Utente:Actormusicus/Notte dei cristalli

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La sinagoga ortodossa Ohel Jakob in Herzog-Rudolf-Straße a Monaco dopo l'attacco incendiario del 9 novembre 1938

I Novemberpogrome 1938 («Pogrom di novembre 1938») – anche detti, in riferimento alla notte del 9-10 novembre in cui ebbero luogo, Notte dei cristalli (del Reich) ((Reichs-)Kristallnacht), e decenni dopo Reichspogromnacht («Notte dei pogrom del Reich») – furono azioni di violenza contro gli ebrei in Germania e Austria organizzate e dirette dal regime nazista.

Nel corso di essi, dal 7 al 13 novembre, diverse centinaia di ebrei furono uccisi e almeno 300 si suicidarono. Più di 1400 sinagoghe, sale di preghiera e simili luoghi di ritrovo, come anche migliaia di negozi, abitazioni e cimiteri ebraici furono distrutti. Dal 10 novembre circa 30000 ebrei vennero internati nei campi di concentramento, dove pure a centinaia furono uccisi o morirono in conseguenza della prigionia.

I pogrom segnarono la transizione dalla semplice discriminazione degli ebrei tedeschi, iniziata nel 1933, alla loro espulsione sistematica. In quale misura si sia trattato dello stadio larvale dell'Olocausto che sarebbe iniziato tre anni dopo è oggetto di discussione nella ricerca storica.

La cinica ed eufemistica definizione di «Notte dei cristalli (del Reich)», lungamente diffusa in ambiente germanofono, è stata tradotta e adottata anche in altre lingue.

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

La Notte dei cristalli inasprì l'antisemitismo di stato spingendolo fino alla minaccia all'esistenza degli ebrei in tutto il Reich tedesco. A dispetto della propaganda nazista i pogrom furono tutt'altro che una reazione di «rabbia popolare spontanea» in risposta all'assassinio di un diplomatico tedesco per mano di un ragazzo ebreo. Mirarono invece regolarmente ad accelerare l'«arianizzazione» legale, iniziata nella primavera del 1938, e quindi l'espropriazione forzata delle proprietà e delle imprese ebree, con la quale si sarebbe finanziata anche la corsa agli armamenti della Germania. Il momento storico dei pogrom è in stretta relazione con la rotta di guerra hitleriana.

Judenpolitik[modifica | modifica wikitesto]

Uomini delle SA berlinesi attaccano manifesti incitanti al boicottaggio dei negozi ebraici il 1º aprile 1933

Violenze contro gli ebrei in Germania erano esistite anche prima della presa di potere nazista. Durante la superinflazione del 1923, antisemiti attaccarono gli ebrei nello Scheunenviertel (quartiere dei granai) di Berlino. L'allora capo delle SA Wolf-Heinrich von Helldorf organizzò nella capitale i tumulti del Kurfürstendamm del 1931. Dopo la Machtergreifung nazista vi fu una prima ondata di violenza antisemita, sorta dalla base del partito e tollerata dal vertice: provenienti dalla regione del Reno e della Ruhr, membri delle SA attaccarono negozi ebraici, imposero un boicottaggio e intimidirono i clienti.[1] L'11 marzo 1933 l'ondata di violenza raggiunse Braunschweig, dove fu organizzato un «attacco ai magazzini». Seguì il 1º aprile il boicottaggio nazionale contro gli ebrei. Con la legge per la restaurazione del pubblico impiego (Berufsbeamtengesetz) e quella sull'accesso all'ordine degli avvocati (Gesetz über die Zulassung zur Rechtsanwaltschaft) del 7 aprile, già nel 1933 circa 37000 ebrei videro cancellata in Germania la loro vita professionale.

In seguito la violenza antisemita «dal basso» scemò. Le imprese ebraiche per il momento non furono più apertamente danneggiate, onde evitare di nuocere a settori economici sensibili.[2] Nel 1935, però, seguì una seconda ondata di violenza antisemita: a marzo Julius Streicher, dalle pagine del foglio sobillatore nazista Der Stürmer, invocò la pena di morte per «commistione razziale». A luglio ebbe luogo il secondo tumulto del Kurfürstendamm. Lo stato rispose di nuovo alla pressione della base del partito: l'8 agosto 1935 Hitler vietò gli «atti di ferocia» contro gli ebrei, per poi emanare a settembre le leggi razziali di Norimberga.[3] Nel febbraio 1936 Goebbels voleva adottare l'attentato dello studente ebreo David Frankfurter contro il funzionario del partito nazista Wilhelm Gustloff come pretesto per «azioni» contro gli ebrei, ma esse non ebbero luogo perché il regime preferì approfittare degli imminenti Giochi olimpici di Berlino a fini di propaganda.[4]

Nel 1937 si profilò un cambiamento di rotta, dall'emarginazione strisciante degli ebrei nell'economia privata tedesca alla loro autentica espropriazione forzata da parte dello stato. A gennaio il Reichsführer delle SS Himmler, per la prima volta, invocò la «deebraizzazione della Germania» («Entjudung Deutschlands»), già indicata come obiettivo del partito nazista nel programma in 25 punti del 1920. Tale deebraizzazione poteva essere meglio ottenuta attraverso la fomentazione della «rabbia popolare» e la violenza.[5] In ottobre l'«organo di battaglia» delle SS, Das Schwarze Korps, richiamò l'attenzione sul presunto inalterato potere degli ebrei nel commercio e nell'industria. Ciò non era più tollerabile: Heute brauchen wir keine jüdischen Betriebe mehr («Non ci servono più le imprese ebraiche»).[6]

Il ministro dell'economia Hjalmar Schacht, che già nel 1934 aveva protestato contro la campagna di boicottaggio di Streicher, perché minacciava di turbare il commercio natalizio,[7] fu sostituito il 27 novembre 1937. Poco dopo Streicher organizzò un nuovo boicottaggio di Natale contro i negozi ebraici.[8]

Razzia alla comunità religiosa israelitica di Vienna nel marzo 1938

Nel 1938 seguì la terza ondata di violenza antisemita:[9] con l'annessione dell'Austria 192000 ebrei si erano aggiunti ai 350000 del «Vecchio Reich», cosicché ormai 542000 ebrei vivevano nella «Grande Germania». Fu soprattutto a Vienna, dove la minoranza ebraica contava per il 9% della popolazione, che si registrarono violenze per settimane. Squadristi delle SA pestarono migliaia di negozianti ebraici presso i loro esercizi, imprese e abitazioni. Membri borghesi del partito nazista assunsero in qualità di «commissari» la direzione dei negozi depredati, a «riparazione», nella loro ottica, degli svantaggi dell'«unificazione del Reich», e tentarono anche di prevenire l'accaparramento delle imprese ebraiche da parte di potenti gruppi industriali tedeschi. Per fermare queste «espropriazioni selvagge» il «commissario del Reich» Josef Bürckel dichiarò i suddetti «commissari» il 13 aprile, per legge, proprietari a tutti gli effetti, con ciò imponendo loro di denunciare il capitale d'esercizio.[10]

Il 26 aprile 1938 Göring emise un decreto che obbligava tutti gli ebrei del Reich, in origine fino al 30 giugno, termine poi prorogato al 31 luglio, a dichiarare in dettaglio il loro intero capitale all'ufficio finanze, qualora superasse il valore di 5000 marchi. Si calcolò l'intero valore dei patrimoni ebraici in 8,5 miliardi, una cui quota in titoli liquidi era stimata in 4,8 miliardi. Il regime nazista progettava la loro conversione forzata in titoli di stato, per poterli poi vendere all'estero contro valuta straniera. In tal modo si sarebbe potuto contenere il deficit di bilancio e finanziare l'espulsione all'estero degli ebrei spossessati.[11]

Molti Alte Kämpfer («vecchi combattenti») stimavano la Judenpolitik del regime troppo titubante. Il capo della polizia berlinese Wolf-Heinrich von Helldorff, su impulso di Goebbels, presentò nel maggio 1938 un memorandum per chiedere la completa segregazione degli ebrei di Berlino nella vita economica e sociale. Goebbels in giugno approfittò dell'arresto di massa dell'operazione «Arbeitsscheu Reich»,[N 1] diretta in realtà contro gli «asociali», per associarvi un'azione contro i negozianti ebrei berlinesi.[12] Davanti agli ufficiali di polizia annunciò: «La parola d'ordine non è legge ma angheria. Gli ebrei devono lasciare Berlino».[13] In tal modo si pose in conflitto con i servizi segreti, i quali ritenevano l'impoverimento degli ebrei un ostacolo rispetto al fine ultimo di spingerli all'emigrazione. Su pressione di Hitler furono vietate nuove azioni antiebraiche con effetto dal 21 giugno 1938.[14] A settembre avvennero nuove aggressioni antisemite a Kassel, Rothenburg an der Fulda, Francoforte sul Meno, Magdeburgo, Hannover e Vienna. Il clima da pogrom dominante in settori del partito nazista è posto da Hans Mommsen in relazione con la minaccia di guerra, che dopo il suo apparente appianamento mediante gli accordi di Monaco si sarebbe sfogata in un accresciuto azionismo antisemita.[15]

Di fronte alla politica del regime mirata a provocare l'emigrazione degli ebrei, i paesi europei confinanti temevano un'ondata di profughi e si preoccuparono di prevenirla. Alla conferenza internazionale di Évian, tenuta in Francia a luglio 1938, nessuno dei trentadue paesi convenuti si dichiarò pronto ad accogliere gli ebrei minacciati. Anzi la Svizzera, dove riparavano già molti ebrei dall'Austria, protestò contro la propria «ebraizzazione» e impose un obbligo generale di visto. In risposta il regime ritirò i passaporti degli ebrei tedeschi e li sostituì con speciali carte d'identità vidimate mediante lo Judenstempel («timbro ebraico») appena introdotto. Anche il Lussemburgo, per decisione del governo cristiano-socialista, il 9 novembre mantenne i confini rigidamente chiusi e rafforzò i controlli alla frontiera.[16] Infine, ad agosto, Eichmann su ordine di Heydrich aprì a Vienna il primo ufficio centrale per l'emigrazione ebraica. L'ondata di profughi si mise in moto: fino all'autunno circa 54000 ebrei lasciarono il Reich.

Julius Streicher impartisce l'ordine di demolizione delle sinagoghe davanti alla sinagoga madre di Norimberga il 10 agosto 1938

Il 14 ottobre Göring comunicò al ministero dell'aviazione del Reich un gigantesco programma di riarmo. Esso era però complicato dal deficit dello stato e dalla limitata capacità produttiva. Il settore privato vi avrebbe dovuto partecipare, altrimenti si sarebbe dovuto ricorrere alla pianificazione di stato. L'«arianizzazione» era ormai indispensabile e di esclusiva competenza dello stato: in nessun caso doveva finire, come in Austria, anarchicamente in un «sistema assistenziale per membri inetti del partito».[17]

Prima espulsione di massa (Polenaktion)[modifica | modifica wikitesto]

Espulsione di ebrei polacchi da Norimberga il 28 ottobre 1938

Il 9 ottobre 1938 la Polonia emanò un decreto a norma del quale i passaporti di tutti i polacchi residenti all'estero da oltre cinque anni senza il visto speciale di un consolato competente sarebbero scaduti il 30 ottobre. Il provvedimento interessò, in particolare, fino a 18000 cittadini polacchi, sui 70000 stimati (perlopiù ebrei impoveriti) che spesso vivevano illegalmente nel Reich.[18] Il 26 ottobre il governo tedesco intimò quindi alla Polonia un ultimatum affinché garantisse il rientro degli apolidi, altrimenti sarebbero stati subito banditi. Dopo il previsto rifiuto, il 27 ottobre la Gestapo impose a tutte le città e comuni di arrestare subito tutti i soggetti interessati. La notte del 29 ottobre essi furono prelevati dalle loro abitazioni e tradotti al confine tra i due paesi a Zbąszyń, su treni e autocarri strettamente sorvegliati.

I doganieri polacchi, impreparati, in un primo momento sbarrarono il passo ai deportati con le armi, mentre i tedeschi ne impedivano il ritorno indietro. Essi dovettero quindi attendere, senza sostentamento, tutto il giorno nelle sovraffollate stazioni di confine o nella terra di nessuno, finché le autorità polacche finalmente li lasciarono entrare. Una parte trovò alloggio nei giorni seguenti presso le comunità ebraiche in Polonia, ma circa 7000 persone dovettero riversarsi nel campo profughi di Zbąszyń, nel voivodato di Poznań, dove il governo polacco li trattenne internati fino all'agosto 1939. A gennaio ottennero il permesso di rientrare brevemente nei luoghi natali in Germania, solo per cedere le loro attività, sbrigare affari domestici e regolarizzare così la loro «emigrazione» forzata.[19]

Pretesto dell'attentato[modifica | modifica wikitesto]

Herschel Grynszpan dopo il suo arresto a Parigi l'8 novembre 1938

Il 3 novembre il diciassettenne ebreo polacco Herschel Grynszpan, che viveva a Parigi, apprese che anche tutta la sua famiglia era stata tradotta a Zbąszyń. Si procurò così una pistola e il 7 novembre 1938, all'ambasciata tedesca di palazzo Beauharnais, sparò al segretario di legazione e membro del partito nazista Ernst Eduard vom Rath, il quale morì il 9 novembre per le ferite riportate.

Parte della dirigenza del partito nazista sfruttò l'attentato come una gradita occasione per offrire alla base insoddisfatta l'opportunità di un'azione contro le proprietà degli ebrei e per escludere quindi rapidamente questi ultimi, anche per legge, dalla vita economica tedesca. Prima ancora che la polizia francese avesse indagato su un possibile movente, Goebbels e il suo collaboratore Wolfgang Diewerge fecero diffondere la teoria del complotto secondo cui Grynszpan avrebbe agito su ordine del giudaismo internazionale, che voleva annientare la Germania nazista. Con questo fine la fantomatica organizzazione avrebbe lavorato all'inquinamento delle relazioni franco-tedesche, per provocare una guerra. In relazione a tale teoria la Deutsche Allgemeine Zeitung fece notare che Grynszpan aveva commesso il gesto nell'anniversario della Rivoluzione d'ottobre.[20] Ancora il 7 novembre l'agenzia Deutsche Nachrichtenbüro (DNB), istituzione centrale per l'orientamento della stampa nello stato nazista, emise la disposizione di «porre in enorme risalto» la notizia dell'attentato su tutti i giornali e di richiamare particolarmente l'attenzione sul fatto che «il gesto [doveva] avere le peggiori conseguenze per gli ebrei in Germania».[21] Il giorno seguente Diewerge scrisse, nell'editoriale del Völkischen Beobachter intitolato Verbrecher am Frieden Europas («Criminali contro la pace in Europa»):[22]

(DE)

«Es ist klar, daß das deutsche Volk aus dieser neuen Tat seine Folgerungen ziehen wird. Es ist ein unmöglicher Zustand, daß in unseren Grenzen Hunderttausende von Juden noch ganze Ladenstraßen beherrschen, Vergnügungsstätten bevölkern und als ‚ausländische‘ Hausbesitzer das Geld deutscher Mieter einstecken, während ihre Rassegenossen draußen zum Krieg gegen Deutschland auffordern und deutsche Beamte niederschießen. [...] Die Schüsse in der deutschen Botschaft in Paris werden nicht nur den Beginn einer neuen deutschen Haltung in der Judenfrage bedeuten, sondern hoffentlich auch ein Signal für diejenigen Ausländer sein, die bisher nicht erkannten, daß zwischen der Verständigung der Völker letztlich nur der internationale Jude steht.»

(IT)

«È chiaro che il popolo tedesco deve trarre le sue conclusioni da questo nuovo delitto. È insostenibile che entro i nostri confini centinaia di migliaia di ebrei controllino ancora tutte le vie commerciali, popolino i locali di intrattenimento e intaschino come locatori “stranieri” i soldi degli inquilini tedeschi, mentre fuori quelli della stessa razza fomentano la guerra contro la Germania e ammazzano funzionari tedeschi. [...] La sparatoria all'ambasciata tedesca a Parigi non segna solo l'inizio di un nuovo atteggiamento della Germania nella questione ebraica, ma si spera sia anche un segnale per gli stessi stranieri, che finora non hanno mai riconosciuto che l'ultimo ostacolo alla concordia dei popoli è l'internazionale giudaica.»

Commenti dello stesso tenore si trovano l'8 e 9 novembre su altri organi di partito, come il Westdeutsche Beobachter.[23]

Fatti[modifica | modifica wikitesto]

Inizio delle violenze[modifica | modifica wikitesto]

Negozio ebraico distrutto a Magdeburgo

La notizia dell'attentato al diplomatico von Rath, prima ampiamente sconosciuto, raggiunse l'opinione pubblica tedesca l'8 novembre 1938 attraverso i quotidiani. Ma già nel tardo pomeriggio del 7 novembre i primi abusi contro gli ebrei, le loro abitazioni, i loro negozi, i loro luoghi comunitari e le sinagoghe avevano preso avvio nei distretti dell'Elettorato d'Assia e di Magdeburgo-Anhalt. I responsabili di tali abusi erano membri delle SA e delle SS, che si presentarono in borghese per poter agire da comuni cittadini e fomentare nel resto della cittadinanza la «rabbia popolare». La sera del 7 novembre furono devastate le sinagoghe e altre istituzioni ebraiche a Kassel, la notte anche quelle di luoghi limitrofi come Bebra, Rotenburg an der Fulda e Sontra.[24] L'8 novembre fu incendiata a Bad Hersfeld la prima sinagoga. Nei distretti di Fulda e Melsungen, a Baumbach, Eschwege, Fritzlar, Witzenhausen e altrove, furono demolite quasi tutte le abitazioni e i negozi ebraici.[25] Nel corso della sera e della notte numerosi ebrei furono seviziati. A Felsberg si registrò la prima vittima nell'Elettorato.[26]

Nel pomeriggio del 9 novembre, dalle 15, fu dato fuoco alla sinagoga e alla casa della comunità ebraica di Dessau; dalle 19 divamparono scontri a Chemnitz. Gli incendi dolosi colpirono nell'insieme solo sinagoghe e negozi la cui combustione non era in grado di minacciare gli edifici vicini. Edifici e abitazioni non ebraiche furono risparmiati ovunque.

Da chi fosse partita l'iniziativa delle violenze nell'Elettorato è oggetto di discussione. Lo storico Wolf-Arno Kropat ritiene che il responsabile distrettuale della propaganda Heinrich Gernand ne sia stato «evidentemente» incaricato dal ministero.[27] Alan E. Steinweis non ne scorge però alcuna prova e ritiene invece che Gernand abbia interpretato la propaganda proveniente da Berlino come segnale per far attaccare gli ebrei del luogo dai camerati.[28] Angela Hermann a sua volta esclude ogni istigazione agli eccessi nel distretto da parte di Goebbels e ritiene dubbio anche il ruolo di istigatore attribuito a Gernand.[29] Le azioni di violenza sarebbero state dirette da dirigenti locali del partito – trai quali un capo distretto – e attivisti delle SA; in parte sarebbero state sollecitate da membri del partito esterni al distretto.[30] Lo storico Hans-Jürgen Döscher sostiene che qui si dimostrò il «potenziale di brutalità della base antisemita del partito nazista».[31]

Notte del 9-10 novembre 1938[modifica | modifica wikitesto]

Lapide commemorativa al municipio vecchio di Monaco

Adolf Hitler aveva ordinato al suo medico personale Karl Brandt e all'illustre traumatologo Georg Magnus di recarsi a Parigi al capezzale di vom Rath e aveva promosso quest'ultimo consigliere di legazione di prima classe.[32] Il 9 novembre, dopo il corteo commemorativo del Putsch di Monaco, prese parte a un convivio di camerati della direzione del partito con «Alten Kämpfern» al vecchio municipio di Monaco. Qui venne a sapere della morte del diplomatico. Subito, durante il banchetto, si consultò con Goebbels, che lo informò delle violenze già in corso, e concluse: «Lasciar correre queste dimostrazioni. Ritirare la polizia. Stavolta gli ebrei devono conoscere la rabbia del popolo».[33] Contrariamente alle sue abitudini, il Führer rinunciò a tenere un discorso e lasciò il raduno subito dopo mangiato.[34][N 2]

Intorno alle 22 Goebbels comunicò la notizia davanti a tutti i dirigenti del partito e delle SA, e approfittò della morte del diplomatico per un'interpretazione antisemita dell'attentato, indicandone come responsabile il «complotto internazionale giudaico». Approvò quindi le azioni contro gli ebrei in corso in tutto Reich, nelle quali sarebbero state incendiate anche delle sinagoghe, e alluse espressamente all'Elettorato e a Magdeburgo. Dichiarò che il partito non voleva apparire l'organizzatore delle azioni antiebraiche, ma neppure le avrebbe impedite dove si fossero sviluppate. I capi distretto e i dirigenti delle SA presenti intesero questa dichiarazione come indiretto ma inequivocabile ordine di organizzare tali azioni «spontanee» di «rabbia popolare».[35]

Devastazioni ai magazzini Uhlfelder a Monaco

Verso le 22:30, dopo il discorso di Goebbels, essi chiamarono al telefono i rispettivi uffici locali. Quindi si riunirono all'hotel Rheinischer Hof, per trasmettere da lì nuove istruzioni d'azione. A notte lo stesso Goebbels, chiusa la giornata commemorativa, fece inviare telegrammi dal ministero alle autorità subalterne, ai capi distretto e agli uffici della Gestapo del Reich. Questi trasmisero alle rispettive squadre ordini conformi, che suonavano come il seguente (all'ufficio delle SA «Nordsee»):[36]

(DE)

«Sämtliche jüdische Geschäfte sind sofort von SA-Männern in Uniform zu zerstören. Nach der Zerstörung hat eine SA-Wache aufzuziehen, die dafür zu sorgen hat, dass keinerlei Wertgegenstände entwendet werden können. [...] Die Presse ist heranzuziehen. Jüdische Synagogen sind sofort in Brand zu stecken, jüdische Symbole sind sicherzustellen. Die Feuerwehr darf nicht eingreifen. Es sind nur Wohnhäuser arischer Deutscher zu schützen, allerdings müssen die Juden raus, da Arier in den nächsten Tagen dort einziehen werden. [...] Der Führer wünscht, dass die Polizei nicht eingreift. Sämtliche Juden sind zu entwaffnen. Bei Widerstand sofort über den Haufen schießen. An den zerstörten jüdischen Geschäften, Synagogen usw. sind Schilder anzubringen, mit etwa folgendem Text: ‚Rache für Mord an vom Rath. Tod dem internationalen Judentum. Keine Verständigung mit Völkern, die judenhörig sind.‘ Dies kann auch erweitert werden auf die Freimaurerei.»

(IT)

«Tutti i negozi ebrei siano subito distrutti da uomini delle SA in divisa. Dopo la distruzione sia montata una guardia delle SA, perché abbia cura che non venga sottratto alcun tipo d'oggetto di valore. [...] Sia chiamata la stampa. Le sinagoghe ebraiche siano subito date alle fiamme, i simboli ebraici siano sequestrati. I vigili del fuoco non intervengano. Solo le abitazioni dei tedeschi ariani siano protette, mentre gli ebrei se ne devono andare [dalle proprie] poiché ariani vi prenderanno alloggio nei prossimi giorni. [...] Il Führer desidera che la polizia non intervenga. Tutti gli ebrei siano disarmati. In caso di resistenza si spari subito nel mucchio. Ai distrutti negozi ebraici, alle sinagoghe ecc. si affiggano cartelli, con scritte di questo tenore: “Vendetta per l'assassinio di vom Rath. Morte all'internazionale giudaica. Niente patti con gente che appartiene all'ebraismo”. Può anche essere esteso alla massoneria.»

Nella notte Himmler prese parte insieme a Hitler a un giuramento di reclute delle SS in Odeonsplatz e diede istruzioni al capo del reparto Gestapo per gli oppositori del regime, Heinrich Müller. Costui alle 23:55 spedì un telex a tutte le sale di controllo della polizia di stato del Reich: i servizi di sicurezza dovevano tenersi fuori. Dovevano tuttavia occuparsi della «protezione» delle proprietà ebraiche dal saccheggio. Il punto 3 dichiarava: «Va preparato l'arresto di circa 20000-30000 ebrei nel Reich. Vanno scelti soprattutto i benestanti. Ordini più precisi saranno inviati nel corso di questa notte».[37] In seguito trasmise tali «ordini più precisi» a Heydrich, che alle 01:20 a sua volta lì spedì via telex a tutti i sottoposti. In tal modo confermò il divieto di saccheggio, la protezione dagli incendi degli edifici adiacenti e aggiunse che gli stranieri (anche ebrei) non dovevano essere toccati. Lasciò indeterminato il numero delle persone da arrestare:[38]

(DE)

«Sobald der Ablauf der Ereignisse dieser Nacht die Verwendung der eingesetzten Beamten hierfür zulässt, sind in allen Bezirken so viele Juden – insbesondere wohlhabende – festzunehmen, als in den vorhandenen Hafträumen untergebracht werden können.»

(IT)

«Appena il corso degli eventi di questa notte permetterà l'uso a tale scopo dei funzionari in servizio, si dovranno arrestare in tutti i distretti tanti ebrei – specie benestanti – quanti se ne possono ospitare negli ambienti carcerari disponibili.»

L'obiettivo di tali arresti era permettere alla Gestapo e alle SS, messe di fronte al fatto compiuto dal discorso di Goebbels, di prendere parte agli espropri e acquisire risorse finanziarie per sostenere l'emigrazione ebraica.[39]

La polizia e le SS rimasero palesemente sorprese dai pogrom, già iniziati un'ora prima di essere informate. Lo testimonia non da ultimo il fatto che furono spediti due diversi ordini con identico destinatario: il telex di Müller era chiaramente formulato in fretta e furia e dovette perciò essere completato e concretizzato dal dispaccio di Heydrich.[40] La regìa delle devastazioni non spettava loro, bensì agli uffici locali di propaganda del partito nazista. Essi convocarono i gruppi locali delle SA, che diedero istruzioni ai loro membri e li misero in moto per eseguire gli ordini. A Norimberga, ad esempio, come nelle maggiori città tedesche, secondo quanto riferito da testimoni oculari tali ordini furono adempiuti come segue:[41]

(DE)

«Zuerst kamen die großen Ladengeschäfte dran; mit mitgebrachten Stangen wurden die Schaufenster eingeschlagen, und der am Abend bereits verständigte Pöbel plünderte unter Anführung der SA die Läden aus. Dann ging es in die von Juden bewohnten Häuser. Schon vorher informierte nichtjüdische Hausbewohner öffneten die Türen. Wurde auf das Läuten die Wohnung nicht sofort geöffnet, schlug man die Wohnungstür ein. Viele der ‚spontanen‘ Rächer waren mit Revolver und Dolchen ausgestattet; jede Gruppe hatte die nötigen Einbrecherwerkzeuge wie Äxte, große Hammer und Brechstangen dabei. Einige SA-Leute trugen einen Brotbeutel zur Sicherstellung von Geld, Schmuck, Fotos und sonstigen Wertgegenständen, die auf einen Mitnehmer warteten. Die Wohnungen wurden angeblich nach Waffen durchsucht, weil am Tage vorher ein Waffenverbot für Juden veröffentlicht worden war. Glastüren, Spiegel, Bilder wurden eingeschlagen, Ölbilder mit den Dolchen zerschnitten, Betten, Schuhe, Kleider aufgeschlitzt, es wurde alles kurz und klein geschlagen. Die betroffenen Familien hatten am Morgen des 10. November meistens keine Kaffeetasse, keinen Löffel, kein Messer, nichts mehr. Vorgefundene Geldbeträge wurden konfisziert, Wertpapiere und Sparkassenbücher mitgenommen. Das schlimmste dabei waren die schweren Ausschreitungen gegen die Wohnungsinhaber, wobei anwesende Frauen oft ebenso misshandelt wurden wie die Männer. Eine Anzahl von Männern wurde von den SA-Leuten unter ständigen Misshandlungen und unter dem Gejohle der Menge zum Polizeigefängnis getrieben. […] Am anderen Morgen wurden gegen 4 Uhr morgens alle [der zuvor inhaftierten] Personen unter 60 Jahren nach Dachau abtransportiert.»

(IT)

«Prima vennero i grandi esercizi; le finestre furono distrutte per mezzo di manganelli, e la folla, già al corrente in serata, saccheggiò i negozi sotto la guida delle SA. Poi fu il turno delle abitazioni private ebree. I condomini[N 3] non ebrei, avvertiti, poco prima aprirono le porte. Se al suono del campanello la porta non veniva subito aperta, la si sfondava. Molti vendicatori «spontanei» erano armati di pistola e coltello; ogni gruppo aveva con sé arnesi da scasso come asce, magli e piedi di porco. Alcuni membri delle SA portavano un tascapane per sequestrare denaro, gioielli, foto e altri oggetti di valore in attesa di qualcuno che li portasse via. Pare che le abitazioni fossero perquisite in cerca di armi, poiché il giorno prima era stato pubblicato il divieto per gli ebrei di detenerne. Porte a vetri, specchi, quadri vennero frantumati, dipinti ad olio squarciati a coltellate, letti, scarpe, vestiti ridotti a brandelli: tutto fu fatto a pezzi. La mattina del 10 novembre le famiglie colpite quasi mai avevano più una tazza da caffè, un cucchiaio, un coltello, nulla. Le somme di denaro rinvenute furono confiscate, i titoli e i libretti di risparmio prelevati. Il peggio furono le gravi violenze contro gli inquilini, con le donne spesso maltrattate allo stesso modo degli uomini. Un certo numero di uomini fu condotto nei carceri di polizia da quelli delle SA, sotto continua sevizia e tra le grida della folla. [...] Il mattino seguente verso le quattro tutte le persone [prima arrestate] di età inferiore a sessant'anni vennero deportate a Dachau.»

Ma non solo furono distrutte sinagoghe e negozi ebraici: la violenza non ebbe scrupoli neppure davanti a colonie di bambini e ospizi. A Emden gli ospiti di una casa di riposo furono presi dal letto, condotti davanti alle sinagoghe in fiamme in camicia da notte e qui obbligati a compiere piegamenti e altri esercizi ginnici a corpo libero.[42] Nel corso delle violenze, e del caos in cui esse ebbero luogo, numerosi ebrei furono assassinati. A Lesum, sobborgo di Brema, il sindaco e capo delle locali truppe d'assalto delle SA credette ad esempio, a causa di un errore di comunicazione, che tutti gli ebrei dovessero essere uccisi. La trasmissione errata dell'ordine condusse qui all'assassinio di un medico e di sua moglie.[43] In Austria membri delle SA non permisero a una coppia di sposi di portare con sé in carcere il loro piccolo di pochi mesi. Il bambino rimase così inaccudito in casa e morì.[44] Non è possibile determinare con certezza quanti ebrei siano morti nei pogrom. L'alta corte interna del partito nazista ne contò 91. Nella letteratura specialistica il numero stimato è nettamente più alto. Lo storico britannico Richard J. Evans calcola che la Notte dei cristalli siano morti in realtà fino a 2000 ebrei, inclusi 300 suicidi.[45]

Fatti del giorno dopo[modifica | modifica wikitesto]

Il 10 novembre Goebbels fece giustificare i pogrom dal DNB come «legittimo e comprensibile sdegno del popolo tedesco per il vile e proditorio assassinio di un diplomatico». Vi aggiunse «il forte appello ad astenersi subito da ogni dimostrazione o azione di qualunque tipo contro la comunità ebraica».[46] Lo stesso giorno Heß in qualità di «sostituto del Führer», in una direttiva ai capi distretto, vietò severamente ogni nuovo «incendio di negozi ebraici o simili».[47]

I pogrom però continuarono. In Austria iniziarono solo il 10 novembre e divamparono ancor più violenti. In tutto il Reich, soprattutto nelle aree rurali, continuarono fino al pomeriggio. A Harburg-Wilhelmsburg, dove fu incendiato l'obitorio del cimitero ebraico, cominciarono solo verso la sera del 10 novembre. La sinagoga fu saccheggiata ma restò in piedi.[48] I nazisti della Città libera di Danzica avviarono attacchi contro gli ebrei del luogo solo il 12 novembre.[49] In paesi più piccoli vi furono violenze fino all'11 e sporadicamente fino al 12 e al 13.

In molte regioni fu ignorato l'ordine di separazione tra le misure affidate delle SA e il servizio di «protezione» delle SS, tanto più che tale ordine era stato emesso solo ore dopo l'inizio dei pogrom. A Bensheim, sul lago di Costanza, in Bassa Renania, in Alta Slesia, a Vienna e altrove, infatti, furono le stesse forze di sicurezza a condurre le devastazioni, e dove non bastava incendiare davano una mano con gli esplosivi.[50] Tale svolgimento dei fatti è documentato ad esempio in una relazione da Baden-Baden:[51]

(DE)

«Ehe die SS die Synagoge in Brand steckte, zwang sie die Männer der jüdischen Gemeinde, sich dort zu versammeln. Entgegen dem jüdischen Brauch mussten sie ihre Hüte abnehmen. Das Gemeindeglied Herr Dreyfus wurde gezwungen, von der Kanzel herab aus dem nationalsozialistischen Hetzblatt Der Stürmer vorzulesen. Die Gemeinde hatte im Chor zu antworten: ‚Wir sind ein dreckiges, filziges Volk.‘ Die SS zwang die Männer, im Gotteshaus Nazilieder zu singen und Turnübungen vorzuführen.»

(IT)

«Prima di incendiare la sinagoga le SS hanno obbligato gli uomini della comunità ebraica a radunarvisi. In spregio all'usanza ebraica gli uomini hanno dovuto togliere il cappello. Il membro della comunità signor Dreyfus è stato costretto a leggere ad alta voce il giornale sobillatore nazista Der Stürmer. La comunità doveva rispondere in coro: “siamo un popolo schifoso e gretto”. Le SS hanno imposto agli uomini nella casa di Dio di intonare cori nazisti e di eseguire esercizi ginnici.»

Dopo la Notte dei cristalli un incolonnamento di ebrei è condotto in «custodia cautelare» in campo di concentramento a Baden-Baden (novembre 1938)

In diretta connessione con le devastazioni il 10 novembre verso le quattro del mattino presero avvio i prescritti arresti (cosiddette custodie cautelari) di circa 30000 ebrei maschi, prevalentemente giovani e benestanti, detti Aktionsjuden («ebrei delle azioni»). Essi rappresentavano circa un decimo degli ebrei rimasti in Germania.[52] Furono riuniti e più volte condotti, schierati, in giro per le città.[53] In mattinata furono poi deportati da Gestapo e SS nei tre campi di concentramento tedeschi di Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen, per costringerli all'emigrazione e arianizzare il loro patrimonio.[54] Secondo la testimonianza di un ebreo berlinese il corpo di guardia, con l'«appello nominale» e le notti in piedi al gelo della piazza del lager, non lasciò alcun dubbio sul fatto di voler decimare i detenuti: «Non siete al sanatorio ma al crematorio» [...] Le SS hanno licenza di spararvi quando vogliono» [secondo il «Postenpflicht»].[55]

Scheda di un internato ebreo nel campo di concentramento di Dachau (distinguibile dalla sigla SCH.J. = «Schutzhaft Jude»)

Il barbaro trattamento dei deportati a Buchenwald è descritto in dettaglio dal testimone oculare Eugen Kogon.[56] Nell'inverno 1938-1939 dovevano spalare la neve del lager a mani nude, mentre il medico del lager rifiutava l'amputazione degli arti congelati: Per gli ebrei redigo solo certificati di morte.[57]

I pogrom non furono uno snodo della «rabbia popolare» ma risalgono al partito nazista e alle organizzazioni affiliate. È vero infatti che il ministro della propaganga Goebbels aveva invitato i membri [di tali organizzazioni] a presentarsi in borghese, ma il consiglio fu seguito solo in parte. La sua speranza di suscitare con le azioni di violenza un vasto movimento popolare contro gli ebrei non fu appagata.[58] Tuttavia non certo tutti, tra quelli che presero parte agli scontri, erano uomini delle SA: nella giornata del 10 novembre, normale giorno di scuola, numerosi giovani mobilitati o dalla Hitlerjugend o dalla scuola stessa attaccarono gli ebrei e le loro proprietà. Anche molti imprenditori incitarono i dipendenti a violenze antisemite e vi presero parte a loro volta. Al vandalismo in molti luoghi seguirono saccheggi spontanei, ai quali partecipò un numero particolarmente alto di donne. Lo storico Alan E. Steinweis chiama in causa, a spiegazione della distruttività dei pogrom in tutto il Reich, «la disponibilità di decine di migliaia di tedeschi a commettere violenza sui loro vicini ebrei».[59]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Riunione al ministero dell'aviazione[modifica | modifica wikitesto]

Il 12 novembre, su invito di Göring, cento alti esponenti del regime nazista si riunirono al ministero dell'aviazione del Reich per discutere gli ulteriori interventi di Judenpolitik e ricomporre i conflitti sorti all'interno della policrazia nazionalsocialista. Quattro delle sette parti originarie del verbale della seduta sono conservate come copie autentiche.[60]

Già il 10 novembre Hitler, secondo le dichiarazioni di Göring, aveva ordinato a lui e a Goebbels di estromettere ormai completamente gli ebrei dall'economia. I convenuti alla riunione deliberarono pertanto un'ordinanza di esclusione degli ebrei dalla vita economica tedesca, in attuazione della quale tutti gli ebrei del Reich dovevano essere espropriati di tutto,[N 4] esclusi dalla vita culturale, banditi alla vista del pubblico e costretti all'esodo; tutto ciò al fine dichiarato di rendere judenfrei il Reich tedesco. Fatto il punto della situazione risultava che gran parte di abitazioni e negozi «ebrei» distrutti apparteneva in realtà agli «ariani» ed era solo in affitto; le compagnie d'assicurazione avrebbero dovuto risarcire i danni. La sola rottura dei vetri costava sui 3 milioni di marchi, e l'intero indennizzo assicurativo ammontava a 225 milioni.[61]

Göring si mostrò assai risentito dei pogrom, e implicitamente quindi con Goebbels: «Ne ho abbastanza di queste dimostrazioni. Esse non nuocciono agli ebrei, ma in fin dei conti a me, che sono a capo[N 5] dell'economia».[62] L'obiezione di Goebbels, secondo cui sarebbe stato «l'ebreo» a dover pagare i danni, Göring la liquidò come economicamente insensata, perché la Germania non possedeva materia prima, e il vetro per le vetrine danneggiate doveva essere acquistato all'estero, in cambio di valuta.[63] Goebbels, per parte sua, lanciò un'accusa a Heydrich: «Avrei preferito che uccideste duecento ebrei, piuttosto che distruggere questi beni[64]».[65] Göring propose di esigere dagli ebrei del Reich un miliardo di marchi come «espiazione» per «il comportamento ostile dell'ebraismo contro il popolo tedesco». I risarcimenti da parte delle assicurazioni disposte a pagare sarebbero andati direttamente allo stato; gli ebrei danneggiati non avrebbero ottenuto nulla. Così del resto aveva già deciso Hitler a pranzo con Goebbels il 10 novembre all'Osteria Italiana, con i pogrom ancora in corso.[66] L'idea di tale tassa punitiva generale per coloro che ora subivano una doppia espropriazione traeva origine dal memorandum sul piano quadriennale di Hitler dell'agosto 1936. Tutti i presenti aderirono alla proposta di Göring, senza obiezioni né intenzione di discutere. Il 18 novembre Göring ribadì il concetto in una comunicazione interna: «Situazione delle finanze del Reich molto critica. Riparazione primaria attraverso il miliardo di marchi imposto in pagamento alla comunità ebraica e il vantaggio che deriverà al Reich dall'arianizzazione delle imprese ebraiche». In effetti le finanze pubbliche, nell'ottobre 1938, erano al disastro, ed esisteva la concreta possibilità che il Reich diventasse insolvente. Ma con l'«ammenda[67] ebrea», che significava un brusco aumento di circa il 6% delle entrate del Reich, la crisi poteva essere superata.[68] Goebbels tentò invano di far aumentare il valore di quest'«espiazione» dall'amministrazione distrettuale. Göring impose che il denaro non affluisse al partito bensì solo al piano quadriennale. Si stabilì inoltre che in futuro non si compissero più azioni di violenza incontrollata[N 6] contro gli ebrei.[69] In seguito Goebbels avrebbe proposto sempre nuove misure antisemite, come lo scioglimento delle sinagoghe o il divieto d'accesso in boschi e parchi, ma Göring lo canzonò apertamente: si poteva senz'altro concedere agli ebrei l'accesso ad alcune foreste di cui erano endemici gli alci, dal momento che gli uni e gli altri avevano gli stessi nasi.[70]

La riunione al ministero sfociò nella delibera di spostare la competenza per la Judenpolitik, da quel momento in avanti, dal partito nazista alla Gestapo. Heydrich ricordò l'esperienza di Eichmann con l'ufficio emigrazione di Vienna, e suggerì l'istituzione di un analogo ufficio per l'intero Reich. Esso avrebbe dovuto organizzare una campagna d'emigrazione per tutti gli ebrei rimasti in Germania; Göring ne stimò i tempi in «almeno 8-10 anni». In tal modo il programma di espulsione da lui elaborato negli ultimi anni sarebbe assurto a politica ufficiale del regime nazista.[71] Minacciò inoltre «una grande resa dei conti con gli ebrei» nel caso di un conflitto in politica estera.[72] Hitler meditava un'iniziativa di politica estera per attuare il piano Madagascar, cioè la deportazione degli ebrei tedeschi nella colonia francese dell'Oceano Indiano.[73] Goebbels, nel suo diario privato, si mostrò tutto sommato molto soddisfatto dell'esito della riunione: «Collaboro magnificamente con Göring. E anche lui va forte. La posizione radicale ha vinto».[74]

Ripercussioni sulle vittime[modifica | modifica wikitesto]

Negozio ebraico distrutto a Magdeburgo nel novembre 1938
Filmato privato a Vienna nel 1938

Dei circa 30000 Aktionsjuden arrestati e deportati è accertato che 10911 – tra cui circa 4600 viennesi – furono tradotti a Dachau e 9845 a Buchenwald. A Sachsenhausen si stimano almeno 6000 internati (ma verosimilmente furono 10000). La detenzione nel campo comportò un nuovo tributo di centinaia di vite umane: secondo i dati dell'amministrazione dei lager, a Buchenwald trovarono la morte 207 ebrei, a Dachau 185, mentre il numero delle vittime di Sachsenhausen è ignoto. Si suppone anche in questo caso l'esistenza di un'alta cifra oscura. Questo perché fu sparato a dozzine di ebrei già all'arrivo nei lager, e in centinaia morirono nei tentativi di fuga e degli strapazzi del lavoro forzato. Migliaia di sopravvissuti rimasero gravemente feriti – solo all'ospedale ebraico di Berlino, in seguito, si sarebbero amputati almeno 600 arti per congelamento – e traumatizzati.[75]

La maggior parte dei deportati sopravvissuti fu rilasciata entro agosto 1939, a condizione che si dichiarassero formalmente pronti all'«emigrazione» e trasferissero i loro averi allo stato. Il numero delle domande di espatrio ebbe un'impennata dopo il 9 novembre: entro lo scoppio della guerra ancora una volta circa 200000 ebrei lasciarono il Reich, più del totale di quelli che erano emigrati tra il 1933 al 1938. Dovunque, all'estero, dovevano documentare il cosiddetto «Vorzeigegeld»[N 7] e spesso potevano ottenere i visti d'uscita e d'ingresso solo attraverso il mercato nero, il prestito da parenti all'estero o la corruzione di funzionari.[76]

Il ricercatore israeliano sull'antisemitismo nato a Berlino Avraham Barkai nota a proposito, nel 1988, che quasi tutte le sinagoghe del Reich furono distrutte: nuove ricerche del Synagogue Memorial l'hanno confermato, determinando un numero complessivo di 1406 sinagoghe e sale di preghiera devastate. Delle circa 25 sinagoghe viennesi dell'epoca solo lo Stadttempel, in centro, sopravvisse ai pogrom relativamente indenne, mentre quasi tutte le altre furono date alle fiamme. I circa 70 luoghi di preghiera della città furono tutti devastati e in parte perfino incendiati; delle 14 sinagoghe di Berlino, 11 furono completamente incenerite, le altre tre pesantemente danneggiate. Restarono distrutti circa 7500 altri negozi, abitazioni, case comunitarie e cappelle cimiteriali ebraiche.

Di conseguenza si sciolsero molte comunità di culto; le funzioni religiose ormai potevano avere luogo solo in privato senza oggetti cerimoniali, dal momento che, in particolare, i preziosi rotoli della Torah erano stati incendiati o confiscati. Ma tali funzioni, perlopiù, ora erano ben partecipate: non tanto perché la religiosità fosse aumentata, quanto perché in tal modo i fedeli potevano sostenersi a vicenda, dopo che si erano visti togliere ogni ragione d'esistenza e vietare le riunioni, e potevano ormai uscire in strada solo a rischio della vita.[77]

I pogrom distrussero definitivamente le speranze degli ebrei tedeschi di sopravvivere nella loro patria. Chi poteva, emigrava. L'anno 1939 segnò, con 80000 emigrati, il culmine dell'esodo ebraico dalla Germania nazista. Ma la posizione di rifiuto dei paesi candidati ad accogliere i profughi, manifestata alla converenza di Évian, non cambiò nonostante la Notte dei cristalli. Solo il Regno Unito concesse almeno asilo a 10000 bambini e giovani ebrei dalla Germania. Essi furono condotti in Gran Bretagna mediante i Kindertransporten dal dicembre 1938 al 1º settembre 1939, attraverso i Paesi Bassi. La scelta salvavita spettò alle comunità ebraiche, e i giovani selezionati, tra i 2 e i 17 anni, furono accuditi durante il viaggio da assistenti sociali ebrei. Speravano tutti di rivedere presto i genitori. Nel 90% dei casi fu speranza vana.[78]

Reazioni all'estero[modifica | modifica wikitesto]

Dopo il 10 novembre 1938 circa cento note di protesta di rappresentanze straniere giunsero al ministero degli esteri di Berlino: ciò vuol dire che, a dispetto degli ordini, tra le vittime dei pogrom vi furono anche ebrei stranieri. Tali proteste furono trasmesse senza commento alla cancelleria del Reich e qui scomparvero in archivio.[79]

Gli Stati Uniti reagirono in modo particolarmente duro, richiamando l'ambasciatore da Berlino il 14 novembre. A New York la cittadinanza manifestò per le vittime. Dal canto suo l'ambasciatore tedesco a Washington Dieckhoff comunicò, con preoccupazione, che ormai anche personalità che non avevano mai criticato il regime o addirittura «avevano mostrato qualche simpatia per la Germania» condividevano incondizionatamente le dure critiche.[80] Il 3 dicembre il governo statunitense protestò contro il decreto d'esclusione degli ebrei dall'economia tedesca, che in spregio alle assicurazioni di Ribbentrop colpiva anche i cittadini americani. Di conseguenza, per non compromettere l'ancor valido trattato d'amicizia con gli Stati Uniti, le chiusure programmate per il 31 dicembre delle restanti attività commerciali e artigianali ebree svolte per conto di aziende estere furono sospese, e già il primo del mese i diplomatici ebrei rimasero esentati dall'«espiazione» decisa il 12 novembre.[81] L'ufficio emigrazione statunitense, però, poteva ancora approvare solo 27000 delle annuali 140000 domande d'ingresso ebree.[82]

Nel Regno Unito i pogrom provocarono un ribaltamento dell'opinione pubblica, anche se il governo reagì con cautela. La politica di appeasement voluta da Chamberlain doveva ormai ritenersi fallita, mentre cresceva il favore alla guerra contro Hitler. Gli ambienti filotedeschi che fino a quel momento avevano difeso i provvedimenti del governo Hitler tacevano.

Il movimento per il boicottaggio contro il Reich,[83] nato nel 1933 in reazione al boicottaggio contro gli ebrei, e che perlopiù era riuscito a mobilitare solo consumatori ebrei, conobbe una significativa ripresa. Molte imprese in Francia, Regno Unito, Jugoslavia, Canada, Paesi Bassi e Stati Uniti ruppero i loro accordi commerciali con la Germania. Alcune imprese tedesche arrivarono a perdere un quarto delle loro esportazioni, e anche aziende strategiche per il riarmo subirono, secondo lo stato maggiore dell'economia militare,[N 8] sensibili perdite.[84] I più colpiti furono i produttori di pellame, tessuti e giocattoli. Proprio questi settori avevano tratto notevole profitto dall'arianizzazione.

Reazioni nel partito[modifica | modifica wikitesto]

Parte della base del partito rimase sorpresa dai pogrom e li respinse (soprattutto a causa dell'atteggiamento distaccato di Hitler) come «brutali» e «illegali», vale a dire azioni non appoggiate dal «Führer». Anche alcuni membri del governo, tra i quali Göring, Himmler, Heydrich, Funk e Rosenberg, presero le distanze e attribuirono a Goebbels la responsabilità esclusiva delle imprevedibili conseguenze di politica estera ed economica. Himmler criticò quella notte stessa l'azione di Goebbels come una «scriteriatezza», attribuendola alla sua «ambizione di potere».[85] Già la mattina del 10 novembre Göring rimproverò a Goebbels che la sua azione, per ignoranza economica, aveva provocato una «distruzione, insensata per l'economia pubblica, di [quei] beni» che avrebbe voluto consegnare allo stato tedesco come bottino.[86] Himmler e Göring tentarono di convincere Hitler a destituire Goebbels, ma il Führer difese il ministro della propaganda e il 15 novembre gli dimostrò solidarietà con una presenza congiunta in teatro.[87]

Gli abusi e i saccheggi posero problemi al partito nazista, poiché contraddicevano gli ordini ufficialmente emessi, e perfino alcuni esponenti del partito si erano spinti troppo oltre. Gli organi disciplinari dovevano quindi esaminare ed eventualmente punire le «infrazioni»; funsero da «giudici» in tali procedimenti capisezione e capigruppo che avevano attuato i pogrom.[88] Nel febbraio 1939 la relazione finale segreta di Walter Buch,[89] sommo giudice del partito, confermò che gli autori dell'infrazione avevano agito la sera del 9 novembre su ordine di Goebbels e di tutti i capi delle SA a lui sottoposti, ed erano perciò in gran parte scagionati. Poiché le infrazioni erano state presentate come «rabbia popolare», sarebbe stato coerente lasciarle punire non dai tribunali di stato ma dal partito stesso. Ma nel 1939 l'alta corte del partito decise che gli ordini volutamente ambigui di Goebbels erano ormai prescritti.[N 9] Prima del 1933 sarebbe stato a volte sensato celare il vero responsabile all'apparato di sicurezza dello stato. Ma ciò nel 1939 non appariva più necessario; del resto, in fondo tutti sapevano chi c'era dietro i pogrom: «Se in una notte bruciano tutte le sinagoghe, ciò in qualche modo dev'essere stato organizzato dal partito».[90] Di conseguenza, dal dicembre 1938 al febbraio 1939, solo tredici omicidi furono indagati dalla corte. I responsabili restarono però impuniti, oppure ricevettero solo blande pene disciplinari, e nessuno fu espulso. In seguito il tribunale del partito chiese a Hitler di perdonare i colpevoli, onde proteggerli dall'ulteriore perseguimento da parte dei tribunali di stato. Hitler accolse di buon grado la richiesta. Quattro uomini delle SA furono consegnati alla giustizia ordinaria: la notte dei pogrom avevano infatti molestato sessualmente o violentato alcune donne ebree. Tuttavia non furono accusati di violenza, ma di «commistione razziale», ed espulsi dal partito.[91]

Per ordine di Goebbels il ministero della giustizia impose all'avvocatura di stato di «non intraprendere alcuna indagine sul caso delle azioni contro gli ebrei». I procuratori non erano autonomi, cosicché mancò qualunque indagine o azione indipendente sui delitti, tanto più che il sistema giudiziario, dal 1933, esisteva sì formalmente, ma aveva ormai ceduto da tempo allo stato di polizia per effetto del decreto emergenziale del presidente von Hindenburg, fondato sull'art. 48 della costituzione di Weimar.[92]

Reazioni della popolazione non ebrea[modifica | modifica wikitesto]

I tedeschi non ebrei reagirono variamente ai pogrom intrapresi e controllati da SA e SS. I rapporti sulla Germania della SPD in esilio comunicarono «che gli atti di violenza erano stati duramente condannati dalla grande maggioranza della popolazione». In molte regioni del Reich fu data notizia che fossero stati respinti con vergogna e orrore. Per protesta contro i pogrom sarebbero state sospese le donazioni annuali del Winterhilfswerk.[93] Per contro, molti altri tedeschi non ebrei si comportarono da curiosi, sciacalli e violenti.[94] Drappelli di curiosi si formarono in diversi luoghi, e proprio nelle piccole e medie città essi si aggregarono ai cori d'odio degli esecutori. Altrove, ad esempio a Vienna, parteciparono alle distruzioni e ai saccheggi della merce esposta. Nelle città maggiori alcuni mantennero una certa distanza, mentre questo non fu il caso dei centri più piccoli, dove gli estranei parteciparono direttamente con delazioni: così avvenne ad esempio a Treuchtlingen, dove le donne insistevano per straziare ulteriormente i già martoriati ebrei.[95]

Soprattutto nelle regioni rurali e nei villaggi più piccoli ragazzi e giovani organizzati nella Hitlerjugend presero spesso parte agli abusi, con – tra l'altro – sassaiole, ingiurie, sputi e ogni sorta d'oltraggio. La corporazione nazista degli insegnanti attribuì la loro partecipazione all'efficace indottrinamento attuato nelle scuole. Lo storico Wolfgang Benz nota:

(DE)

«[D]as Engagement, mit dem der Befehl ausgeführt wurde, machte erst die Dimension des Ergebnisses aus. Goebbels hatte an die niedersten Instinkte appelliert und eine Flutwelle von Aggressionen und Vandalismus, Zerstörungsrausch und Mordlust entfesselt, die biedere Bürger und harmlose kleine Leute in Bestien verwandelte.»

(IT)

«[L']impegno con cui l'ordine fu eseguito determinò le proporzioni del risultato. Goebbels aveva fatto appello agli istinti più bassi, scatenando un'ondata di aggressioni e vandalismi, smania di distruzione e sete di sangue che aveva trasformato tranquilli cittadini e piccoli uomini innocui in belve.»

La nuova sinagoga di Oranienburger Straße a Berlino distrutta nella seconda guerra mondiale (1948)

Quasi ovunque vigili del fuoco e forze di polizia locali, secondo gli ordini, protessero dall'estensione degli incendi appiccati solo gli edifici adiacenti, e permisero così la distruzione e il saccheggio indisturbati (il secondo fu negato dalla propaganda nazista) delle proprietà ebraiche.

Solo rari casi di coraggio civile sono documentati. Ad esempio Wilhelm Krützfeld, capo del distretto di polizia competente per Berlino-Mitte, salvò la Sinagoga nuova in Oranienburger Straße, appellandosi alla tutela del monumento, respinse con alcuni funzionari gli incendiari delle SA e chiamò i vigili del fuoco che spensero l'incendio; il gesto gli costò (solo) un rimprovero dal superiore.[97]

Il giorno seguente vi fu in molte grandi città un appello all'adunata di massa, che doveva festeggiare l'avvenuta «espiazione» per l'assassinio di vom Rath e dimostrare l'unità del popolo e del partito. A Norimberga vi presero parte 100000 cittadini.[98] Ma queste «dimostrazioni antiebraiche» non raggiunsero le proporzioni sperate dal partito nazista. La maggior parte dei tedeschi non credette alla versione diffusa dai media controllati dallo stato della «rivolta popolare spontanea contro gli ebrei». I rapporti della SPD del 1938 parlavano di «grande indignazione contro i vandalismi» in Renania, Vestfalia, Baviera e a Berlino. In particolare in Slesia e a Danzica la popolazione avrebbe duramente rigettato gli abusi, dandone pubblica dimostrazione.[99] Anche i rapporti dei diplomatici stranieri attivi in Germania nel 1938 andavano in una simile direzione. Il console generale britannico a Francoforte si spinse a sostenere che i responsabili dei pogrom sarebbero stati spazzati via in democratiche elezioni da «una tempesta d'indignazione».[100]

Secondo Wolfgang Benz i pogrom incontrarono tale rifiuto popolare a causa delle loro modalità brutali e della distruzione di ricchezze economiche. Nelle città maggiori si erano avuti anche esempi di solidarietà con gli ebrei umiliati, laddove nelle più piccole il concatenamento tra attivisti e comuni cittadini sarebbe stato più spontaneo. Qui molti si erano lasciati trascinare dagli atti di violenza e saccheggio. Ma dopo i pogrom l'atteggiamento diffuso nella maggioranza sarebbe mutato in indifferenza e avidità: nelle settimane seguenti la corruzione sarebbe enormemente aumentata, con funzionari dello stato e del partito che si arricchivano senza pudore a spese degli ebrei costretti a cedere le loro imprese e pronti a emigrare.[101] Lo storico Alan Steinweis cita i rapporti del servizio segreto nazista, secondo i quali l'atteggiamento di rifiuto dei testimoni non era ancorato esclusivamente alla distruzione dei beni, ma anche alla pubblica profanazione di luoghi e oggetti sacri. Tale atteggiamento parrebbe specialmente comprovato nella popolazione cattolica, e tuttavia non va confuso con un rifiuto del regime o anche solo del suo antisemitismo. Steinweis segnala casi in cui la pubblica critica dei pogrom portò a manganellate e arresti, da ciò deducendo che l'indignazione fosse più profonda ed estesa di quanto osservato dagli stessi leader nazisti.[102]

I pogrom rafforzarono nella loro posizione coloro che già erano oppositori del partito nazista. Per il circolo di Kreisau fondato dal conte von Moltke, proprio questi abusi avrebbero funto in seguito, nella seconda guerra mondiale, da impulso decisivo ai progetti d'attentato a Hitler. I gruppi resistenti del partito comunista, dopo i fatti, divulgarono a Berlino un numero della Roten Fahne che, sotto il titolo Gegen die Schmach der Judenpogrome («Contro il disonore dei pogrom antiebraici»), esortava alla solidarietà con tutti i concittadini ebrei. La violenza antisemita non sarebbe stata espressione di «rabbia popolare», ma invece «diversivo per il popolo da parte della politica capitalista di guerra».[103] Il periodico Sozialistische Warte della Lega Internazionale Socialista Combattente (ISK), nell'edizione del 18 novembre, in un articolo intitolato «Rappresaglie!» descrisse i pogrom come il «punto più basso per la certezza del diritto in qualsiasi entità statale» e come un «crimine che grida vendetta al cielo».[104]

Reazioni delle Chiese e di singole personalità cristiane[modifica | modifica wikitesto]

La Chiesa evangelica tedesca e la Chiesa cattolica erano nel Reich dell'epoca le uniche grandi organizzazioni non del tutto omologate, ma nessuno dei loro rappresentanti protestò pubblicamente contro il fatto che lo stato uccideva, espropriava ed emarginava inesorabilmente delle persone solo a causa della loro presunta «razza».

In una sottomissione ante litteram al nazismo, il futuro vescovo evangelico Otto Dibelius, nel gennaio 1933, aveva salutato entusiasta la «rivoluzione nazionale» e, forse, tentato così di dissipare il sospetto del governo circa una possibile opposizione ecclesiastica al sistema. E aveva poi giustificato il boicottaggio degli ebrei del 1º aprile 1933 come «legittima difesa» contro la presunta influenza dominante dell'ebraismo. Aveva inoltre caldeggiato all'epoca un'emarginazione «a carattere umano» degli ebrei;[105] tuttavia tacque in seguito su tutti i fatti di violenza e sulle leggi antiebraiche emanate poco dopo.[106]

L'organo direttivo della chiesa evangelica luterana del Meclemburgo dichiarò il 16 novembre 1938, con riferimento a una citazione di Lutero:[107]

(DE)

«Kein im christlichen Glauben stehender Deutscher kann, ohne der guten und sauberen Sache des Freiheitskampfes der deutschen Nation gegen den jüdischen antichristlichen Weltbolschewismus untreu zu werden, die staatlichen Maßnahmen gegen die Juden im Reich, insbesondere die Einziehung jüdischer Vermögenswerte bejammern. Und den maßgebenden Vertretern von Kirche und Christentum im Auslande müssen wir ernstlich zu bedenken geben, daß der Weg zur jüdischen Weltherrschaft stets über grauenvolle Leichenfelder führt.»

(IT)

«Nessuno dei tedeschi credenti in Cristo può, senza rendersi infedele alla buona e giusta causa della lotta per la libertà della nazione tedesca contro il bolscevismo mondiale ebreo e anticristiano, deplorare i provvedimenti statali contro gli ebrei del Reich, specie la confisca dei loro fondi patrimoniali. E dobbiamo far considerare seriamente agli autorevoli rappresentanti della Chiesa e del cristianesimo all'estero il fatto che la via verso il dominio planetario degli ebrei conduce sempre a orribili campi seminati di morti.»

Gli ecclesiastici furono esortati «a conformare il loro annuncio nelle omelie e nella cura pastorale in modo che l'anima tedesca non soffr[isse] alcun danno e le persone [fossero] aiutate a fare con fiducia e senza falsi pesi sulla coscienza tutto il possibile per impedire per sempre una nuova disgregazione dell'impero tedesco dall'interno per mano del demonio ebraico». Il vescovo evangelico di Turingia Martin Sasse vide nei pogrom il compimento delle proposte di Lutero del 1543:[108]

(DE)

«Am 10. November 1938, an Luthers Geburtstag, brennen in Deutschland die Synagogen. Vom deutschen Volk wird [...] die Macht der Juden auf wirtschaftlichem Gebiet im neuen Deutschland endgültig gebrochen und damit der gottgesegnete Kampf des Führers zu völligen Befreiung unseres Volkes gekrönt. In dieser Stunde muss die Stimme des Mannes gehört werden, der als der Deutschen Prophet im 16. Jahrhundert einst als Freund der Juden begann, der getrieben von seinem Gewissen, getrieben von den Erfahrungen und der Wirklichkeit, der größte Antisemit seiner Zeit geworden ist, der Warner seines Volkes wider die Juden.»

(IT)

«Il 10 novembre 1938, nell'anniversario della nascita di Lutero, in Germania sono bruciate le sinagoghe. Il popolo tedesco [...] ha finalmente infranto il potere degli ebrei in campo economico nella nuova Germania e coronato così la battaglia del Führer benedetta da Dio per la piena liberazione del nostro popolo. In quest'ora dev'essere ascoltata la voce dell'uomo che, come il profeta tedesco del XVI secolo, fu in passato amico degli ebrei, ma che guidato dalla sua coscienza, dall'esperienza e dalla realtà, si è fatto il grande antisemita del suo tempo, che mette in guardia il suo popolo contro gli ebrei.»

Solo pochi cristiani protestarono pubblicamente. Il pastore di Oberlenningen nel Württemberg Julius von Jan così predicò nella ricorrenza del Buß- und Bettag (16 novembre) commentando un passo di Geremia:[109]

(DE)

«Die Leidenschaften sind entfesselt, die Gebote missachtet, Gotteshäuser, die andern heilig waren, sind ungestraft niedergebrannt worden, das Eigentum der Fremden geraubt oder zerstört. Männer, die unserem deutschen Volk treu gedient haben [...], wurden ins KZ geworfen, bloß weil sie einer anderen Rasse angehörten! Mag das Unrecht auch von oben nicht zugegeben werden – das gesunde Volksempfinden fühlt es deutlich, auch wo man darüber nicht zu sprechen wagt. Und wir als Christen sehen, wie dieses Unrecht unser Volk vor Gott belastet und seine Strafen über Deutschland herbeiziehen muss. [...] Gott lässt seiner nicht spotten. Was der Mensch säet, wird er auch ernten!»

(IT)

«Le passioni sono sfrenate, i comandamenti ignorati, le case di Dio che per altri erano sacre sono state incendiate impunemente, le proprietà altrui depredate o distrutte. Uomini che hanno servito fedelmente la nostra nazione [...] sono stati buttati nei campi di concentramento solo per appartenere a un'altra razza! Anche se l'ingiustizia non viene ammessa neanche dalle alte sfere, il sano sentire del popolo l'avverte chiaramente, anche quando non si osa parlarne. E noi come cristiani vediamo come quest'ingiustizia accusi il nostro popolo davanti a Dio e attiri il suo castigo sulla Germania. [...] Non ci si prende gioco di Dio: ognuno raccoglie ciò che semina!»

Pochi giorni dopo la direzione del partito nazista di Nürtingen fece condurre in autocarri e corriere, dal circolo locale a Oberlenningen, presso questo «servo degli ebrei» SA e SS che bastonarono quasi a morte von Jan davanti alla canonica e lo posero poi sotto «custodia cautelare».[110] Il vescovo Theophil Wurm gli procurò un avvocato nel successivo processo per propaganda sovversiva, ma contemporaneamente scrisse al ministro della giustizia:[111]

(DE)

«Ich bestreite mit keinem Wort das Recht, das Judentum als ein gefährliches Element zu bekämpfen. [...] Weil wir unserem Volk ersparen möchten, dass es später dieselben Leiden und Demütigungen über sich ergehen lassen muss, denen jetzt andere preisgegeben sind, erheben wir [...] warnend unsere Hände, auch wenn wir wissen, dass man uns deshalb Judenknechte schilt und mit ähnlichem Vorgehen bedroht, wie es gegen die Juden angewandt worden ist.»

(IT)

«Non contesto in alcun modo il diritto di combattere l'ebraismo come entità pericolosa. [...] Volendo però risparmiare al nostro popolo di dover sopportare in seguito le stesse sofferenze e mortificazioni di cui altri oggi sono in balìa, leviamo [...] le mani a monito, pur sapendo che così ci bollano da servi degli ebrei e ci minacciano con azioni simili a quelle compiute contro di loro.»

Wurm evitò quindi di chiamare «ingiustizia» il procedimento penale e difese tra i tedeschi solo i cristiani, non gli ebrei. Nel dopoguerra spiegò che non avrebbe potuto sopportare fino alla fine dei suoi giorni di tacere in quel momento.[112]

Il pastore Helmut Gollwitzer di Dahlem, in qualità di sostituto dell'internato Martin Niemöller, nel suo sermone del 16 novembre sul vangelo di Luca prese invece le parti degli indifesi e ottenne dalla sua comunità sostegno materiale per i familiari degli ebrei internati. Dopo tale omelia gli scrisse Elisabeth Schmitz: «Quando il 1º aprile 1933 abbiamo taciuto, quando abbiamo taciuto a proposito delle bacheche dello Stürmer, della diabolica campagna di diffamazione a mezzo stampa, dell'avvelenamento degli animi nel popolo e nella gioventù, della distruzione di esistenze e matrimoni per mezzo di cosiddette leggi, dei metodi di Buchenwald, allora e migliaia di altre volte ci siamo resi colpevoli per il 10 novembre 1938».[113]

Cristiani come il pastore Albert Schmidt, che aveva pregato per il collega d'origine ebraica Hans Ehrenberg, deportato a Sachsenhausen, finirono a loro volta internati per via della loro solidarietà. A Friburgo in Brisgovia a causa dei progrom si costituirono i circoli friburghesi con gruppi di lavoro e contatti con la Resistenza tedesca. Alcuni membri redassero un memorandum che enunciava i limiti all'esercizio statale della violenza fissati nel credo cristiano, desumeva il diritto alla resistenza dal primo comandamento e progettava le strutture economiche di una Germania democratica del dopoguerra.[114]

Lo storico della Chiesa Günter Brakelmann spiega il silenzio della maggioranza dei pastori evangelici con la loro mentalità politicamente nazionalpopolare e antigiudaica, da cui la loro sostanziale condiscendenza allo stato autoritario, alla sua politica interna e all'antisemitismo del partito nazista. Nel 1938 non avevano più osato protestare per non pregiudicare il loro residuo spazio di manovra.[115]

Anche i vescovi cattolici tedeschi tacquero sulla persecuzione degli ebrei da parte dello stato. Il cardinale Bertram aveva disapprovato la protesta contro il boicottaggio degli ebrei nel marzo 1933 come «giro di interessi lontano dalla Chiesa». Il cardinale Faulhaber difese la tradizionale teologia antigiudaica e dichiarò nel 1933 che gli ebrei potevano arrangiarsi da soli e che difenderli avrebbe messo in pericolo la Chiesa.[116] Ciò non gli impedì nel 1938, su richiesta del rabbino di Monaco, di mettere a disposizione un autocarro per il salvataggio dei rotoli della Torah e di altri oggetti sacri, e per questo motivo fu attaccato da esponenti del partito nazista.[117] Il 9 novembre il conte von Galen, tramite intermediari, offrì aiuto al rabbino di Münster, evitò però di esprimere una protesta, temendo una ben maggiore persecuzione della comunità ebraica del luogo.[118] Sebbene fosse intriso di antigiudaismo, von Galen si opponeva all'antisemitismo di stato.[119]

Il prevosto della cattedrale berlinese Bernhard Lichtenberg fu l'unico sacerdote cattolico tedesco a protestare pubblicamente contro la Notte dei cristalli. Il 9 novembre predicò che anche le sinagoghe in fiamme erano casa di Dio, e continuò a intercedere per ebrei e giudeo-cristiani («non ariani») da quel momento fino al suo arresto il 23 ottobre 1941.[120]

Destino dell'attentatore[modifica | modifica wikitesto]

Già l'11 novembre al ministero della propaganda si iniziò a prendere in considerazione un processo contro Herszel Grynszpan, detenuto in Francia. Le indagini delle autorità francesi non avevano trovato alcun indizio dell'esistenza di mandanti o di qualche complotto. Il processo a Parigi non ebbe luogo a causa dell'occupazione tedesca del paese. Dopo l'invasione, il 14 luglio 1940, Grynszpan fu estradato in Germania. Qui doveva celebrarsi il processo a suo carico davanti al Tribunale del Popolo, dove fin dal principio era certa l'applicazione della pena di morte.[121] Per quale movente avesse agito non è mai stato del tutto chiaro. In interrogatorio egli indicò la «vendetta» per il dolore dei suoi genitori in seguito alla violenta espulsione. Avrebbe infatti voluto uccidere l'ambasciatore, colpendo però vom Rath. Ma nel 1942 cambiò versione e dichiarò di aver già conosciuto la vittima nell'ambiente omosessuale parigino. Dopo di che, il ministro della propaganda Goebbels fece rinviare il sensazionale processo in progetto da anni, e infine Hitler stesso lo fece annullare.[122] Se lo sfondo omosessuale dell'omicidio fosse stato noto ai nazisti già nel 1938, difficilmente, come sospetta lo storico Henning Köhler, avrebbe suscitato scalpore.[123] Grynszpan fu ucciso probabilmente tra il 1942 e il 1945 nel campo di concentramento di Sachsenhausen.[124]

Altre risoluzioni di Judenpolitik[modifica | modifica wikitesto]

Gli ebrei sopravvissuti ai pogrom dovettero finanziare indirettamente lo scatenamento della seconda guerra mondiale, nel corso della quale il loro annientamento divenne di nuovo il fine ultimo del regime nazista. Göring prescrisse specificamente, il giorno stesso dei pogrom, come «dura espiazione» per gli ebrei:

  • il divieto di gestire negozi individuali, imprese commerciali e artigiane, imprese di spedizione, uffici di ordinazione,
  • il bando da mercati, fiere, esposizioni, pubblicità, accettazione di ordini,
  • il divieto di appartenenza ad associazioni professionali,
  • il decreto di restaurazione del paesaggio urbano presso le imprese commerciali ebraiche, a norma del quale
    • gli ebrei avrebbero dovuto subito riparare a proprie spese i danni causati al paesaggio urbano dall'8 al 10 novembre e
    • i titoli di risarcimento verso le assicurazioni a vantaggio di ebrei di nazionalità tedesca sarebbero stati avocati al Reich.[125]

La cosiddetta Sühneleistung o Judenbuße[N 10] doveva essere raccolta entro un anno, in quattro rate mensili, che sarebbero maturate in altrettante scadenze, dalla prima il 15 dicembre 1938 all'ultima il 15 agosto 1939. Tutti i cittadini ebrei possessori di un patrimonio superiore a 5000 marchi dovevano conferirne il 20% allo stato come Judenvermögensabgabe (imposta patrimoniale ebraica). Contestualmente era vietato agli ebrei l'acquisto di titoli di stato. Avrebbero quindi adempiuto alla Sühneleistung attraverso la cessione di immobili, gioielli, oggetti d'arte, depositi a risparmio. Così il deficit di stato sarebbe stato rapidamente coperto per metà. Un secondo decreto attuativo fissò un quinto pagamento ulteriore entro il 15 dicembre 1939, portando così la quota del conferimento complessivo al 25% del patrimonio. La somma raccolta di complessivi 1126612495 marchi portò le entrate fiscali del Reich da 16 a oltre 17 miliardi, elevandole di un buon 6%.

Già il 10 novembre fu vietata agli ebrei la detenzione d'armi.[126] Seguirono divieti di partecipazione alla vita culturale, di ingresso in teatri, cinema, spettacoli di danza, cabaret, circhi. Il 14 novembre il ministro dell'educazione Bernhard Rust dispose l'immediata sospensione degli allievi ebrei dalle scuole tedesche, mentre dalle università erano già stati espulsi. Il 28 novembre alle circoscrizioni amministrative fu data facoltà di vietare agli ebrei l'accesso a determinati ambienti locali in tempi determinati. Ormai potevano sparire anche fisicamente alla vista del resto della popolazione, ancor prima di essere deportati.

Il 3 dicembre intervenne il decreto sulla destinazione del patrimonio ebraico, elaborato da Hugo Dietrich, giurista del gruppo Flick. Fu prescritto a tutti gli ebrei di vendere o liquidare le imprese industriali, di cedere le proprietà terriere e di depositare i loro titoli presso una banca autorizzata allo scambio di valuta. Inoltre non potevano più vendere liberamente gioielli, metalli preziosi e oggetti d'arte. L'emigrazione fu quindi resa quasi impossibile anche agli ebrei benestanti. Negli anni seguenti queste misure furono precisate e radicalizzate per togliere agli ebrei tutte le condizioni della loro vita in Germania. Di ciò il regime approfittò per infliggere ai restanti e ormai disoccupati ebrei i lavori forzati: il 20 dicembre 1938 il presidente dell'Istituto di collocamento e assicurazione dei disoccupati del Reich, Friedrich Syrup, emise un decreto a norma del quale gli ebrei potevano essere sfruttati in «progetti essenziali per la politica dello stato», vale a dire nell'industria degli armamenti, rigorosamente separati dalle regolari maestranze in geschlossenen Arbeitseinsatz («posti di lavoro chiusi»). Per l'organizzazione erano responsabili i locali uffici di collocamento. Affinché nessuno potesse sottrarsi, si perfezionò la registrazione di tutti gli ebrei, già esistente dal 1935, in una Judenkartei (archivio ebraico), e alcune amministrazioni approntarono propri registri.[127]

Il 24 gennaio 1939 Göring assegnò a Heydrich l'incarico di risolvere la «questione ebraica» attraverso «l'emigrazione o l'evacuazione». Heydrich fondò allora la «Reichszentrale für jüdische Auswanderung» («Agenzia centrale del Reich per l'emigrazione ebraica») e ne assunse la direzione. Ma dopo lo scoppio della guerra, passo dopo passo, si rese agli ebrei impossibile emigrare: fu allora che iniziò il loro trasferimento forzato nelle «Judenhäuser» («case ebraiche»). Al contempo, gli ebrei ghettizzati furono sempre più pesantemente limitati nella libertà di movimento e banditi dalla vita pubblica. Gli orari dei loro acquisti erano collocati al di fuori della fascia oraria di apertura dei negozi altrimenti in vigore, e le loro uscite delimitate nei tempi. Dopo le automobili, furono confiscate loro anche biciclette, elettrodomestici e indumenti di lana; fu proibito l'uso di tram, corriere, telefoni, l'accesso agli ospedali, l'acquisto di giornali, libri, fiori, determinati generi alimentari; l'assegnazione di derrate fu loro più volte ridotta. Dal 1º settembre 1941 dovettero infine portare la «Judenstern» (stella di David) come pubblico stigma, già proposto nel 1938.

Tutti gli anni il 9 novembre migliaia di ebrei di Berlino, Francoforte sul Meno e Monaco ricevevano nuovamente l'ordine d'autorità di sgombrare le loro abitazioni e ritrovarsi in luoghi d'adunata e stazioni per la deportazione. Queste «evacuazioni» di massa nei lager erano già state sperimentate sui deportati in campo di concentramento nel 1938. Da questo momento in poi i treni dei deportati corsero in direzione del Baltico, verso gli squadroni della morte locali, poi verso Chelmno e i non ancora ultimati campi di lavoro e di sterminio siti oltre i confini anteguerra della Germania.

Trattazione dei crimini della Notte dei cristalli nel dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Azione penale[modifica | modifica wikitesto]

La scultura Jüdische Opfer des Faschismus («Vittime ebraiche del fascismo») al cimitero ebraico di Berlino-Mitte

Poco dopo la fine della guerra le forze d'occupazione abolirono i termini di prescrizione per i delitti di violazione della pace pubblica, domestica, lesione personale, furto, incendio, danneggiamento e violenza privata. Al contempo le autorità inquirenti tedesche furono incaricate di indagare sui colpevoli dei pogrom e formulare accuse nei loro confronti.

I delitti della Notte dei cristalli furono effettivamente perseguiti in modo piuttosto esteso. Tuttavia l'azione penale nella zona d'occupazione alleata e poi nella Repubblica Federale Tedesca si protrasse fino al 1955, e nei procedimenti giudiziari si notano una tendenza a emettere verdetti sempre più miti e crescenti difficoltà nell'accertamento dei fatti.

L'ex capodistretto di Amburgo Karl Kaufmann, sentito come testimone davanti alla Corte penale militare internazionale a Norimberga nel 1946, dichiarò falsamente di aver impedito i pogrom ad Amburgo. In realtà, le devastazioni dei commandos delle SA ebbero luogo nella città anseatica con le stesse modalità che altrove.[128]

In una prima fase, durata fino al 1947, la giurisdizione fu a corto di personale e poté quindi condannare solo una piccola parte dei colpevoli, ma i giudici neoassunti o confermati in carica, quasi sempre, non erano compromessi con il regime.[N 11]

Le corti non riconobbero la scriminante dell'esecuzione di ordini, conformemente alla legge sui funzionari pubblici del 1937 che aveva reso lecita la disobbedienza all'ordine criminoso. In molti casi vi fu, da parte dei tribunali, un'interpretazione estensiva del concetto di Rädelsführerschaft,[N 12] che permise di addebitare ai capi delle SA e ai funzionari nazisti, come aggravante, la semplice presenza sul luogo del delitto. Spesso in simili casi fu pronunciata condanna a pena detentiva per «violazione della pace pubblica aggravata».

Nella seconda fase, tra il 1948 e il 1949, vi fu un cambiamento d'umore nella popolazione. La denazificazione cominciò a essere sentita ingiusta, e venne addirittura in odio; il dovere della Vergangenheitsbewältigung («superamento del passato») non appariva più così importante, e fu evidente il prendere piede di una mentalità da colpo di spugna.[N 13] Ciò si rifletté sulle dichiarazioni dei testimoni, nei quali più spesso mancò la disponibilità alla collaborazione imparziale. Gli stessi colpevoli dei fatti, nella prima fase, erano stati sorpresi dall'incriminazione, erano finiti in carcere e avevano confessato; nella seconda, invece, avevano potuto coordinarsi in anticipo e influenzare i testimoni. Il «tasso di condanna» precipitò. Ora il più delle volte i capi delle SA venivano condannati alla reclusione solo per «violazione della pace pubblica semplice», e la stessa misura media della pena per il reato aggravato si abbassò dai 24 mesi della prima fase a 16. Anche le sanzioni per lesione personale e danneggiamento si abbatterono molto più miti sui condannati.

La terza fase della trattazione penale dei pogrom prese avvio con la «legge sull'esenzione dalla pena»,[129] approvata dal Bundestag ad onta degli scrupoli dell'alto commissario John Jay McCloy ed entrata in vigore il 31 dicembre 1949. Nel corso del procedimento legislativo il ministero della giustizia della Baviera protestò formalmente adducendo che tra i beneficiari dell'indulto sarebbe stata inclusa anche la «maggioranza» dei responsabili dei pogrom del 1938.[130] La legge in effetti riguardava, con la sola eccezione dei reati fiscali, tutti i delitti commessi prima del 15 settembre 1949, per i quali era stata comminata – o, nei casi non ancora andati a processo, poteva essere prevedibilmente comminata – una pena non superiore a sei mesi, e a date condizioni perfino non superiore a un anno di reclusione. Il segnale politico non fu ignorato dalla magistratura, nelle cui file nel frattempo erano rientrati giudici compromessi con il regime. Molti processi furono archiviati, molto più difficilmente si giunse a un aggravamento delle accuse e solo i casi di violazione della pace pubblica aggravata si conclusero ancora con una regolare condanna.

Appellativo[modifica | modifica wikitesto]

Gli eventi del 9 novembre furono chiamati da responsabili, testimoni e vittime in modi profondamente diversi già nel 1938. Dal cinquantesimo anniversario dei fatti, nel 1988, la diffusa espressione «Notte dei cristalli (del Reich)» fu progressivamente sottoposta a critica. Il dibattito sulla definizione appropriata è aperto.

Appellativi dell'epoca[modifica | modifica wikitesto]

Le vittime internate nei campi di concentramento parlavano di Rath-Aktion («Azione Rath») o di Mordwoche («settimana degli assassinii»). Victor Klemperer l'annotò nel suo diario come «Grünspan-Affäre» («caso Grynszpan»). A Walter Tausk tornò in mente la «Notte di San Bartolomeo». Molti testimoni oculari dei pogrom invece rammentavano espressioni correnti all'epoca come «Glasnacht» («notte dei vetri»), «Gläserner Donnerstag» («giovedì di vetro») e «Kristallnacht» («notte dei cristalli»); quest'ultima alludeva ai vetri delle finestre delle case ebraiche mandati in frantumi quel giorno. Ma queste definizioni sembrano essersi tramandate solo oralmente; in particolare non esiste alcuna attestazione scritta di Kristallnacht in epoca nazista, e ve n'è una sola di Reichskristallnacht: il 24 giugno 1939, infatti, in un discorso davanti all'assemblea della sezione di Hannover Est del partito nazista a Lüneburg, il sottosegretario del ministero del lavoro del Reich Wilhelm Börger se ne prese gioco tra le risate degli astanti: «E così la faccenda passa alla storia come Notte dei cristalli del Reich [...], vedete, questo è umoristicamente sublime, mica vero».[131] Il giornale della SPD in esilio e della KPD clandestina chiamarono gli eventi semplicemente Judenpogrome.

Gli esecutori appartenenti alle SA e alla Hitlerjugend parlavano, come per il colpo di stato Röhm, di una «Notte dei lunghi coltelli». Quest'espressione già in precedenza era avvertita dalle vittime come una «voce» che circolando anticipava una ritorsione imminente contro di loro. Gli uffici del regime nazista e i media controllati dal ministero della propaganda usavano invece slogan come Judenaktion («azione contro gli ebrei»), Novemberaktion («azione di novembre»), Vergeltungsaktion («azione di rappresaglia») o Sonderaktion («azione speciale»). Le riunioni convocate all'indomani chiamarono i pogrom «antijüdische Demonstrationen» («dimostrazioni antiebraiche») o «gerechte Vergeltungskundgebungen» («giuste manifestazioni di rappresaglia»).

Ma Reichskristallnacht non fu all'inizio uno slogan della propaganda di stato. Fu verosimilmente la tradizione orale berlinese a creare il neologismo «Kristallnacht» di fronte alle molte finestre e lampadari di cristallo distrutti di sinagoghe e negozi. L'espressione «Notte dei cristalli del Reich», poi, si rivoltò contro i detentori del potere, mano a mano che la medesima tradizione popolare iniziava a irridere l'abuso da parte loro del prefisso «Reichs-» («del Reich»). Questo significato antinazista non è documentato, ma fu confermato in seguito dalla carta stampata. Adolf Arndt della SPD, che nel novembre 1938 era attivo a Berlino come avvocato, nel dibattito sulla prescrizione davanti al Bundestag il 10 marzo 1965 disse: «[…] l'8-9 novembre 1938, che non si deve, signor ministro della giustizia, indicare come “cosiddetta Notte dei cristalli del Reich”. È [solo] spirito berlinese, [ma] di cattivo gusto,[N 14] perché all'epoca non si sapeva fare di meglio».[132]

In altre parole, insomma, gli impotenti testimoni contemporanei tentarono di esprimere almeno in privato la loro intima indignazione in forma rabbiosa, sarcastica. Non appena l'espressione divenne nota negli ambienti del partito nazista, i membri di quest'ultimo la travisarono in senso cinico. Disse infatti il funzionario Wilhelm Börger nel giugno 1939 davanti all'assemblea di sezione del partito nazista a Lüneburg: «La faccenda passa alla storia come Notte dei cristalli del Reich [applausi, risate]».[133] Il concetto fu quindi adottato, poco tempo dopo la sua origine, dai colpevoli, cosicché l'originaria presa di distanza amaramente ironica contro il terrore di regime e la sua dissimulazione ideologica andò perduta. Secondo Herbert Obenaus si trattò dell'appellativo ufficiale e minimizzante dei pogrom.[134] Anche Bensoussan et al. ritengono «Kristallnacht» una definizione «eufemistica» della «propaganda nazista».[135]

Appellativi successivi al 1945[modifica | modifica wikitesto]

Francobollo della Repubblica Democratica Tedesca del 9 novembre 1963: Niemals wieder Kristallnacht («Mai più una Notte dei cristalli»)

Nei testi stampati nel primo dopoguerra si trovano espressioni come «Judennacht» («notte degli ebrei»), «Kristallnacht», «Novemberpogrom», «Novembernacht» («notte di novembre»), «Pogromnacht» («notte dei pogrom»), «Tag der (deutschen) Scherbe» («notte dei frantumi (tedeschi)»), «Reichsscherbenwoche» («settimana dei frantumi del Reich»), «Reichskristalltag» («giorno dei cristalli del Reich»), «(Reichs-)Kristallwoche» («settimana dei cristalli (del Reich)»), «Reichstrümmertag» («giorno delle rovine del Reich»), «Synagogenbrand» («incendio delle sinagoghe»), «Synagogensturm» («attacco alle sinagoghe»), «Synagogenstürmernacht» («notte degli attacchi alle sinagoghe»), «Verfolgungswoche» («settimana della persecuzione»).

Nella Repubblica Democratica Tedesca, di regola, i fatti furono chiamati «faschistische Pogromnacht» («Notte dei pogrom fascisti»). Nella Repubblica Federale Tedesca, invece, persistevano «Kristallnacht» (Brockhaus, 1952) e «Reichskristallnacht». Queste espressioni sono ancora in uso, sia colloquiale sia formale, anche in altri paesi e presso gli storici, ma perlopiù con presa di distanza critica, chiaramente segnalata dall'uso delle virgolette.

Poiché l'espressione evocava significati contraddittori, chiari solo a chi ne conoscesse l'origine, suscitò ben presto, soprattutto tra i discendenti delle vittime, critica e rifiuto. L'«Organizzazione per l'assistenza delle vittime delle leggi di Norimberga» nel decimo anniversario dei pogrom (1948) paventava quanto segue:[136]

(DE)

«Ehe es soweit ist, dass sich dieses falsche Wort im allgemeinen Sprachgebrauch so eingebürgert hat, dass es nicht mehr wegzubringen ist, möchten wir darauf hinweisen, welche Entstellung mit der Benutzung dieses Wortes verbunden ist. Das Wort ‚Kristallnacht‘ ist nicht von den früher Verfolgten erdacht und in den Sprachgebrauch gebracht worden.»

(IT)

«Prima del momento in cui questa perfida espressione avrà trovato nell'uso comune tale cittadinanza da non poterne più essere sradicata, dovremmo richiamare l'attenzione sul travisamento connesso a tale uso. Il termine «Kristallnacht» non è stato ideato né introdotto nell'uso linguistico dagli ex perseguitati»

E tuttavia l'espressione divenne di dominio pubblico e specialistico, poiché condensava efficacemente contraddizioni inespresse:

  • «Reichs-» come allusione ai delitti di stato camuffati dalla propaganda, che coinvolgevano tutti i cittadini,
  • «Kristall-» come imbellettamento sarcastico della distruzione di fortune, vite, proprietà, convivenze cooperative delle persone,
  • «Nacht» come metafora della tenebra politica che proseguì e si approfondì enormemente fino al 1945.
Cinquantesimo anniversario dei pogrom commemorato su un francobollo delle poste federali tedesche (1988)

Nel 1982 la rock band BAP nel brano Kristallnaach istituì un parallelo tra i pogrom e certi aspetti problematici del presente, elevando così il termine «a metafora d'ogni tipo di condotta disumana». In questo modo contribuì a una storicizzazione del nazismo e ridusse le cause dei pogrom all'idea di un anticapitalismo subcomplesso.[137]

Dal 1988 il dibattito sul significato del termine si intensificò. L'origine e il significato di dissidenza dell'espressione «Reichskristallnacht» furono ampiamente dimenticati. Essa suonava ora di nuovo cinica verso le vittime e i sopravvissuti, quasi a dire che all'epoca fossero andate distrutte solo vetrate. Così, nel 1988, Avraham Barkai chiese che l'appellativo sparisse dalla storiografia, in quanto maliziosamente banalizzante e capace di produrre l'associazione d'idee con una festa.[138]

Appellativi correnti[modifica | modifica wikitesto]

Oggi il nome di Kristallnacht è sentito in tedesco come un eufemismo. I concetti alternativi sono però, secondo il germanista Ole Löding, altrettanto problematici.[139] La definizione politica e mediatica molto in uso dalla metà degli anni 1980 di Reichspogromnacht, secondo i critici, non incentiva la necessaria Vergangenheitsbewältigung, ma piuttosto ne simula la risoluzione. Il fatto che questo cambiamento di nome abbia avuto luogo solo in ambienti germanofoni potrebbe complicare lo scambio d'idee con la ricerca storica in altre lingue e con la saggistica straniera. La definizione di «Pogrom» colloca gli atti di violenza allo stesso livello dei massacri locali e regionali di ebrei avvenuti a partire dal medioevo, e non coglie invece la loro organizzazione da parte di un governo per l'intero territorio nazionale, governo che peraltro avviò sulla stessa scala una politica di espropriazione, deportazione e sterminio. Il che contribuirebbe a questo punto a minimizzare l'Olocausto.[140] Per giunta resta indeterminato il termine «Reich», quasi vi fosse continuità tra il Sacro Romano Impero medievale e il Terzo Reich tedesco. Solo la componente metaforica «Nacht» indica almeno l'eclissarsi del senso di umanità e della ragione.[139] Per altro verso, il prefisso «Reichs-», rinvenibile in innumerevoli espressioni dell'epoca, secondo Wolfgang Benz rappresenta «un riferimento posteriore alla lingua dei disumani». In definitiva, il nome di Reichspogromnacht sarebbe antistorico e inavvertitamente irridente verso le vittime.[141]

La più recente ricerca storica tedesca preferisce perciò la definizione «Novemberpogrom(e)», che dovrebbe essere scevra da associazioni emozionali d'idee e favorire quindi una retrospettiva razionale sugli eventi. L'indicazione del mese e il plurale chiariscono poi la più lunga durata delle violenze e dei conseguenti internamenti nei lager. Si tratta della definizione meno problematica.[139] Tuttavia Reichskristallnacht è ancora in uso. Il politologo Harald Schmid richiama l'attenzione sulla dialettica del concetto: da un lato esso sarebbe irrinunciabile in quanto termine tecnico storiografico internazionale; dall'altro l'adozione di un termine privo di una contestuale presa di distanza non sarebbe consentita, a causa della complessità dei significati aggiuntivi. Schmid sostiene in proposito:[136]

(DE)

«Doch das Wort bleibt auch ein nützlicher sprachlicher Stolperstein. Denn die scheinbar bloß etymologische und semantische Kontroverse führt geradewegs zum Gespräch über die ganze NS-Vergangenheit, den kritischen Umgang mit ihr und das Bemühen um moralische Genauigkeit – auch in der heutigen Benennung politischer Verbrechen.»

(IT)

«Eppure il termine rimane anche un utile ostacolo linguistico. Questo perché l'apparentemente scabra controversia etimologica e semantica, in realtà, porta dritto il discorso sull'intero passato nazista, sul rapporto critico con esso e sulla tensione alla scrupolosità morale: ciò anche nella definizione moderna di questi crimini politici.»

Commemorazioni locali[modifica | modifica wikitesto]

Monumento commemorativo delle vittime della Notte dei cristalli a Brema (1982) eretto presso la sinagoga distrutta all'epoca
Targa commemorativa a Wittmund

È soprattutto in alcune città tedesche e austriache in cui fino al 1938 esisteva una sinagoga intatta che ogni anno, il 9 novembre, si commemora l'evento dei pogrom. La forma di queste commemorazioni è molto cambiata dal 1945.

Fino al 1958 colonna portante della loro organizzazione furono perlopiù le comunità ebraiche locali, spesso sostenute da altre associazioni di vittime, come l'Unione perseguitati del regime nazista (Vereinigung der Verfolgten des Naziregimes), alcuni sindacati e l'Außerparlamentarischen Opposition. Tutti insieme si opponevano alle nuove tendenze antisemite, al lento e scarso perseguimento dei crimini del nazismo e all'insufficiente riparazione dei danni.

Dal 1963, nei luoghi più colpiti, il 9 novembre fu celebrato in genere come giorno commemorativo della sola «Notte dei cristalli» con lo slogan «Als die Synagogen brannten» («Quando bruciarono le sinagoghe»). In primo piano stavano la violenza e le devastazioni di quella notte, mentre le successive deportazioni nei lager, l'«arianizzazione» e il ruolo dei testimoni di solito ricevevano poca considerazione. Fino al 1973 il numero delle manifestazioni e la partecipazione alle stesse diminuirono. Avvenimenti politici d'attualità come il movimento studentesco, la guerra del Kippur e il cinquantesimo anniversario del putsch di Monaco misero in ombra la ricorrenza.

Nel quarantesimo anniversario (1978), però, il memoriale della Notte dei cristalli riguadagnò un'inattesa popolarità. Rispetto al 1973 il numero delle manifestazioni si decuplicò. La storia della persecuzione antiebraica cominciò a essere osservata sotto più articolazioni, studiata e presa di nuovo in considerazione. La stessa definizione di «Reichskristallnacht» fu posta criticamente in discussione e venne in discorso l'inquadramento storico dei pogrom come inizio della «soluzione finale» o tappa sulla sua via. Nel dibattito si inserì sempre più anche l'atteggiamento dei contemporanei come complici o spettatori silenziosi.

Nonostante le polemiche sollevate dal discorso di Jenninger al Bundestag nel 1988, la commemorazione guadagnò un posto fisso nel culto della memoria a livello comunale e regionale. Spesso non si trattava di una semplice retrospettiva, ma si celebrava una giornata contro il razzismo ed essa si arricchiva dei temi dell'attuale politica di distensione, dell'estremismo di destra e della politica dell'accoglienza.

Da alcuni anni si include nel ricordo e si esamina più dettagliatamente anche la storia locale: ad esempio si compie l'appello nominale di tutte le persone del luogo assassinate, deportate, espulse e danneggiate all'epoca, mentre sopravvissuti e testimoni raccontano la propria vicenda personale.

Commemorazioni in Austria[modifica | modifica wikitesto]

Pogromdenkmal a Innsbruck

Dal 1993 il Teatro popolare di Vienna mette annualmente a disposizione una la scena per la narrazione di testimonianze dirette sui pogrom.[142] A Monaco i rappresentanti delle comunità ebraiche e l'iniziativa cittadina Gegen Vergessen – Für Demokratie («Contro l'oblio – Per la democrazia») cooperano nelle commemorazioni. A Innsbruck nel 1997 è stato eretto il Pogromdenkmal (monumento commemorativo dei pogrom), promosso da giovani e progettato da uno studente.

In occasione del settantacinquesimo anniversario della Notte dei cristalli, il Burgtheater di Vienna ha presentato, il 20 ottobre 2013, Die letzten Zeugen, un progetto di testimonianze dell'epoca sulla Shoah di Doron Rabinovici e Matthias Hartmann. In presenza di sei sopravvissuti dell'Olocausto, gli attori del Burg hanno letto le loro memorie, e verso fine serata gli anziani testimoni hanno guadagnato la scena spendendo alcune parole di persona. Nella seconda parte della serata il pubblico, in tre foyers, è stato ammesso a rivolgere domande a ciascuno di due testimoni dell'epoca. Il progetto è stato invitato nel 2014 al Berliner Theatertreffen, allo Staatsschauspiel di Dresda e al Deutsche Schauspielhaus di Amburgo; nel 2015 allo Schauspiel di Francoforte.

Commemorazioni nazionali[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1978 il 9 novembre ha ricevuto anche dal livello federale tedesco il debito rango di data commemorativa fissa. Un'iniziativa congiunta del Consiglio centrale ebraico, del Sindacato della scienza e dell'educazione (Gewerkschaft Erziehung und Wissenschaft) e della Conferenza dei ministri di culto diede impulso a numerosi eventi nelle scuole. Settimane di sensibilizzazione e proteste silenziose contro il neonazismo trovarono inoltre ampio sostegno. Tutti i governi regionali e il presidente federale Walter Scheel parteciparono con proprie iniziative alle commemorazioni.

Ma nel cinquantesimo anniversario (1988) scoppiò uno scandalo: alla cerimonia commemorativa del Bundestag, i rappresentanti delle associazioni di vittime ebraiche potettero partecipare solo marginalmente; Heinz Galinski, per essersi presentato in precedenza alla Volkskammer della Germania orientale, non fu ammesso a parlare; infine, il discorso del presidente del Bundestag Philipp Jenninger suonò in alcuni passaggi quasi come una giustificazione dei seguaci[N 15] del nazismo.

Nel 1990, occasionalmente, il 9 novembre fu proposto come festa nazionale. Alla caduta del Muro di Berlino (1989), la data aveva infatti coinciso con il momento della «breccia» decisiva per la riunificazione del paese. In aggiunta, essa si riferiva ad alcune cause storiche dei pogrom del 1938: la rivoluzione di novembre (1918) e il putsch di Monaco (1923). Una minoranza dei parlamentari del Bundestag vi vide l'occasione per istituire un giorno dell'unità pangermanica, in grado di coniugare consapevolmente la gioia della riunificazione con il ricordo del punto di svolta verso l'Olocausto come lato più oscuro della storia tedesca.

Si dichiarò invece Giorno della Germania unita il 3 ottobre, e nel 1996 il presidente federale Roman Herzog proclamò il 27 gennaio (giorno in cui nel 1945 le truppe sovietiche liberarono il lager di Auschwitz-Birkenau) Giorno della memoria delle vittime del nazismo, così motivando:[143]

(DE)

«Die Erinnerung darf nie enden; sie muss auch künftige Generationen zur Wachsamkeit mahnen. Es ist deshalb wichtig, nun eine Form der Erinnerung zu finden, die in die Zukunft wirkt. Sie soll Trauer über Leid und Verlust ausdrücken, dem Gedenken an die Opfer gewidmet sein und jeder Gefahr der Wiederholung entgegenwirken.»

(IT)

«Il ricordo non verrà mai meno e dovrà servire da monito a vigilare anche per le future generazioni. È perciò importante trovare un'unica forma di memoria destinata a operare in futuro. Dovrà esprimere la tristezza del dolore e della perdita, essere dedicata al ricordo delle vittime e contrastare ogni pericolo di ricaduta.»

Per molti gruppi e persone che si occupano delle conseguenze dell'antisemitismo il 27 gennaio finora non ha ancora agito a sufficienza nella popolazione come incentivo alla memoria nazionale dell'epoca nazista. Tra questi si annoverano lo studioso dell'antisemitismo Wolfgang Benz e il gruppo di lavoro «Israel und Kirche» della chiesa evangelica in Germania:[144]

(DE)

«Der 9. November ist durch keinen anderen Gedenktag zu ersetzen. Am 27. Januar, dem staatlichen Gedenktag, wird aller Opfer der nationalsozialistischen Gewaltherrschaft gedacht. Das Gedenken der schuldig Gewordenen und ihrer Nachkommen unterscheidet sich vom Gedenken der Opfer und ihrer Nachkommen. Es muss Gewissen treffendes Gedenken sein, sonst droht die Gefahr, der eigenen Geschichte auszuweichen, indem man sich unberechtigt auf die Seite der Opfer stellt.»

(IT)

«Il 9 novembre non va sostituito con nessun altro giorno della memoria. Il 27 gennaio, giorno della memoria nazionale, si ricordano tutte le vittime della tirannia nazista. La memoria di coloro che si resero colpevoli e dei loro discendenti si distingue dal ricordo delle vittime e dei loro discendenti. Dev'essere cioè un ricordo adeguato alla coscienza, altrimenti incombe il pericolo di eludere la propria storia, ponendosi dalla parte delle vittime senza avervi titolo.»

Inquadramento storico[modifica | modifica wikitesto]

La Notte dei cristalli è oggi interpretata come radicalizzazione azionistica dell'espulsione degli ebrei accelerata anche dalla base del partito (Dieter Obst), oppure come mossa accentratrice dello stato, in parte organizzata dal partito stesso e in parte improvvisata (Rita Thalmann), o ancora come attacco esteso e mirato del regime alle superstiti fondamenta etiche e alle vestigia di una coscienza dello stato di diritto nei tedeschi (Jörg Wollenberg).

Dalla cronologia degli eventi nella letteratura accademica si desume che i pogrom non nacquero da una pianificazione a lungo termine, ma dopo l'attentato a Rath (Uwe Dietrich Adam) o dopo la sua morte (Alan E. Steinweis) furono decisi da Goebbels e Hitler al momento. Fino a quel punto Hitler aveva sempre frenato gli antisemiti radicali del partito nazista, ma ormai in seguito ai successi del suo regime riteneva di non dover più avere scrupoli di politica estera.[145] Peter Longerich scorge nelle notizie di stampa del 7 novembre un indizio del fatto che si fosse già deciso, a quel punto, di sfruttare l'attentato per una campagna antisemitica di massa, diversamente da quanto avvenuto due anni prima dopo l'attentato a Wilhelm Gustloff. La redazione delle notizie offrirebbe indizi anche sull'obiettivo di tale campagna: l'allontanamento completo degli ebrei dalla vita economica della Germania.[146]

È stato a lungo dubbio tra gli storici quale ruolo abbia giocato Hitler nel provocare i pogrom. L'ex Sturmbannführer Luitpold Schallermeier dichiarò dopo la guerra che Hitler gli aveva spiegato il 10 novembre che le SS si dovevano «tener fuori dall'azione […]. Quando [egli ne aveva] chiesto al Führer, [ebbe] l'impressione che [questi] non sapesse nulla dei fatti».[147] A partire da questa e da altre fonti contraddittorie si concluse che i pogrom risalissero a Goebbels e ai dirigenti della propaganda del Reich, mentre Hitler sarebbe rimasto indifferente al processo decisionale. In ciò giocarono un ruolo anche moventi apologetici. Tuttavia, da annotazioni nel diario di Goebbels risulta che Hitler sapeva tutto. La storica Angela Hermann lo identifica anzi come il principale responsabile dei pogrom.[148] Lo Stoßtrupp Adolf Hitler, apparentemente sciolto nel 1924, esisteva ancora come associazione tradizionale: 39 membri tra i più eminenti di esso si riunirono il 9 novembre al municipio vecchio di Monaco e presero parte in prima linea alle violenze.[149]

La distruzione delle sinagoghe fu l'inizio dell'«arianizzazione» sistematica e dell'allontanamento degli ebrei dalla Germania. La questione di quale ruolo essa svolse nel processo di radicalizzazione della Judenpolitik nazista fino all'Olocausto trova risposte diversificate nella ricerca storica. Hans-Jürgen Döscher vede nella riunione al ministero dell'aviazione il 12 novembre «la transizione dalla semplice persecuzione al vero e proprio annientamento degli ebrei in Germania».[150] Lo storico tedesco-americano Peter Loewenberg scorge negli eventi di quella notte una pubblica «umiliazione rituale»: si sarebbe trattato per il regime di un test su fino a quanto la popolazione avrebbe tollerato o appoggiato la violenza antisemita. In tal senso la Notte dei cristalli sarebbe stata «propedeutica alla disumanizzazione e all'assassinio».[151] Wolfgang Benz ritiene che «l'Olocausto iniziò a novembre 1938».[152] Anche Hans Mommsen vede nella «Reichskristallnacht» una sorta di «passaggio del Rubicone»: da quel momento in poi gli ebrei sarebbero stati considerati fuori legge, un «“problema igienico” […] che la Gestapo e il Sicherheitsdienst si apprestavano a risolvere».[153]

Lo contesta invece lo storico Frank Bajohr: tra la Notte dei cristalli e l'Olocausto non vi sarebbe stata alcuna linea di continuità ininterrotta.[154] Heinrich August Winkler sottolinea che per i nazisti del 1938 si sarebbe trattato ancora di «portare gli ebrei fuori dalla Germania» (così Hitler al ministro degli esteri polacco Józef Beck il 5 gennaio 1939): la decisione dello sterminio, in quel momento, non sarebbe stata ancora presa.[155] Secondo Henning Köhler con i pogrom la «questione ebraica», nell'ottica nazista, sarebbe stata «sostanzialmente risolta». Restava appena una piccola parte di mondo ebraico nel paese, socialmente ed economicamente emarginata, per giunta vecchia, e che a malapena appariva ancora nella vita pubblica: «Senza la guerra, il problema si sarebbe risolto con altre emigrazioni e con la morte dei vecchi».[156] Lo storico statunitense Peter Hayes crede invece che nel 1938 al regime si fosse ormai fatto chiaro «che il Reich non poteva espellere i suoi ebrei più rapidamente di quanto progettasse di conquistarne di nuovi».[N 16] Questa constatazione avrebbe contribuito all'accelerazione della persecuzione antiebraica e alla sua trasformazione in violenza aperta.[157]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Arbeitsscheu = indolente, lavativo, pigro, refrattario al lavoro; campagna del Reich contro gli indolenti
  2. ^ Entschlußbildung in der NS-Führung: «Wie sich ein Augenzeuge, der Münchener Polizeipräsident von Eberstein, erinnerte, soll Hitler “dadurch stärkstens beeindruckt” gewesen sein und es entgegen seiner Gewohnheit abgelehnt haben, vor der Versammlung zu sprechen» («Secondo quanto ricordava un testimone, il capo della polizia monacense von Eberstein, Hitler sarebbe rimasto molto impressionato [dalla notizia della morte di vom Rath] e contrariamente alle sue abitudini si sarebbe rifiutato di parlare davanti all'assemblea»).
  3. ^ Hausbewohner = condomini o inquilini
  4. ^ weitgehend enteignet = espropriat[i] in modo esteso o completo
  5. ^ ich die Wirtschaft als letzte Instanz zusammenzufassen habe = devo riassumere l'economia in ultima istanza
  6. ^ wild = violento e/o incontrollato
  7. ^ Vorzeigen = esibire; Geld = denaro; somma da esibire (per ricevere il visto)
  8. ^ Wehrwirtschaftsstab
  9. ^ nicht mehr zeitgemäß sei = non fossero più attuali
  10. ^ Sühneleistung = compimento dell'espiazione; Judenbuße = penitenza ebraica
  11. ^ unbelastet = non inquinati
  12. ^ Rädelsführer = (approssimativamente) capocombriccola e istigatore
  13. ^ Schlussstrich-Mentalität, dove Schlussstrich = tracciamento di una riga
  14. ^ ein blutiger Berliner Witz = una [tipica] «barzelletta berlinese» insanguinata
  15. ^ Mitläufer = gregari
  16. ^ Il riferimento è in particolare all'invasione della Polonia che avrebbe assoggettato al Reich 3,3 milioni di ebrei.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fatti e antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Espropriazioni e pianificazione dell'Olocausto[modifica | modifica wikitesto]

Reazioni interne e estere[modifica | modifica wikitesto]

  • Alexander Korb: Reaktionen der deutschen Bevölkerung auf die Novemberpogrome im Spiegel amtlicher Berichte. VDM, Saarbrücken 2007, ISBN 978-3-8364-4823-9.
  • Günter Brakelmann: Kirche und Judenpogrom 1938. In: Evangelische Kirche und Judenverfolgung. Drei Einblicke. Hartmut Spenner, Waltrop 2001, ISBN 3-933688-53-1.
  • Hermann Graml: Effekte der „Reichskristallnacht“ auf die britische und amerikanische Deutschlandpolitik. In: Zeitschrift für Geschichtsunterricht. Band 46, 1998, S. 992–996.

Commemorazione e superamento[modifica | modifica wikitesto]

  • Harald Schmid: „Als die Synagogen brannten“. Narrative des Gedenkens der Novemberpogrome. In: Zeitschrift für Geschichtswissenschaft. Band 61, 2013, S. 11, S. 888–905.
  • Andrea Nachama, Uwe Neumärker, Hermann Simon (Hrsg.): „Es brennt!“ 75 Jahre nach den Novemberpogromen. Dokumentationszentrum Topographie des Terrors, Berlin 2013, ISBN 978-3-942240-12-3.
  • Thomas Fache: DDR-Antifaschismus und das Gedenken an die Novemberpogrome 1938. Eine Lokalstudie. (PDF; 231 kB) medaon.de, Magazin für jüdisches Leben in Forschung und Bildung, 2008.
  • Harald Schmid: Antifaschismus und Judenverfolgung. Die „Reichskristallnacht“ als politischer Gedenktag in der DDR. V&R unipress, Göttingen 2004, ISBN 3-89971-146-7.
  • Harald Schmid: Erinnern an den „Tag der Schuld“. Das Novemberpogrom 1938 in der deutschen Geschichtspolitik. Ergebnisse, Hamburg 2001, ISBN 3-87916-062-7.
  • Dieter Obst: Die „Reichskristallnacht“ im Spiegel westdeutscher Nachkriegsprozessakten und als Gegenstand der Strafverfolgung. In: Geschichte in Wissenschaft und Unterricht. Band 44, 1993, ISSN 0016-9056 (WC · ACNP), S. 205–217.
  • Micha Brumlik, Petra Kunik (Hrsg.): Reichspogromnacht. Vergangenheitsbewältigung aus jüdischer Sicht. 2. Auflage. Brandes + Apsel, 1988, ISBN 3-925798-92-7.

Storia locale e testimonianze[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie[modifica | modifica wikitesto]

Sguardo d'insieme[modifica | modifica wikitesto]

Documenti audiovisivi[modifica | modifica wikitesto]

Memoria[modifica | modifica wikitesto]

Ricostruzione[modifica | modifica wikitesto]

Riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

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