformità all'utilizzo e alla reinterpretazione che il Medioevo fece delle fonti e delle auctoritates, altri ritengono che Dante abbia invece frainteso il senso delle parole di Virgilio. Per una disamina della questione (e per altri riferimenti crici e bibliografici), cfr. Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, Firenze, Le Monnier, 1988 (undicesima ristampa, 1995), pp. 357 e 375.
  6. ^ Secondo taluni, che mai forniscono i riferimenti esatti del luogo, Seneca citerebbe la frase di Virgilio in una sua opera che sarebbe ora il De vita beata, ora il De tranquillitate animi, ora le Epistole a Lucilio: ma in nessuna di queste opere è possibile rinvenire la citazione. In realtà, quod è forma grammaticalmente impossibile, essendo quid l'unica forma del pronome interrogativo neutro latino (quod è solo aggettivo). C'è anche chi, non convinto evidentemente del significato di sacra, assegna a Seneca la forma auri miserrima fames (Mario Tiberi, Il latino che serve. Detti, frasi celebri, locuzioni della civiltà latina, Librosì Edizioni, 2012). Questa variante, che non ricorre mai in fonti che possano stimarsi autorevoli, sembra piuttosto un errore pigramente ereditato dall'uno all'altro testo.
  7. ^ Cfr. Isidori Hispalensis Episcopi, Etymologiarum sive Originum Libri XX, a cura di Wallace Martin Lindsay, New York, Oxford University Press, 1911 (la frase di Virgilio è citata nel Libro II, cap. XXI, De figuris verborum et sententiarum, p. 99); anche, Isidoro di Siviglia, Etimologie o Origini, Utet, Torino, 2004.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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