Sigismondo II de Luna

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Sigismondo de Luna Moncada
Nobile dei Conti di Caltabellotta
Stemma
Stemma
TrattamentoDon
Nascitafine del XV secolo
MorteRoma, 1530
DinastiaDe Luna d'Aragona
PadreGiovanni Vincenzo de Luna Rosso
MadreDiana Moncada e Moncada
ConsorteLuisa Salviati de' Medici
FigliPietro
Giulio
Giacomo
ReligioneCattolicesimo
Sigismondo de Luna Moncada
Nascitafine del XV secolo
MorteRoma, 1530
Cause della mortesuicidio
ReligioneCattolicesimo
Dati militari
Paese servito Regno di Sicilia
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Sigismondo de Luna Moncada (fine del XV secoloRoma, 1530) è stato un nobile e militare italiano di origine spagnola del XVI secolo.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque presumibilmente alla fine del XV secolo, da Giovanni Vincenzo, IX conte di Caltabellotta, e dalla di lui consorte la nobildonna Diana Moncada e Moncada dei Conti di Adernò e di Caltanissetta, di cui era il primogenito di quattro figli.[1]

Educato alle armi fin da giovanissimo, nel 1517 dovette abbandonare la Sicilia assieme alla sua famiglia, a causa dei tumulti popolari scoppiati a Palermo, capeggiati da Giovan Luca Squarcialupo contro il Viceré.[2] Nel 1523, sposò la nobildonna fiorentina Luisa Salviati, figlia di Jacopo e di Lucrezia de' Medici, sorella di papa Leone X, e l'importanza di questa unione si coglie meglio se la s'inquadra nella politica di potenziamento della famiglia che il padre, il Conte di Caltabellotta, perseguiva ormai da tempo.[2] In questa occasione designava Sigismondo erede del titolo di Conte di Caltabellotta con il feudo ad esso legato e vasti territori appartenenti agli stati di Bivona, Caltavuturo e Sclafani.[2]

Nella città demaniale di Sciacca vi risiedevano le nobili famiglie che possedevano feudi nell'entroterra, ma tra queste primeggiavano per ricchezza e tradizioni i De Luna e i Perollo, tra le quali esistevano rancori e rivalità, e ciò portò alla nascita di due fazioni contrapposte in loro sostegno che di lì a poco furono protagoniste di una sanguinosa faida.[2] Malgrado l'invio da parte del Viceré di Sicilia di Girolamo Statella, barone di Mongialino, giunto nel 1528 a Sciacca per mediare e porre fine allo scontro, nel luglio 1529 il Luna, a capo di trecento tra fanti e cavalieri, partito da Caltabellotta irruppe a Sciacca, ed assaltò e mise a sacco la residenza del Perollo, il Castelvecchio.[2] Nell'assalto fu ucciso Giacomo Perollo, barone di Pandolfina, e con questi anche lo Statella.[2] Il saccheggio della città, durato una settimana, fu spietato: si calcola che il solo saccheggio di Castelvecchio abbia fruttato 100.000 fiorini.[2] Il Perollo tra l'altro era legato al Luna da un rapporto di parentela acquisita, poiché la moglie era Contissella Moncada d'Acugna, sua cugina e figlia dello zio materno Ferdinando.[1]

L'episodio portò inevitabilmente ad un sanguinoso conflitto, noto come il secondo caso di Sciacca. Giunta a Palermo la notizia dell'avvenimento, il Viceré Pignatelli reagì con disposizioni severissime.[2] Le truppe inviate dal Viceré e partite da Messina, comandate da Nicolò Pollastra, maestro giustiziere e presidente della Magna Curia, e da Giovanni Reganati, formate da seicento fanti spagnoli ed una compagnia di duecento cavalieri siciliani, giunsero a Bivona dove furono attaccate dalle milizie del Luna, che uccisero una trentina di uomini.[2][3] Il Pollastra, giunto poi a Sciacca, dichiarava delitto di lesa maestà quanto avvenuto, e pubblicava editto di condanna a morte contro Sigismondo e dichiarava confiscati a favore del Regio patrimonio tutti i suoi beni.[2] Numerosi nobili simpatizzanti dei Luna furono catturati e imprigionati dalle truppe viceregie nelle carceri di Messina, in cui alcuni trovarono la morte per le torture subite.[2]

Il Luna, assieme alla moglie Luisa, i tre figli avuti da lei ed il padre il Conte Gian Vincenzo, fu costretto a fuggire e riparò a Roma, sotto la protezione di papa Clemente VII, zio della moglie.[2] Clemente VII, in occasione dell'incoronazione dell'imperatore Carlo V d'Asburgo nel 1530, avrebbe chiesto a quest'ultimo di concedere la grazia a Sigismondo, ma l'imperatore si rifiutò di farlo.[2] Il pontefice convinse successivamente l'Imperatore a restituire ai Luna i beni precedentemente confiscati dal Viceré.[2] La decisione dell'Imperatore asburgico di negargli il perdono, che lo costringeva all'esilio perpetuo, avrebbe spinto il Luna, preso da scoramento, a gettarsi nelle acque del Tevere, dove sarebbe morto affogato.[2][4]

Matrimoni e discendenza[modifica | modifica wikitesto]

Sigismondo de Luna Moncada, nobile dei Conti di Caltabellotta, dal suo matrimonio con Luisa Salviati de' Medici, ebbe tre figli:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Savasta, p. 74.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o Scichilone.
  3. ^ Savasta, p. 332.
  4. ^ Savasta, p. 345.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Archivio di stato di Palermo, Protonotaro del Regno, Processi d'investitura, busta 1484, processo 219.
  • Arch. di Stato di Palermo, Protonotaro del Regno, vol. 257, f. 505; vol. 260, ff. 25, 147; vol. 275, f. 188; vol. 276, ff. 477, 513; vol. 277, f. 48; vol. 278, f. 55; vol. 280, ff. 46, 132, 175, 301; vol. 283, f. 289; vol. 285, f. 267; vol. 286, f. 264; vol. 288, f. 199.
  • Ibid., Regia Cancelleria, vol. 293, f. 437; vol. 294, f. 484; vol. 296, f. 391; vol. 298, f. 32; vol. 341, f. 540.
  • F. Savasta, Il famoso caso di Sciacca, Palermo, Tipografia Pietro Pensante, 1843.
  • F. Milo Guggino, marchese di Campobianco, Luna e Perollo, ovvero il Caso di Sciacca. Storia siciliana del sec. XVI, Palermo, Stamperia Carini, 1845.
  • V. Di Giovanni, Il caso di Sciacca. Cronaca siciliana del sec. XVI, Palermo, 1874.
  • I. Scaturro, Storia della città di Sciacca, vol. 1, Napoli, Majo, 1924, pp. 7–11, 26, 31, 36-40, 53-55, 96.
  • F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Palermo, Boccone del Povero, 1926, p. 79.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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