Data dell'eruzione del Vesuvio del 79: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 74: Riga 74:


Ad ogni modo, la data testimoniata dall'iscrizione a carboncino (giorno e mese, senza anno) potrebbe essersi conservata per un lungo periodo, trovandosi sul muro di una casa in corso di ristrutturazione. Infatti, l’iscrizione a carboncino, che reca la menzione del 17 ottobre non riporta l’anno, come è normale per le iscrizioni parietali inerenti la vita quotidiana a Pompei. Essa potrebbe essere stata scritta anche nel 78 d.C. o diversi anni prima ed essersi conservata perfettamente. Non è affatto vero che le iscrizioni a carboncino sono evanide, anzi possono resistere anche per 50 e 70 anni, come è stato dimostrato, ad esempio con le iscrizioni a carboncino ancora leggibili sulle volte delle tombe di Porta Nocera <ref>{{Cita articolo|autore=Felice Senatore|titolo=Sulla durata delle iscrizioni a carboncino di Pompei, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 35-40.|url=https://www.academia.edu/82153858/Felice_Senatore_Sulla_durata_delle_iscrizioni_a_carboncino_di_Pompei_Oebalus_Studi_sulla_Campania_nellAntichit%C3%A0_16_2021_pp_35_39}}</ref> ed è un fatto che l’iscrizione è stata rinvenuta nel 2018 ed è ancora lì perfettamente leggibile.
Ad ogni modo, la data testimoniata dall'iscrizione a carboncino (giorno e mese, senza anno) potrebbe essersi conservata per un lungo periodo, trovandosi sul muro di una casa in corso di ristrutturazione. Infatti, l’iscrizione a carboncino, che reca la menzione del 17 ottobre non riporta l’anno, come è normale per le iscrizioni parietali inerenti la vita quotidiana a Pompei. Essa potrebbe essere stata scritta anche nel 78 d.C. o diversi anni prima ed essersi conservata perfettamente. Non è affatto vero che le iscrizioni a carboncino sono evanide, anzi possono resistere anche per 50 e 70 anni, come è stato dimostrato, ad esempio con le iscrizioni a carboncino ancora leggibili sulle volte delle tombe di Porta Nocera <ref>{{Cita articolo|autore=Felice Senatore|titolo=Sulla durata delle iscrizioni a carboncino di Pompei, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 35-40.|url=https://www.academia.edu/82153858/Felice_Senatore_Sulla_durata_delle_iscrizioni_a_carboncino_di_Pompei_Oebalus_Studi_sulla_Campania_nellAntichit%C3%A0_16_2021_pp_35_39}}</ref> ed è un fatto che l’iscrizione è stata rinvenuta nel 2018 ed è ancora lì perfettamente leggibile.

Una serie di altri argomenti a favore della data agostana è legata ai rinvenimenti archeobotanici, archeozoologici e palinologici. I frutti che oggi riteniamo autunnali potevano essere maturi già in agosto sia per le favorevoli condizioni climatiche nel periodo romano, sia perché ce lo dicono gli autori antichi, sia, infine, per la precessione degli equinozi. Infatti, le stagioni per i Romani erano indietro di almeno 26 giorni rispetto a oggi, per cui la primavera arrivava in febbraio, l’estate in maggio e l’autunno in agosto, questo corrispondeva all’andamento naturale delle stagioni, alla maturazione dei frutti e dei fiori e alle migrazioni degli uccelli. Le rondini, ad esempio, arrivavano in febbraio e non in marzo come oggi e anche le prime farfalle si vedevano in febbraio, i mandorli erano fioriti in gennaio. Oltre ai frutti che definiamo autunnali (pinoli, datteri, noci, castagne, fichi, melagrane, bacche di alloro), sono stati trovati frutti a polpa, come pesche, prugne, olive in salamoia, fave in baccello. Non abbiamo prova che la vendemmia fosse già avvenuta in maniera diffusa e non possiamo dimostrare che i residui di vino trovati entro pochi dolia non fossero residui dell’annata precedente. Anche il vino messo a invecchiare entro anfore, potrebbe essere quello maturo prelevato dai dolia che si stavano svuotando per la vendemmi prossima. La gran quantità di anfore vuote e capovolte rinvenute, ci dicono che si stava preparando la vendemmi, non che fosse già avvenuta. La maggior parte delle analisi palinologiche ha rivelato una grande presenza di pollini di piante che fioriscono tra la primavera e l’estate e anche l’alloro, che oggi fiorisce tra settembre e ottobre, poteva essere in fioritura tra agosto e settembre per un diverso andamento stagionale. Inoltre, uno studio archeozoologico condotto nella cosiddetta officina del garum, nei pressi dell’anfiteatro di Pompei, ha dimostrato che i pesci rinvenuti entro i dolia erano stati appena deposti sotto sale e non erano stati ancora rimescolati per ricavarne il liquido che componeva il garum, in quanto le lische erano tutte in connessione. Questo vuol dire che i pesci utilizzati per la realizzazione del garum (mennole o zerri) erano stati pescati da poco e messi sotto sale per la decomposizione. La pesca di questo tipo di pesce, come oggi, doveva svolgersi quando il mare era più caldo e le femmine si concentravano in superficie, cosa che avviene tra agosto e settembre, in ogni caso non oltre la prima metà di ottobre. Inoltre, sul carro cosiddetto nuziale trovato a Civita Giuliana, erano presenti impronte di spighe di grano. I vestiti di lana indossati e i bracieri accesi trovati si possono giustificare in vario modo. Per i Romani il 24 agosto era già entrato l’autunno ed è possibile che un clima più fresco imponesse già l’uso di abiti di lana. Ma è anche probabile che dopo due giorni di eruzione e di polveri e ceneri finite nell’atmosfera, l’oscuramento del sole abbia creato un tale abbassamento della temperatura da richiedere abiti più pesanti. I bracieri accesi potevano servire per scaldarsi e fare luce per quanti si erano rifugiati nelle case, invece di fuggire dalla città <ref>{{Cita libro|autore=Helga Di Giuseppe, Marco Di Branco|titolo=Pompei. La Catastrofe (2014-2020 d.C.)|annooriginale=2022|editore=Scienze e Lettere|ISBN=978-88-6687-221-4}}</ref> <ref>{{Cita articolo|autore=Helga Di Giuseppe|titolo=L’iscrizione a carboncino che non data l’eruzione del Vesuvio, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 41-62.|url=https://www.academia.edu/82205786/Di_Giuseppe2022_Oebalus}}</ref>.
Una serie di altri argomenti a favore della data agostana è legata ai rinvenimenti archeobotanici, archeozoologici e palinologici. I frutti che oggi riteniamo autunnali potevano essere maturi già in agosto sia per le favorevoli condizioni climatiche nel periodo romano, sia perché ce lo dicono gli autori antichi, sia, infine, per la precessione degli equinozi. Infatti, le stagioni per i Romani erano indietro di almeno 26 giorni rispetto a oggi, per cui la primavera arrivava in febbraio, l’estate in maggio e l’autunno in agosto, questo corrispondeva all’andamento naturale delle stagioni, alla maturazione dei frutti e dei fiori e alle migrazioni degli uccelli. Le rondini, ad esempio, arrivavano in febbraio e non in marzo come oggi e anche le prime farfalle si vedevano in febbraio, i mandorli erano fioriti in gennaio. Oltre ai frutti che definiamo autunnali (pinoli, datteri, noci, castagne, fichi, melagrane, bacche di alloro), sono stati trovati frutti a polpa, come pesche, prugne, olive in salamoia, fave in baccello. Non abbiamo prova che la vendemmia fosse già avvenuta in maniera diffusa e non possiamo dimostrare che i residui di vino trovati entro pochi dolia non fossero residui dell’annata precedente. Anche il vino messo a invecchiare entro anfore, potrebbe essere quello maturo prelevato dai dolia che si stavano svuotando per la vendemmi prossima. La gran quantità di anfore vuote e capovolte rinvenute, ci dicono che si stava preparando la vendemmi, non che fosse già avvenuta. La maggior parte delle analisi palinologiche ha rivelato una grande presenza di pollini di piante che fioriscono tra la primavera e l’estate e anche l’alloro, che oggi fiorisce tra settembre e ottobre, poteva essere in fioritura tra agosto e settembre per un diverso andamento stagionale. Inoltre, uno studio archeozoologico condotto nella cosiddetta officina del garum, nei pressi dell’anfiteatro di Pompei, ha dimostrato che i pesci rinvenuti entro i dolia erano stati appena deposti sotto sale e non erano stati ancora rimescolati per ricavarne il liquido che componeva il garum, in quanto le lische erano tutte in connessione. Questo vuol dire che i pesci utilizzati per la realizzazione del garum (mennole o zerri) erano stati pescati da poco e messi sotto sale per la decomposizione. La pesca di questo tipo di pesce, come oggi, doveva svolgersi quando il mare era più caldo e le femmine si concentravano in superficie, cosa che avviene tra agosto e settembre, in ogni caso non oltre la prima metà di ottobre. Inoltre, sul carro cosiddetto nuziale trovato a Civita Giuliana, erano presenti impronte di spighe di grano. I vestiti di lana indossati e i bracieri accesi trovati si possono giustificare in vario modo. Per i Romani il 24 agosto era già entrato l’autunno ed è possibile che un clima più fresco imponesse già l’uso di abiti di lana. Ma è anche probabile che dopo due giorni di eruzione e di polveri e ceneri finite nell’atmosfera, l’oscuramento del sole abbia creato un tale abbassamento della temperatura da richiedere abiti più pesanti. I bracieri accesi potevano servire per scaldarsi e fare luce per quanti si erano rifugiati nelle case, invece di fuggire dalla città <ref>{{Cita libro|autore=Helga Di Giuseppe, Marco Di Branco|titolo=Pompei. La Catastrofe (2014-2020 d.C.)|annooriginale=2022|editore=Scienze e Lettere|ISBN=978-88-6687-221-4}}</ref> <ref>{{Cita articolo|autore=Helga Di Giuseppe|titolo=L’iscrizione a carboncino che non data l’eruzione del Vesuvio, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 41-62.|url=https://www.academia.edu/82205786/Di_Giuseppe2022_Oebalus}}</ref>.

È stato dimostrato, quasi dieci anni fa, che la moneta rinvenuta nella casa del Bracciale d’oro non riporta affatto la XV salutatio di Tito, bensì la XIV e quindi non è utilizzabile ai fini della precisazione della data dell’eruzione. Infatti, la parte della moneta che doveva riportare la menzione della salutatio non è visibile per via del cattivo stato di conservazione, mentre la parte visibile che menziona COS VII, senza PP (pater patriae), permette di ricostruire che la salutatio fosse la XIV e non la XV. L’errore è stato commesso quando è stato diffuso il disegno, non della moneta originale, ma di un denario della stessa serie, in stato di conservazione migliore, che faceva però riferimento all’acclamazione successiva e nessuno si è preoccupato di controllare de visu, continuando a esporre quella moneta come l’”ultima moneta di Pompei” <ref>{{Cita articolo|autore=R. A. Abdy|titolo=The last coin in Pompeii: a re-evaluation of the coin hoard from the house of the golden bracelet |rivista=The Numismatic Chronicle |numero=173 |anno=2013|pp=1-8}}</ref> <ref>U. Moruzzi, Riflessioni e sinergie nella numismatica italiana, in Atti del convegno L’eredità salvata - realtà e prospettive per la tutela e la fruizione dei beni numismatici di interesse archeologico|rivista=Notiziario del Portale Numismatico dello Stato, 5, 2014</ref>.
È stato dimostrato, quasi dieci anni fa, che la moneta rinvenuta nella casa del Bracciale d’oro non riporta affatto la XV salutatio di Tito, bensì la XIV e quindi non è utilizzabile ai fini della precisazione della data dell’eruzione. Infatti, la parte della moneta che doveva riportare la menzione della salutatio non è visibile per via del cattivo stato di conservazione, mentre la parte visibile che menziona COS VII, senza PP (pater patriae), permette di ricostruire che la salutatio fosse la XIV e non la XV. L’errore è stato commesso quando è stato diffuso il disegno, non della moneta originale, ma di un denario della stessa serie, in stato di conservazione migliore, che faceva però riferimento all’acclamazione successiva e nessuno si è preoccupato di controllare de visu, continuando a esporre quella moneta come l’”ultima moneta di Pompei” <ref>{{Cita articolo|autore=R. A. Abdy|titolo=The last coin in Pompeii: a re-evaluation of the coin hoard from the house of the golden bracelet |rivista=The Numismatic Chronicle |numero=173 |anno=2013|pp=1-8}}</ref> <ref>U. Moruzzi, Riflessioni e sinergie nella numismatica italiana, in Atti del convegno L’eredità salvata - realtà e prospettive per la tutela e la fruizione dei beni numismatici di interesse archeologico|rivista=Notiziario del Portale Numismatico dello Stato, 5, 2014</ref>.

Infine non può essere trascurato il recentissimo ritrovamento della tartaruga dentro una bottega in ristrutturazione dopo il terremoto del 62 d.C. che aveva distrutto Pompei <ref>{{cita web|url=https://www.rainews.it/tgr/campania/articoli/2022/06/una-tartaruga-di-2000-anni-fa-riemerge-a-pompei-565927ff-2707-4fc5-91b4-29b280ffa93c.html}}</ref>. La tartaruga si era rifugiata nella taberna e aveva scavato una tana nel battuto pavimentale, forse per deporre l’uovo. È stata rinvenuta in perfetto stato di conservazione con la testa, una zampetta, la coda e l’uovo non ancora deposto. Le tartarughe di terra si accoppiano tra maggio e giugno e depongono le loro uova dopo un periodo di gestazione di quattro-otto settimane. Quasi tutte le specie le depongono in buche scavate nel terreno, che ricoprono poi di terra. Se la tartaruga fosse morta molto tempo prima dell’eruzione sarebbe stata mangiata dai vermi, mentre il perfetto stato di conservazione rende assai probabili che sia morta a seguito dell’eruzione del Vesuvio che ne ha permesso il perfetto stato di conservazione. E se ciò fosse dimostrato con il prosieguo delle analisi, sarebbe un’ulteriore prova che l’eruzione del Vesuvio è avvenuta in agosto piuttosto che in ottobre, quando di solito le tartarughe vanno in letargo.
Infine non può essere trascurato il recentissimo ritrovamento della tartaruga dentro una bottega in ristrutturazione dopo il terremoto del 62 d.C. che aveva distrutto Pompei <ref>{{cita web|url=https://www.rainews.it/tgr/campania/articoli/2022/06/una-tartaruga-di-2000-anni-fa-riemerge-a-pompei-565927ff-2707-4fc5-91b4-29b280ffa93c.html}}</ref>. La tartaruga si era rifugiata nella taberna e aveva scavato una tana nel battuto pavimentale, forse per deporre l’uovo. È stata rinvenuta in perfetto stato di conservazione con la testa, una zampetta, la coda e l’uovo non ancora deposto. Le tartarughe di terra si accoppiano tra maggio e giugno e depongono le loro uova dopo un periodo di gestazione di quattro-otto settimane. Quasi tutte le specie le depongono in buche scavate nel terreno, che ricoprono poi di terra. Se la tartaruga fosse morta molto tempo prima dell’eruzione sarebbe stata mangiata dai vermi, mentre il perfetto stato di conservazione rende assai probabili che sia morta a seguito dell’eruzione del Vesuvio che ne ha permesso il perfetto stato di conservazione. E se ciò fosse dimostrato con il prosieguo delle analisi, sarebbe un’ulteriore prova che l’eruzione del Vesuvio è avvenuta in agosto piuttosto che in ottobre, quando di solito le tartarughe vanno in letargo.



Versione delle 00:49, 8 ago 2022

Voce principale: Eruzione del Vesuvio del 79.
Karl Brjullov, L'ultimo giorno di Pompei, 1827-1833

La data dell'eruzione del Vesuvio del 79 viene comunemente riferita a quella indicata da una lettera di Plinio il giovane a Tacito,[1] in cui si legge nonum kal. septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto. Tale data era la variante tradizionalmente ritenuta la più attendibile, tuttavia alcune recenti evidenze archeologiche lasciano supporre che l'evento si sia verificato in autunno, probabilmente il 24 ottobre di quell'anno. Tali evidenze sono: i segni della conclusione della vendemmia, una moneta ritrovata nella Casa del Bracciale d'Oro (che riferisce della quindicesima acclamazione di Tito a imperatore, avvenuta dopo l'8 settembre 79), nonché un'iscrizione a carboncino rinvenuta nella cosiddetta Casa con Giardino che riporta il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, corrispondente al 17 ottobre (verosimilmente dell'anno dell'eruzione, perché la scritta non avrebbe potuto conservarsi più a lungo).[2][3][4]

Storia

Reperti organici

Nello scavo dell'area vesuviana, sigillati dai lapilli, sono stati ritrovati (carbonizzati o tramite indagini archeobotaniche) resti di frutta secca (come fichi secchi, datteri, susine), frutta tipicamente autunnale (come ad esempio melograni rinvenuti a Oplontis, castagne, uva, noci), si era completata la raccolta della canapa da semina (raccolta che si effettuava solitamente a settembre), la vendemmia (effettuata solitamente nel periodo di settembre e ottobre) era da tempo terminata e il mosto era stato sigillato nelle anfore (i dolea, dogli o vasi a forma tondeggiante nei quale i romani conservavano derrate liquide, come olio e vino, o secche, come grano e legumi) e interrato, come riscontrato a Villa Regina (Boscoreale). Tali anfore venivano chiuse soltanto dopo un periodo di fermentazione all'aria aperta della durata di una decina di giorni: dunque l'eruzione avvenne, se si considera attendibile questo elemento d'indagine, in un periodo successivo. Anche nel caso di una vendemmia anticipata, i giorni intercorsi tra la raccolta, la pigiatura e la prima fermentazione consentono di spostare la data avanti con una certa sicurezza. Inoltre erano già posti in uso nelle case oggetti tipicamente autunnali come i bracieri nella Casa di Menandro.

Dipinto dalla Casa del centenario a Pompei, in cui c'è l'unica rappresentazione pittorica del Vesuvio, quello che allora si credeva essere un monte ubertoso

Manoscritti

Questi motivi portarono Carlo Maria Rosini, già nel 1797, ad avanzare l'ipotesi che il testo pliniano fosse sbagliato. Esso recita:

(LA)

«Nonum kal. septembres hora fere septima mater mea indicat ei apparere nubem inusitata et magnitudine et specie.»

(IT)

«Il nono giorno prima delle calende di settembre, verso l'ora settima, mia madre gli mostra una nube inconsueta sia per forma che per grandezza.»

Rosini propendeva, invece, per la data riportata da Cassio Dione, Storia romana, LXVI, 21, 1: «κατ' αὐτὸ τὸ φθινόπωρον», "proprio nell'ultima parte dell'autunno",[5] e pertanto propose l'emendamento: IX kal. decembris,[6] cioè nove giorni dalle calende di dicembre, ovvero il 23 novembre,[7] che meglio si accordava con i dati archeologici. Tale ipotesi fu però respinta, all'epoca, e si continuò a considerare come esatta la data del 24 agosto.

Nel 1854 anche Edward Greswell contestò la data tradizionale del 24 agosto, sostenendo, sulla base di argomenti soprattutto filologici, che l'eruzione avvenne il 23 settembre e proponendo dunque l'emendamento del passo di Plinio in: IX Kalendas Octobres.[8]

Analizzando i diversi manoscritti del testo pliniano che si sono conservati, si può vedere che oltre alla versione maggiormente attestata, esistono altre varianti del passo in questione riportate in altrettante versioni manoscritte:

  • nonum kal. septembres (nove giorni dalle calende di settembre, il 24 agosto)
  • kal. novembres (alle calende di novembre, 1º novembre)
  • III kal. novembres (tre giorni dalle calende di novembre, 30 ottobre)
  • non. kal. ... (nove giorni dalle calende, forse di novembre, ovvero il 24 ottobre)[9]

La presenza di diverse varianti in un manoscritto è dovuta ad errori di trascrizione che il testo ha subito ad opera dei copisti nei secoli, ma non necessariamente la variante numericamente più attestata è quella corretta. Neanche la variante più antica può essere considerata immune da errori che possono essere stati commessi in trascrizioni precedenti. Quindi la data del 24 agosto, ricavata da una delle varianti del testo di Plinio, è tutt'altro che certa.

Numismatica

Un ultimo rinvenimento numismatico ha permesso di accertare l'effettiva infondatezza della datazione estiva. Un denario d'argento trovato il 7 giugno 1974 nello scavo a Pompei, sotto la Casa del bracciale d'oro (Insula Occidentalis)[10] porta sul recto impressa l'iscrizione:

(LA)

«IMP TITVS CAES VESPASIAN AVG P M TR P VIIII IMP XV COS VII PP»

(IT)

«Imperatore Tito Cesare Vespasiano Augusto Pontefice Massimo, nona volta con la potestà tribunicia, imperatore per la quindicesima, console per la settima, padre della patria»

Di seguito una moneta praticamente identica a quella rinvenuta a Pompei (tranne per l'indicazione della XIIII acclamazione invece della XV):

Tito e il capricorno
Immagine Valore Dritto Rovescio Datazione Peso; diametro Catalogazione
Denario IMP TITVS CAES VESPASIAN AVG P M, testa laureata a destra. TR P VIIII IMP XIIII COS VII PP, capricorno a sinistra su un globo. post 1º luglio 79 17mm, 3.47 g, 5h RIC Titus 19 c; Cohen 294, BMCRE 35.

Il ritrovamento del denario pompeiano (con l'indicazione della XV acclamazione) permette di affermare che l'eruzione avvenne, ovviamente, dopo l'emissione di questa moneta, quindi nell'anno in cui l'imperatore Tito ricoprì il settimo consolato (il 79), dopo l'assunzione per la nona volta della potestà tribunicia, cioè dopo il 1º luglio e dopo la quindicesima acclamazione a imperatore, consentendo di spostare ancora oltre luglio il terminus post quem. Due iscrizioni (conservate a Siviglia, Spagna, e al British Museum) datate al 7 settembre e all'8 settembre hanno consentito di accertare che l'eruzione avvenne certamente dopo queste date. Nelle due iscrizioni infatti, una lettera scolpita in un'epigrafe bronzea di Tito ai decurioni della città di Munigua (in epoca moderna diventata Villanueva del Rio),[11] e l'altro un diploma di congedo ritrovato a Fayyum,[12] è riportata la quattordicesima acclamazione assieme alle date del 7 (per la lettera di Tito) e dell'8 settembre (per il diploma), consentendo di affermare che la quindicesima acclamazione imperiale si è svolta certamente dopo queste due date. Il diploma di congedo è il seguente (sono evidenziate l'acclamazione imperiale e la data di conferimento del diploma):

«Imp(erator) Titus Cae[sa]r Vespasianus / Au[gustus ponti]fex maximus / t[r]i[bunic(ia) pot]estat(e) VIIII imp(erator) XIIII / p(ater) p(atriae) c[e]nsor co(n)s(ul) VII / veteranis qui militaverunt in / classe qua[e est] in Aegypto eme/ritis stipendiis senis et vice/nis [pl]urib[u]sve [dimi]ssis ho/nesta mi[ss]ione quorum no/mina sub[s]cripta sunt ipsis li/beris posterisque eorum civi/tatem dedit et conubium cum / uxoribus quas tunc habuissent / cum est civitas iis data aut siqui / caelibes essent cum iis quas pos/tea duxissent dumtaxat singuli / singulas a(nte) d(iem) VI Idus Sept(embres) / T(ito) Rubrio Aelio Nepote / M(arco) Arrio Flacco co(n)s(ulibus) / ex remigibus / M(arco) Papirio M(arci) f(ilio) Ars[enoitae] / et Tapaiae Tryphonis filiae u[xori eius] / et Carpinio f(ilio) eius / descriptum et recognitu[m ex tabu]/la aenea quae fixa est Ro[mae in] / Capitolio in basi Pompil[i regis ad] / aram gentis Iuliae // Imp(erator) Titus Caesar Vespasianus / Augustus pontifex maximus / tribunic(ia) potestat(e) VIIII imp(erator) XIIII / p(ater) p(atriae) censor co(n)s(ul) VII / veteranis qui militaverunt in / classe quae est in Aegypto emeri/tis stipendiis senis et vicenis / pluribusve dimissis honesta / missione quorum nomina sub/scripta sunt ipsis liberis pos/terisque eorum civitatem [de]/dit et conubium cum uxo[ribus] / quas tunc habuissen[t cum est] / civitas [iis] data aut siqui cae/libes ess[ent] c[u]m iis quas postea / duxissent d[u]mtaxat singuli / singulas a(nte) [d(iem) V]I Idus Sept(embres) / T(ito) Rubrio Aelio Nepote / M(arco) [A]r[r]io Flacco co(n)s(ulibus) / ex remigibus / M(arco) Papirio M(arci) f(ilio) Arsen(oitae) / et Tap[ai]ae Tryphonis filiae uxori eius / et Carpinio f(ilio) eius / descr[ip]tum et recognitum ex tabu/la ae[n]ea quae fixa est Romae in / Capitolio // P(ubli) Atini Rufi / [M(arci)] Stlacc(i) Phileti / L(uci) Pulli Sperati / Q(uinti) Muci Augustalis / L(uci) Pulli Verecundi / L(uci) Pulli Ianuari / T(iti) Vibi Zosimi»

Di seguito invece l'epistula imperatoris di Tito ai decurioni di Munigua, datata al 7 settembre 79 (in neretto l'indicazione della nona acclamazione imperatoria e la data del 7 settembre):

«Imp(erator) Titus Caesar Vespasianus Aug(ustus) pontif(ex) max(imus) / trib(unicia) potest(ate) VIIII imperator XIIII co(n)s(ul) VII p(ater) p(atriae) salutem / dicit IIIIvir(is) et decurionibus Muniguens(ibus) / cum ideo appellaveritis ne pecuniam quam debebatis Servilio / Pollioni ex sententia Semproni Fusci solveretis poenam iniustae / appellationis exsigi(!) a vobis oportebat sed ego malui cum in/dulgentia mea quam cum temeritati(!) vestra loqui et sester/tia quinquaginta millia(!) nummorum tenuitati publicae / quam praetexitis remisi scripsi autem Gallicano amico / meo proco(n)s(uli) pecuniam quae adiudicata est Pollioni nume/rassetis ex die sententiae dictae usurarum vos conputa/tionem(!) liberaret / reditus vectigaliorum vestrorum quae conducta habuisse Pol/lionem indicatis in rationem venire aequom(!) est ne quid / hoc nomine rei publicae apsit(!) vale / dat(um) VII Idus Septembr(es)»

Il terminus post quem del 7-8 settembre ha permesso di accertare che l'eruzione del Vesuvio avvenne sicuramente dopo l'8 settembre e considerando gli altri dati archeologici, in particolare la conclusione della vendemmia (testimoniata dal ritrovamento di anfore contenenti succo di uva appena avviato alla fase di fermentazione) e il rinvenimento di noci, fichi secchi, prugne e melagrane perfettamente conservate, è plausibile ipotizzare una data ancora successiva e pienamente autunnale, forse quella del 24 ottobre, data peraltro tra quelle indicate in una delle versioni manoscritte dell'epistola di Plinio a Tacito, compatibile anche con l'indicazione autunnale di Dione Cassio.

Iscrizioni

Un'ulteriore prova a supporto della tesi secondo la quale l'eruzione avvenne in autunno è costituita da un'iscrizione rinvenuta nel 2018 in una casa che al momento dell'eruzione era probabilmente in ristrutturazione[13][14]: l'iscrizione, a carboncino, reca la data del 17 ottobre, e si riferisce con tutta probabilità allo stesso 79, poiché le scritte a carboncino si cancellano con estrema facilità, quindi sembrerebbe da escludersi che possa risalire a un periodo molto precedente all'eruzione. Il testo che segue la data è di lettura ambigua, e può essere interpretato come

(LA)

«XVI (ante) K(alendas) Nov(embres) in[d]ulsit / pro masumis esurit[ioni]»

(IT)

«Il 17 ottobre lui indulse al cibo in modo smodato»

o come (più probabilmente[16])

(LA)

«XVI (ante) K(alendas) Nov(embres) in olearia / proma sumserunt»

(IT)

«Il 17 ottobre hanno preso nella dispensa olearia ...»

Ad ogni modo, la data testimoniata dall'iscrizione a carboncino (giorno e mese, senza anno) potrebbe essersi conservata per un lungo periodo, trovandosi sul muro di una casa in corso di ristrutturazione. Infatti, l’iscrizione a carboncino, che reca la menzione del 17 ottobre non riporta l’anno, come è normale per le iscrizioni parietali inerenti la vita quotidiana a Pompei. Essa potrebbe essere stata scritta anche nel 78 d.C. o diversi anni prima ed essersi conservata perfettamente. Non è affatto vero che le iscrizioni a carboncino sono evanide, anzi possono resistere anche per 50 e 70 anni, come è stato dimostrato, ad esempio con le iscrizioni a carboncino ancora leggibili sulle volte delle tombe di Porta Nocera [18] ed è un fatto che l’iscrizione è stata rinvenuta nel 2018 ed è ancora lì perfettamente leggibile.

Una serie di altri argomenti a favore della data agostana è legata ai rinvenimenti archeobotanici, archeozoologici e palinologici. I frutti che oggi riteniamo autunnali potevano essere maturi già in agosto sia per le favorevoli condizioni climatiche nel periodo romano, sia perché ce lo dicono gli autori antichi, sia, infine, per la precessione degli equinozi. Infatti, le stagioni per i Romani erano indietro di almeno 26 giorni rispetto a oggi, per cui la primavera arrivava in febbraio, l’estate in maggio e l’autunno in agosto, questo corrispondeva all’andamento naturale delle stagioni, alla maturazione dei frutti e dei fiori e alle migrazioni degli uccelli. Le rondini, ad esempio, arrivavano in febbraio e non in marzo come oggi e anche le prime farfalle si vedevano in febbraio, i mandorli erano fioriti in gennaio. Oltre ai frutti che definiamo autunnali (pinoli, datteri, noci, castagne, fichi, melagrane, bacche di alloro), sono stati trovati frutti a polpa, come pesche, prugne, olive in salamoia, fave in baccello. Non abbiamo prova che la vendemmia fosse già avvenuta in maniera diffusa e non possiamo dimostrare che i residui di vino trovati entro pochi dolia non fossero residui dell’annata precedente. Anche il vino messo a invecchiare entro anfore, potrebbe essere quello maturo prelevato dai dolia che si stavano svuotando per la vendemmi prossima. La gran quantità di anfore vuote e capovolte rinvenute, ci dicono che si stava preparando la vendemmi, non che fosse già avvenuta. La maggior parte delle analisi palinologiche ha rivelato una grande presenza di pollini di piante che fioriscono tra la primavera e l’estate e anche l’alloro, che oggi fiorisce tra settembre e ottobre, poteva essere in fioritura tra agosto e settembre per un diverso andamento stagionale. Inoltre, uno studio archeozoologico condotto nella cosiddetta officina del garum, nei pressi dell’anfiteatro di Pompei, ha dimostrato che i pesci rinvenuti entro i dolia erano stati appena deposti sotto sale e non erano stati ancora rimescolati per ricavarne il liquido che componeva il garum, in quanto le lische erano tutte in connessione. Questo vuol dire che i pesci utilizzati per la realizzazione del garum (mennole o zerri) erano stati pescati da poco e messi sotto sale per la decomposizione. La pesca di questo tipo di pesce, come oggi, doveva svolgersi quando il mare era più caldo e le femmine si concentravano in superficie, cosa che avviene tra agosto e settembre, in ogni caso non oltre la prima metà di ottobre. Inoltre, sul carro cosiddetto nuziale trovato a Civita Giuliana, erano presenti impronte di spighe di grano. I vestiti di lana indossati e i bracieri accesi trovati si possono giustificare in vario modo. Per i Romani il 24 agosto era già entrato l’autunno ed è possibile che un clima più fresco imponesse già l’uso di abiti di lana. Ma è anche probabile che dopo due giorni di eruzione e di polveri e ceneri finite nell’atmosfera, l’oscuramento del sole abbia creato un tale abbassamento della temperatura da richiedere abiti più pesanti. I bracieri accesi potevano servire per scaldarsi e fare luce per quanti si erano rifugiati nelle case, invece di fuggire dalla città [19] [20].

È stato dimostrato, quasi dieci anni fa, che la moneta rinvenuta nella casa del Bracciale d’oro non riporta affatto la XV salutatio di Tito, bensì la XIV e quindi non è utilizzabile ai fini della precisazione della data dell’eruzione. Infatti, la parte della moneta che doveva riportare la menzione della salutatio non è visibile per via del cattivo stato di conservazione, mentre la parte visibile che menziona COS VII, senza PP (pater patriae), permette di ricostruire che la salutatio fosse la XIV e non la XV. L’errore è stato commesso quando è stato diffuso il disegno, non della moneta originale, ma di un denario della stessa serie, in stato di conservazione migliore, che faceva però riferimento all’acclamazione successiva e nessuno si è preoccupato di controllare de visu, continuando a esporre quella moneta come l’”ultima moneta di Pompei” [21] [22].

Infine non può essere trascurato il recentissimo ritrovamento della tartaruga dentro una bottega in ristrutturazione dopo il terremoto del 62 d.C. che aveva distrutto Pompei [23]. La tartaruga si era rifugiata nella taberna e aveva scavato una tana nel battuto pavimentale, forse per deporre l’uovo. È stata rinvenuta in perfetto stato di conservazione con la testa, una zampetta, la coda e l’uovo non ancora deposto. Le tartarughe di terra si accoppiano tra maggio e giugno e depongono le loro uova dopo un periodo di gestazione di quattro-otto settimane. Quasi tutte le specie le depongono in buche scavate nel terreno, che ricoprono poi di terra. Se la tartaruga fosse morta molto tempo prima dell’eruzione sarebbe stata mangiata dai vermi, mentre il perfetto stato di conservazione rende assai probabili che sia morta a seguito dell’eruzione del Vesuvio che ne ha permesso il perfetto stato di conservazione. E se ciò fosse dimostrato con il prosieguo delle analisi, sarebbe un’ulteriore prova che l’eruzione del Vesuvio è avvenuta in agosto piuttosto che in ottobre, quando di solito le tartarughe vanno in letargo.

Note

  1. ^ Plinio il Giovane, Epistulae, VI, 16, 20
  2. ^ Antonio Ferrara, Pompei, un'iscrizione cambia la data dell'eruzione: avvenne il 24 ottobre del 79 d.C., in La Repubblica, 16 ottobre 2018.
  3. ^ Pompei, un'iscrizione sposta la data dell'eruzione da agosto ad ottobre - Arte, in ANSA.it, 16 ottobre 2018. URL consultato il 18 ottobre 2018.
  4. ^ Raccolta - Rassegna Storica dei Comuni (PDF), su iststudiatell.org, Istituto di studi Atellani.
  5. ^ (GRCEN) Dio, Roman History, with an English translation by Earnest Cary, vol. 8, London, William Heinemann, 1925, p. 302.
  6. ^ (LA) Carolus Rosinius, Quo anno Titiana vastitas adciderit. Quo anni tempore, quo die, in Dissertationis isagogicae ad Herculanensium voluminum explanationem pars prima, Neapoli, ex Regia Typographia, 1797, pp. 67-68.
  7. ^ Come ὁ μὴν φθίνων è la terza decade del mese, così τὸ φθινόπωρον, data indicata da Dione, è la terza e ultima parte dell'autunno, il cui inizio corrisponde pressoché al 23 novembre del passo di Plinio nell'emendamento proposto dal Rosini.
  8. ^ Greswell, p. 188 e p. 190. Egli diede alla data indicata da Dione, «κατ' αὐτὸ τὸ φθινόπωρον», un'interpretazione diversa, la stessa che si ritrova nella traduzione di Earnest Cary: «at the very end of the summer», "proprio alla fine dell'estate" (Cary, p. 303).
  9. ^ Stefani, p. 10.
  10. ^ Rosaria Ciardiello, Alcune riflessioni sulla Casa del Bracciale d’Oro a Pompei (PDF), su unisob.na.it. URL consultato il 14 marzo 2013.
  11. ^ AE 1962, 288
  12. ^ AE 1927, 0096
  13. ^ L'iscrizione e la data dell'eruzione, su pompeiisites.org. URL consultato il 22 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale il 22 ottobre 2018).
  14. ^ Pompei - Casa con Giardino, su pompeionline.net.
  15. ^ Antonio Ferrara, Pompei, un'iscrizione cambia la data dell'eruzione: avvenne il 24 ottobre del 79 d.C., su napoli.repubblica.it. URL consultato il 16 ottobre 2018.
  16. ^ Massimo Osanna, Pompei. Il tempo ritrovato, Rizzoli, 2019, figura 14, ISBN 978-88-586-9936-2.
  17. ^ Pompei, si parla di olio nella nuova traduzione dell'iscrizione che cambia la data dell'eruzione, su napoli.repubblica.it. URL consultato il 9 novembre 2018.
  18. ^ Felice Senatore, Sulla durata delle iscrizioni a carboncino di Pompei, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 35-40..
  19. ^ Helga Di Giuseppe, Marco Di Branco, Pompei. La Catastrofe (2014-2020 d.C.), Scienze e Lettere, 2022, ISBN 978-88-6687-221-4.
  20. ^ Helga Di Giuseppe, L’iscrizione a carboncino che non data l’eruzione del Vesuvio, in Oebalus Studi sulla Campania nell’Antichità 16, 2021, pp. 41-62..
  21. ^ R. A. Abdy, The last coin in Pompeii: a re-evaluation of the coin hoard from the house of the golden bracelet, in The Numismatic Chronicle, n. 173, 2013, pp. 1-8.
  22. ^ U. Moruzzi, Riflessioni e sinergie nella numismatica italiana, in Atti del convegno L’eredità salvata - realtà e prospettive per la tutela e la fruizione dei beni numismatici di interesse archeologico|rivista=Notiziario del Portale Numismatico dello Stato, 5, 2014
  23. ^ rainews.it, https://www.rainews.it/tgr/campania/articoli/2022/06/una-tartaruga-di-2000-anni-fa-riemerge-a-pompei-565927ff-2707-4fc5-91b4-29b280ffa93c.html.

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni