Villa Barbaro

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Coordinate: 45°48′20″N 11°58′48″E / 45.805556°N 11.98°E45.805556; 11.98
 Bene protetto dall'UNESCO
Villa Barbaro
 Patrimonio dell'umanità
TipoArchitettonico
CriterioC (i) (ii)
PericoloNessuna indicazione
Riconosciuto dal1996
Scheda UNESCO(EN) City of Vicenza and the Palladian Villas of the Veneto
(FR) Scheda

Villa Barbaro Basadonna Manin Giacomelli Volpi a Maser (Treviso) è una villa veneta, costruita da Andrea Palladio tra il 1554 e il 1560 per l'umanista Daniele Barbaro e per suo fratello Marcantonio Barbaro, ambasciatore della Repubblica di Venezia, trasformando il vecchio palazzo medievale di proprietà della famiglia in una splendida abitazione di campagna consona allo studio delle arti e alla contemplazione intellettuale, decorata con un ciclo di affreschi che rappresenta uno dei capolavori di Paolo Veronese.

Il complesso della villa, che comprende anche un tempietto palladiano, è stato inserito dall'UNESCO nel 1996 - assieme alle altre ville palladiane del Veneto - nella lista dei patrimoni dell'umanità.

Il progetto di Palladio

Pianta (Ottavio Bertotti Scamozzi, 1781)
Il corpo principale
Sezione e dettagli (Ottavio Bertotti Scamozzi, 1781)
Dettaglio del corpo principale, con epigrafe dedicatoria al committente nell'architrave

All’inizio degli anni 1550, la realizzazione della villa per i fratelli Barbaro a Maser costituisce per Palladio un punto di arrivo importante nella definizione della nuova tipologia di edificio di campagna. Per la prima volta infatti (anche se la soluzione ha precedenti in ville quattrocentesche) la casa dominicale e le barchesse sono allineate in un’unità architettonica compatta. A Maser ciò probabilmente è da collegarsi alla particolare localizzazione della villa sulle pendici di un colle: la disposizione in linea garantiva una migliore visibilità dalla strada sottostante, e del resto l’orografia del terreno avrebbe imposto costosi terrazzamenti a barchesse disposte secondo l’andamento del declivio.

Se è vero che per molti versi la villa mostra marcate differenze rispetto alle altre realizzazioni palladiane, ciò è senza dubbio frutto dell’interazione fra l’architetto e una committenza d’eccezione. Daniele Barbaro è un uomo raffinato, profondo studioso d’architettura antica e mentore di Palladio dopo la morte di Giangiorgio Trissino nel 1550: sono insieme a Roma nel 1554 per completare la preparazione della prima traduzione ed edizione critica del trattato De architectura di Vitruvio, curata da Barbaro e illustrata da Palladio, che vedrà le stampe a Venezia nel 1556.

Marcantonio Barbaro, energico politico e amministratore, ha un ruolo chiave in molte scelte architettoniche della Repubblica e col fratello Daniele è instancabile promotore dell’inserimento di Palladio nell’ambiente veneziano. Intendente d’architettura egli stesso, riceve un esplicito omaggio da Palladio nei Quattro Libri per l’ideazione di una scala ovata.

Nella costruzione della villa Palladio interviene con abilità, riuscendo a trasformare una casa preesistente agganciandola alle barchesse rettilinee e scavando sulla parete del colle un ninfeo con una peschiera dalla quale, grazie a un sofisticato sistema idraulico, l’acqua viene trasportata negli ambienti di servizio e quindi raggiunge giardini e brolo. Nella didascalia della pagina dei Quattro Libri che riguarda la villa, Palladio mette in evidenza proprio questo exploit tecnologico che si richiama all’idraulica romana antica. È evidente che, piuttosto che le venete ville-fattoria, il modello di villa Barbaro sono le grandi residenze romane, come villa Giulia o Villa d'Este che Pirro Ligorio realizzava a Tivoli a per il cardinale Ippolito d'Este (al quale per altro Barbaro dedica il Vitruvio).

Decorazione

Affreschi del Veronese

All’interno della villa il pittore Paolo Veronese realizza quello che è considerato uno dei più straordinari cicli di affreschi del Cinquecento veneto.

La forza e la qualità dello spazio illusionistico che si sovrappone a quello palladiano hanno fatto pensare a una sorta di conflitto fra pittore e architetto, tanto più che Veronese non viene citato nella didascalia della tavola dei Quattro Libri dedicata alla villa. Del resto, evidentemente influenzato (e probabilmente intimorito) dal gusto e dalla personalità dei Barbaro, è molto probabile che Palladio abbia ritagliato per sé un ruolo tecnico e di coordinamento generale, lasciando ai committenti — se non, secondo alcuni, allo stesso Veronese — largo spazio per l’invenzione: lo prova il fantasioso disegno della facciata che difficilmente può essergli attribuito.

Ad occuparsi delle decorazioni, oltre a Veronese, fu chiamato Alessandro Vittoria, brillante allievo di Jacopo Sansovino, che curò le rifiniture a stucco di tutta la villa.

Le sale interne sono divise, partendo dalla prima: sala dell'Olimpo, sala a crociera, sala di Bacco, sala dell'amore coniugale (o di Venere), sala del cane, sala della lucerna (o Madonna della Pappa).

Tempietto

Pianta del tempietto (Ottavio Bertotti Scamozzi, 1783)
Il tempietto Barbaro
Sezione del tempietto (Bertotti Scamozzi, 1783)

Ai piedi del declivio su cui sorge la villa, Palladio realizza in seguito un raffinato tempietto destinato ad assolvere la doppia funzione di cappella di villa e chiesa parrocchiale per il borgo di Maser. Non si conosce con certezza la data di inizio dei lavori di costruzione. Nel fregio sono incisi il millesimo 1580, i nomi del patrono, Marcantonio Barbaro e di Palladio. Insieme al Teatro Olimpico il tempietto è l’ultima opera di Palladio, che la tradizione vuole morto proprio a Maser.

I modelli di riferimento dell’edificio sono evidentemente il Pantheon, ma anche la ricostruzione offerta dallo stesso Palladio del mausoleo di Romolo sulla via Appia. Al tempo stesso è possibile che sul tempietto convergano le riflessioni palladiane per la soluzione a pianta centrale del progetto per il Redentore, poi abbandonata a favore della variante longitudinale, ma che proprio Marcantonio Barbaro aveva sostenuto in prima persona.

La planimetria dell’edificio è innovativa perché combina insieme un cilindro e una croce greca. Quattro massicci pilastri servono da contrafforti alla cupola, che è ispirata espressamente a quella del Pantheon e quindi “all’antica”, a differenza di quelle di San Giorgio Maggiore e del Redentore. Molti studiosi stentano a riferire a Palladio la ricca decorazione a stucco dell’interno, che tuttavia è molto simile a quella presente all’interno e all’esterno dei palazzi palladiani degli anni 1570.

Vicende storiche

Il ninfeo con la peschiera

Per via femminile, la villa passò dai Barbaro ai Trevisan, da questi ai Basadonna, quindi ai Manin del ramo di Ludovico Manin, ultimo doge della Repubblica di Venezia. Questi ultimi la vendettero nel 1838 a Gian Battista Colferai che l'aveva in affitto già da qualche anno, ma le sue eredi, per non spendere sostanze in un bene indiviso con le sorelle, la lasciarono andare completamente in rovina.

Fu l'industriale friulano Sante Giacomelli che l'acquistò nel 1850, la restaurò e rinnovò, avvalendosi dell'opera di artisti come lo Zanotti e Eugenio Moretti Larese.

Durante la prima guerra mondiale nella villa aveva sede il comando del generale Squillaci. Batterie dell'esercito sparavano dalle colline oltre il Piave, ma l'edificio rimase miracolosamente indenne.

Nel 1934 fu acquisito da Giuseppe Volpi di Misurata, il quale l'affidò alle cure della figlia Marina, che se ne innamorò, vi si stabilì e continuò negli anni l'opera di restauro. La villa è attualmente abitata dalla figlia di lei e dalla sua famiglia. Nel 1996 è stata dichiarata dall'UNESCO patrimonio dell'umanità assieme alle altre ville palladiane del Veneto.

Il complesso è anche sede di un'azienda agricola che produce il vino DOC che prende il nome della villa.

Altri progetti

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Panoramica con la villa e il tempietto

Collegamenti esterni

Villa Barbaro, in Mediateca, Palladio Museum. (fonte per la descrizione del progetto)

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