Santuario di Santa Maria delle Grazie (Alia)

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Santuario di Santa Maria delle Grazie
Chiesa Madre di Alia, particolare del presbiterio.
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneSicilia
LocalitàAlia
Coordinate37°46′41.55″N 13°42′51.45″E / 37.778209°N 13.714293°E37.778209; 13.714293
ReligioneChiesa cattolica di rito romano
TitolareSanta Maria delle Grazie
Diocesi Cefalù
Consacrazione4 febbraio 1639
FondatoreFrancesca Cifuentes e Giovan Battista Celestri
Stile architettonicoBarocco
Inizio costruzione1630
Completamento1639
Sito webwww.facebook.com/groups/226047190859384/

Il Santuario di Santa Maria delle Grazie è un luogo di culto cattolico della diocesi di Cefalù, sede dell'omonima parrocchia e dello stesso santuario, situato nel centro storico della cittadina madonita di Alia nella città metropolitana di Palermo. Costruito tra il 1630 e il 1639 per volere di Donna Francesca Cifuentes e del figlio Giovan Battista Celestri, è santuario dal 1957. La chiesa è legata, dal 2009, da speciale vincolo spirituale con la Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.

La fondazione[modifica | modifica wikitesto]

Nella Sicilia della dominazione spagnola e del feudalesimo barocco, in cui continuavano a protrarsi quei rapporti di collaborazionismo tra Chiesa ed istituzioni politiche, ampiamente difesi dalla Iuxta Statuta Sacrosancti Concilii Tridentini, fondare un comune feudale, senza che contemporaneamente si provvedesse ad edificare una chiesa parrocchiale, significava rischiare un’impresa di ardua risoluzione. L’auspicabile armonia tra le due forme di potere e il generale clima di solida pietà cristiana imponevano la messa in cantiere di mirabili opere di evergetismo, tra le quali si colloca indubbiamente la stessa istituzione del titulus parrocchiale in terra di Lalia.

Risale al 4 febbraio 1639 l’atto di istituzione della parrocchia, stipulato da Donna Francesca Cifuentes e dal figlio primogenito Giovan Battista Celestri presso il notaio palermitano Vincenzo Scoferio alla presenza dei testimoni Fabrizio Terranova e Vincenzo Dispenza[1]. Il documento, scritto interamente in latino con una forma che esula dal freddo e piatto stile notarile, ricorda come i due feudatari, per «l’immensa devozione che hanno sempre avuto nei confronti della Regina degli Angeli (…), ispirati dallo Spirito Santo dal qual provengono tutte le cose buone» hanno deliberato di costruire «una Chiesa sotto il titolo di Santa Maria di tutte le Grazie», istituendo a maggior decoro della suddetta un benefico col titolo di parroco. Al titolare del beneficio, da identificare nella persona di don Michele Purpura, primo parroco di Alia, e ai suoi successori, i Marchesi di Santa Croce assegnavano una dote di 30 onze annue, sei delle quali andavano destinate alle spese correnti per l’acquisto «dei ceri e dell’olio per la lampada del Santissimo».

Il primo battesimo, regolarmente registrato nel Liber Baptizatorum 1/I, risale all’anno 1655; da questa annotazione si avvia la lunga serie di registrazioni anagrafiche, giunte praticamente senza soluzione di continuità sino ai nostri giorni. Una copia dell’atto del primo battesimo, insieme ad altre notizie sulla stessa cerimonia, è riportato anche nell’Ordo Sacerdotum qui in estremum diem Aliae obierunt, un documento cronachistico del XVIII secolo che menziona brevemente le biografie dei sacerdoti vissuti e morti ad Alia. Di particolare interesse storiografico è la formula di apertura di quest'ultimo, in cui il cronachista annota che «sebbene nell’anno 1622 dal Parto della Vergine, alcuni uomini avessero cominciato ad abitare ad Alia, tuttavia prima dell’anno 1655 sembrasse non esistere ancora un fonte Battesimale. [...] Il primo che nel Sangue dell'Agnello lavò, qui in Alia, la sua veste l'11 novembre del medesimo anno fu il bambino al quale imposero il nome di Antonino Martino Giuseppe, figlio di Melchiorre e Agata La Rosa»[2]. Era un periodo in cui Lalia (poi Alia) contava ancora pochi abitanti: si pensi che in quell'anno non vi furono altri battesimi e che il Liber defuntorum dello stesso anno annota pochissimi decessi.

L'elezione a Santuario[modifica | modifica wikitesto]

La conclusione dei lavori di edificazione della navata sinistra (vedi infra) costituì l’occasione precipua per portare a compimento un disegno disatteso da parecchi decenni. Il progetto per l’erezione della Chiesa Madre di Alia alla dignità di santuario era già stato avviato nell’immediato dopoguerra, ma la disastrosa crisi economica seguita al secondo conflitto mondiale aveva spinto il clero locale a procrastinarne l’attuazione. Il miglioramento delle condizioni di vita conseguente alle prime emigrazioni, preludio del grande boom economico degli anni ‘60 e della speculazione edilizia degli anni ‘70, permise al neoeletto parroco della parrocchia Matrice, don Michele Botindari, di interpretare i segni dei nuovi tempi e, seguendo in prima persona l’iter burocratico, di concretizzare il sospirato disegno.

Il decreto vescovile di elezione venne firmato l’8 maggio 1957 dal vescovo di Cefalù, Emiliano Cagnoni e registrato nel Volume VIII, foglio 417, nº 607 dal Cancelliere pro tempore, sacerdote Stefano Quagliana. Fatta salva la chiusa, il documento si snoda con uno stile semplice e paternalistico che non disdegna di ricordare come i figli di Alia «pur essendo raggruppati in Parrocchie diverse, condividano la stessa devozione verso l’Inclita Madre delle Grazie e con frequenza salgano alla Chiesa Madre [...] per ottenere protezione nelle molteplici difficoltà della vita presente». Contestualmente, la penitenzieria apostolica vaticana decretava l’elargizione di indulgenze «a coloro che, recitando Ave, Pater e Gloria secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, visiteranno devotamente il Sacro Tempio». La solenne messa pontificale, alla presenza del vescovo di Cefalù, del capitolo canonicale della Basilica Cefaludese, delle autorità civili e militari e di un nutrito gruppo di fedeli fu celebrata il 21 giugno 1957, nello stesso giorno in cui il Papa Pio XII, per mezzo del Sostituto alla Segreteria Vaticana, mons. Angelo Dell'Acqua, faceva giungere un telegramma con l’apostolica benedizione sul clero locale e sul popolo di Dio.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Alia, Chiesa Madre, particolare della decorazione della volta del presbiterio.

L'edificio di culto, dedicato dal vescovo di Cefalù Pietro Corsetto (?) il 4 febbraio del 1639, sorse sulla sommità di un blocco di roccia arenaria, all'apice della collina dell'abitato e nello stesso luogo in cui si trovava la cappella baronale dedicata al Crocifisso. Ancor prima, quindi, della fondazione del Comune e anche se condizionata alla cura di sacerdoti provenienti da paesi vicini, nell’antico feudo baronale dovette svolgersi una prima forma di vita religiosa, a testimonianza della quale rimangono oggi alcune annotazioni di morte risalenti agli anni 1615-1624[3]. La fabbrica seicentesca era originariamente prevista a tre navate e con due campanili, ma la mancanza di fondi arrestò la costruzione al solo campanile di sinistra e all'aula centrale. La navata di destra fu infatti edificata grazie all’opera del canonico Rosolino Costanza e al concorso del popolo aliese nel 1901, mentre quella di sinistra fu costruita per interessamento del parroco, don Michele Botindari, nel 1957, allargando le strutture dell'Ottocentesco Oratorio della Madonna delle Grazie.

La chiesa, preceduta da un largo sagrato, accessibile da due scalinate, presenta una pianta basilicale a tre navate, di cui la maggiore, più larga ed alta delle altre, termina con un'abside in corrispondenza del presbiterio. All'edificio sacro si accede per mezzo di un maestoso portone bronzeo, opera del maestro Pietro Giambelluca[4], che immette all'interno di un endonartece a triplice arcata. La divisione tra le navate è ottenuta da una teorie di cinque pilastri sorreggenti archi a tutto sesto; l'illuminazione è assicurata invece da undici aperture ad arco ribassato nella navata centrale e da tre finestre della medesima tipologia nelle navate laterali. Sulle pareti lunghe di queste ultime si aprono in successione tre esedre a pianta rettangolare, mentre sui lati corti trovano posto rispettivamente la prothesis (a sinistra) e il diakonikon (a destra).

Oltre agli interventi già menzionati, l'edificio ha subito parecchi restauri: alla prima metà del XIX secolo si datano gli stucchi dell'abside, realizzati da Giuseppe Sesta e restaurati dallo stesso stuccatore nella seconda metà del medesimo secolo[5]; al 1861 risale la costruzione dell'altare preconciliare della navata centrale[6]; del 1965 sono le undici vetrate artistiche con temi mariologici, pregevole opera in vetro piombato di Guido Polloni da Firenze, e la pavimentazione in perlato siciliano delle navate; degli anni '80 e '90 del XX secolo sono le tele monumentali del Garozzo, del Bonanno, del Gianbecchina e del Pedone, che decorano le pareti del presbiterio, la volta della navata centrale e le lunette delle aule laterali. Gli interventi artistici più recenti fanno capo all'ultimo ventennio: del 2004 è il magnifico altare a mensa del presbiterio, frutto dell'assemblaggio di rilievi settecenteschi[7], e l'apparato pavimentale del sacrarium.

Il santuario accoglie anche un organo elettro-meccanico del 1973, composto da 18 registri oltre le pedaliere, per un totale di 1200 canne.

Alcune opere rilevanti:
  • Ignoto, Assunzione della Beata Vergine Maria, XVIII secolo, olio su tela, cm 275x178.
  • Totò Bonanno, La Santa Gerusalemme, 1983, olio su tela.
  • Gianbecchina, Crocifissione, 1988, olio su tela, cm 236x228.
  • Gianbecchina, Risurrezione, 1988, olio su tela, cm 236x228.
  • Vincenzo Genovese, Sacro cuore di Gesù, legno policromo, h. cm 165.
  • Filippo Quattrocchi (o sua scuola), Santa Maria delle Grazie, XIX secolo, scultura in legno dipinto, h. cm 160.
  • Filippo Quattrocchi (o sua scuola), Santa Lucia, XIX secolo, scultura in legno dipinto, h. cm 150.
  • Frate Umile da Petralia (?), Crocifisso, XVII secolo, scultura in legno dipinto, h. cm 180.

Pratiche devozionali[modifica | modifica wikitesto]

Le vicende storiche e i capovolgimenti socio-economici che, nelle varie epoche, hanno coinvolto e stravolto Lalia non hanno indebolito né minimamente scalfito il filiale legame degli aliesi con la Madonna delle Grazie; anzi, il rapporto si è sviluppato e diffuso specie nei momenti di difficoltà e calamità, quando “da quell’altare maggiore della Matrice, a cui ricorrevano i vicini di persona e i lontani con la memoria, giungeva conforto e speranza”[8]. Si comprendono così le motivazioni che spingevano gli aliesi, fino a tempi non molto remoti, a deporre ai piedi della statua l’elenco dei soldati richiamati, nella cornice liturgica di specifiche funzioni sacre, in cui i militari, unitamente ai genitori e ai parenti, chiedevano l’intercessione onde scampare ai pericoli bellici. La pia usanza si allargò, dopo la Grande Guerra, a comprendere i giovani che partivano per il semplice servizio di leva: mentre essi raggiungevano la trincea o la caserma, stuoli di sorelle e madri affrante tornavano a pregare nella Matrice per il ritorno dei loro cari e per la pace nel mondo.

Le prime feste che, oltre al Natale, alla Pasqua, all'Ascensione e alla Pentecoste, comuni al mondo cattolico, entrano solennemente a far parte dell'attività religiosa della più antica comunità di Lalia furono tre: quella in onore della Santa Patrona, quella per il Santissimo Crocifisso (seconda domenica di maggio), l'altra del Corpus Domini, preceduta da un ottavario di preghiere e processioni anche nelle contrade vicine. A queste festività, con l'incrementarsi dell'attività religiosa, se ne aggiunsero altre meno solenni, come San Biagio (3 febbraio), il Sacro Volto di Gesù (seconda domenica dopo Pasqua), Cuore di Gesù (seconda domenica dopo l'Ottavario del Corpus Domini), Cuore della Beata Vergine (terza domenica dopo Pentecoste)[9] e Santa Lucia (13 dicembre).

La festività della Patrona si celebrò per circa due secoli l’8 di settembre, giorno in cui la Chiesa ricorda la Natività della Vergine[10]. In tale data i contadini che già avevano il prodotto dell’annata nei granai non dovevano avere difficoltà a contribuire concretamente alla pianificazione del programma. Solo negli anni 50 del XIX secolo, forse per ragioni climatiche, forse per ragioni liturgiche, si preferì anticipare la festa al 2 di luglio. Rimase tuttavia una giornata di grande devozione che trova la sua massima espressione, ieri come oggi, nella folla di fedeli a piedi scalzi in segno di riconoscenza per una grazia ricevuta o di penitenza per una grazia da chiedere. Fino a tempi recenti la processione si apriva con le cavalcature che, bardate a festa con il santino della Madonna in fronte, recavano il frumento per sciogliere in natura i voti promessi. Siffatta tradizione, tranne il saltuario ripetersi di qualche singolo caso, si è ormai perduta, sostituita dall’uso di donare carta moneta, spillata su un apposito stendardo.

Culti e feste erano poi accompagnate da usi e tradizioni in grado di dare una versione popolare della qualità e della profondità di una fede perseguita fino agli estremi. Si tratta di fenomeni che non reggono più come nel passato. Grande concorso di pubblico richiamavano le Quarantore, funzioni corrispondenti al periodo di solenne esposizione del Santissimo Sacramento a riparazione dei peccati. Coincidenti pressappoco con la settuagesima, sessagesima e quinquagesima che precedevano la quaresima, si celebravano soltanto nella Madre chiesa, ma a partire dai primi del Novecento si stabilì un turno anche nella chiesa di S. Anna e san Giuseppe. Il testo comunemente utilizzato per la preghiera è una raccolta di canti e preci di adorazione sacramentale in lingua siciliana, la cui originaria composizione, anche sulla base dell’analisi linguistica, è databile tra la seconda metà del ‘700 e gli inizi dell’800[11]. Protagonisti di questa funzione erano i confrati, che, vestiti in camice bianco e cappuccio onnicoprente, prima di prostrarsi in adorazione del Sacramento, si partivano in ginocchio dall’ingresso della chiesa e, flagellandosi con catene a maglia piatta, si dirigevano verso la balaustra. Il suggestivo rito, praticato sino all’immediato dopo guerra, è stato drasticamente ridimensionato con le innovazioni apportate ai cerimoniali religiosi dal Concilio Vaticano II.

Ritualità come quelle fin qui descritte erano proprie di una società prettamente agricola, la cui capacità produttiva era strettamente connessa alle forze della natura. Manipolare il naturale evolvere degli agenti atmosferici, ricorrendo a quell’Entità “alla cui autorità tutte le cose sono poste”, si traduceva essenzialmente in un buon raccolto agricolo e, di conseguenza, in un miglioramento della propria situazione patrimoniale. Avevano, perciò, ragion d’essere cerimonie come “la scinnuta di li Santi”, la processione con le immagini di tutti i santi protettori in caso di calamità naturali, o il rito dell’aspersione dei quattro punti cardinali dalla terrazza dell’oratorio delle Madonna, onde esorcizzare i venti maligni e richiamare quelli propizi. Ma in una società prettamente terziaria come quella odierna, in cui le puntiformi produzioni agricole affidano il loro successo ai “miracoli” della chimica applicata, cerimonie come queste non trovano naturalmente più posto, finendo per cadere troppo spesso nel baratro di inutili scherni. Non stupisce, allora, il fatto che sia stata travolta dall’ondata di secolarizzazione anche la pia consuetudine dei “sei sabati di Quaresima”, ciascuno dei quali dedicati ad uno dei principali ceti aliesi. I sabati procedevano da quello successivo al mercoledì delle ceneri a quello antecedente la domenica delle palme. La serie si apriva con “lu sabatu di li parrini” e continuava con quelli “di li galantuomini”, “di li mastri”, “di li burgisi”, “di li viddani” e “di li fimmini”. Col tempo il sabato “di li viddani” fu assimilato a quello “di li burgisi”, dando spazio a quello “di li picciotti schietti”, mentre quello “di li fimmini” venne anticipato ad un venerdì. Il programma dei sabato, che ricordano le antiche festività delle corporazioni medioevali, si articolava in una parte strettamente religiosa, consistente nella celebrazione della messa cantata con successiva processione del rispettivo santo patrono, e in una parte ricreativa che spesso si concludeva con una fiaccolata. Fuori dal tempo quaresimale, i sabati erano invece momento propizio per le celebrazioni mariane, curate da una confraternita di sole donne: al loro instancabile operato si deve la costituzione dell’Azione Cattolica parrocchiale nel 1856, il confezionamento ed il restauro di moltissimi paramenti sacri preconciliari e, in collaborazione con una confraternita di contadini anch’essa ormai scomparsa, l’acquisto, negli anni 50 del XX secolo, della scultura della Madonna del Rosario, oggi esposta al culto pubblico su uno degli altari della navata destra. La confraternita fu molto attiva soprattutto in periodo di guerra, quando la Madonna del Rosario, idealmente collegata a quella venerata nel Santuario pompeiano, fu destinataria di speciali funzioni e preghiere[12].

Altre chiese della Parrocchia[modifica | modifica wikitesto]

Rettoria di Santa Rosalia

La chiesa sorge nel quartiere omonimo, nel luogo in cui i contadini del feudo di Lalia, presumibilmente dopo la peste del 1624, avevano eretto una piccola e rustica edicola dedicata alla "Santuzza"[13]. La cappelletta, gravemente danneggiata da una frana, fu sostituita, tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX, dall'attuale omonima chiesa, i cui lavori furono avviati per iniziativa del dott. Gioacchino Guccione e patrocinati con il generoso contributo dei primi emigrati aliesi in America. L'edificio, a pianta centrale con copertura a falda, è preceduta da un esonartece quadrangolare, sulle cui strutture si imposta la torre dell'orologio. Il presbiterio, a pianta quadrangolare e copertura voltata a botte, accoglie un altare a mensa, recentemente realizzato in sostituzione dell'apprestamento preconciliare.

Rettoria dell'Immacolata (Villaggio Chianchitelli)

La chiesa, dedicata all'Immacolata, è stata eretta nel 2010 su progetto dell'ingegnere Aldo Guccione. Presenta una pianta basilicale articolata in tre navate, con pastoforia sui lati brevi delle navatelle e abside in corrispondenza del presbiterio. L'emiciclo di quest'ultimo è decorato a freso con elementi vegetali dalla forte valenza simbolica, secondo la leggenda aurea di frate Jacopo da Varagine[14].

Confraternite[modifica | modifica wikitesto]

Compagnia del Ss. Sacramento

Fondata nel 1692 da padre Vincenzo Filippone dell'ordine dei Frati Minori Riformati di San Francesco[15], è detta "nuova" in quanto risulta essere uno degli ultimi sodalizi voluti dal frate palermitano. Ricevuta l'autorizzazione dal Vescovo di Cefalù Matteo Orlando, primi superiori eletti della confraternita furono Biagio de Miceli (governatore), Giuseppe Barcellona (consigliere maggiore) e Domenico Liasciandra (consigliere minore). All'opera di padre Filippone si deve anche la promulgazione dello statuto della Compagnia, composto in origine da 25 capitoli e ulteriormente ampliato nel 1829 con l'aggiunta di diciassette clausole a cura del Consiglio generale degli Ospizi. I capitoli saranno ufficialmente approvati il 22 giugno 1831.

Compagnia di Maria Santissima di tutte le Grazie

Riconosciuta associazione il 16 aprile 1833 con apposito decreto della Corte di Napoli a firma del re Ferdinando II[16].

Servizi di comunicazione[modifica | modifica wikitesto]

Il Santuario pubblica dal 1957 il periodico semestrale "La Voce della Mamma", è presente sui social e gestisce l'emittente "Radio Veritas Network".

Affiliazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. Coetus Praesbyterorum saecularium S. Pauli Apostoli Ad Sanctae Mariae de Pace Urbis (dato a Roma il 1 giugno 1891, ratificato dalla curia diocesana di Cefalù il 22 giugno ed istituito ad Alia nel settembre dello stesso anno).
  2. Congregazione dei Gesuiti (dato a Roma il 25 marzo 1914).
  3. Vincolo spirituale con la Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma (dato a Roma il 10 novembre 2009).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Archivio di Stato d Palermo, Intendenza di Palermo, busta 1981.
  2. ^ Cfr. Ordo Sacerdotum qui in estremum diem Aliae obierunt.
  3. ^ Liber Batizatorum 1/I, appendice.
  4. ^ I battenti furono commissionati in ricordo del Giubileo del 2000. Cfr. iscrizione dedicatoria sul battente di sinistra.
  5. ^ Leone Cardinale 1907, 250.
  6. ^ La recente scoperta dell'iscrizione dedicatoria dell'altare ha evidenziato come la sua costruzione fosse stata patrocinata dalla famiglia Guccione e da alcuni benefattori aliesi e come la sua dedicazione fosse avvenuta nell'ottobre del 1861. Poiché è impensabile che un edificio di culto possa aver vissuto per più di due secoli senza un altare, si è giustamente pensato che l'attuale fosse stato costruito in sostituzione di quello più antico. Per un approfondimento sulla questione si veda Di Carlo, 2018, 7.
  7. ^ I rilievi (4 paraste a motivi fitomorfi e 3 pannelli con la raffigurazione della colomba dello Spirito Santo e di due Angeli) facevano parte della teca marmorea della Dormitio Virginis, smontata negli anni '60 del XX secolo.
  8. ^ Cfr. Guccione 1991b, 20
  9. ^ Questa festività fu introdotta dal vescovo di Cefalù Spoto (Cfr. Guccione 1991a, 134).
  10. ^ Sulla celebrazione della festa patronale nella Solennità della Natività della Vergine si veda Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato, Polizia, busta 298, doc. 1266.
  11. ^ Una conferma a questa proposta cronologica proviene da un'autorizzazione manoscritta del vescovo di Cefalù, Agatino Maria Riggio e Statella, datata 1753 (Cfr. Archivio parrocchiale Matrice di Alia, La Sacra Veglia o veramenti disposizioni d'affetti di voti da praticarsi ogni giovedì nelli radunanzi chi si fannu a la prisenza di lu SS. Sacramentu di l'altari dedicatu a S. Micheli Arcangilu primu zelanti di l'onuri di Diu). Dal titolo del medesimo libello si ricava che in origine la pratica della Sacra Veglia si svolgeva settimanalmente ogni giovedì e che quindi solo in un secondo momento essa venne confinata alla pratica delle Quarantore.
  12. ^ Preziosa testimonianza di queste preghiere è un quaderno manoscritto appartenuto alla signora Giuseppina Federico e oggi custodito dagli eredi. Il culto alla Madonna del Rosario affonda comunque le sue radici nell'apostolato dei sacerdoti Giuseppe Todaro, Ignazio Todaro e Giuseppe Ciro Todaro, vissuti tra il 1716 e il 1793, ai quali si deve anche un particolare culto per l'Immacolata.
  13. ^ GUCCIONE 1991a, 123.
  14. ^ L'impianto iconografico-simbolico è stato suggerito da Crispino Valenziano. I lavori di decorazione sono stati ultimati nel 2016.
  15. ^ Archivio di Stato di Palermo, Direzione generale di polizia, busta 324.
  16. ^ Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato, Polizia, busta 162, fascicolo 911.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • E. Di Carlo, Eccezionale scoperta epigrafica. Ritrovata un'iscrizione ottocentesca nella pavimentazione absidale del nostro Santuario, in La Voce della Mamma 2/2018, 7.
  • E. Guccione, Storia di Alia 1615-1860, Caltanissetta - Roma 1991.
  • E. Guccione (a cura di), Fede e tradizione ad Alia, Palermo 1991.
  • C. Leone Cardinale, Alia, in F. Nicotra (a cura di) Dizionario illustrato dei comuni siciliani, Palermo, 1907.