Indipendentismo siciliano

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Bandiera del Movimento indipendentista siciliano

L'indipendentismo siciliano (nnipinnintisimu sicilianu in lingua siciliana), o anche separatismo siciliano, è una corrente politica che propugna l'indipendenza della Sicilia dall'Italia e da qualunque altro Stato in generale.

Ideologia

L'indipendentismo siciliano si basa sul principio secondo cui la Sicilia è una nazione che possiede una propria storia, una propria cultura e una propria lingua e sull'affermazione del fatto che la Sicilia non raggiungerà il suo massimo sviluppo culturale, sociale ed economico, qualora essa continuasse a far parte del sistema statale italiano o non avesse una propria architettura statale indipendente, responsabile e autonoma. Un altro caposaldo di tale corrente politica è la totale avversione per l'associazione a delinquere Cosa Nostra e per qualsiasi organizzazione di stampo mafioso[1][2][3].

Storia

Antecedenti

Sebbene l'idea d'indipendenza, nel senso moderno del termine, sia nata solo col Romanticismo, accompagnata da quella di Stato-nazione, furono molte le idee di emancipazione dell'isola siciliana. È possibile annotare, tra gli esempi, la rivolta dei Siculi con Ducezio, o, nel periodo romano, quella degli schiavi con Euno.

Il Vespro

Il Vespro siciliano è considerato il progenitore dell'indipendentismo moderno, infatti fu un movimento di separazione dallo straniero che all'epoca era il francese angioino.

Le rivolte contro i viceré

Alla fine della sua indipendenza come regno (prima metà del Quattrocento), la Sicilia si trovò ad essere un vicereame spagnolo, il che causerà un profondo declino economico ed un malessere generale del popolo che viveva in miseria. Le rivolte del 1647 di Messina e quelle dell'anno successivo che si ampliarono in tutta l'isola, ebbe due personaggi di spicco: Giuseppe D'Alesi e Nino La Pelosa, che cercheranno di cacciare via i viceré (va ricordato che spesso molti di essi erano dei nobili siciliani) per istituire una repubblica indipendente, ma questa durerà solo per un breve periodo. Degna di nota la Rivolta antispagnola di Messina, tra il 1674 ed il 1678, la città dello Stretto si sollevò contro la dominazione spagnola. Messina ambiva a diventare una repubblica oligarchica e mercantile sulla falsariga di Genova e Venezia. La rivolta fu repressa nel sangue e la città ribelle venne dichiarata "morta civilmente".

Il separatismo del Di Blasi

Francesco Paolo Di Blasi può essere considerato alla pari di Giuseppe D'Alesi e Nino La Pelosa un separatista repubblicano e non solo[senza fonte]. Il martire palermitano fondò un'accademia linguistica siciliana per rivalutare la lingua dell'isola e per cercare di istituire una sorta di identità siciliana anche nei ceti sociali più bassi. Di Blasi, è affascinato dalle dottrine della rivoluzione francese e quindi cercherà in tutti i modi di fondare una repubblica siciliana, scoperto verrà decapitato nel 1795.

XIX secolo e le rivolte anti borboniche

Per la prima volta nella storia siciliana l'indipendentismo riesce a raggiungere la parte più bassa e povera del popolo. Tutto il secolo XIX è impregnato di ideali indipendentisti e nazionalisti; il popolo spesso organizza rivolte che si tramutano in rivoluzioni non appena coinvolgono la classe borghese dell'isola. La vera novità di questo secolo è l'impulso degli ideali romantici e nazionalisti che rapidamente permettono la nascita in tutta Europa di movimenti più o meno organizzati che promuovono l'idea di nazionalità e di liberazione nazionale. Se nel continente però questi ideali vengono "canalizzati" da un'élite o da un'avanguardia borghese che permette di trasformare in fatti e prassi ciò che era un ideale popolare astratto, in Sicilia siamo di fronte a un vero e proprio movimento libero che di rado trova organizzazione e punti di riferimento stabili, anche per colpa di una classe politica che non ha mai saputo interpretare la volontà popolare o non ha saputo approfittare della situazione che poteva esserle favorevole. Questo, insieme alle continue repressioni dei sovrani di turno, spiega il fallimento delle rivoluzioni nazionali e l'intermittenza nel tempo dell'interesse nei confronti degli ideali nazionalisti siciliani[senza fonte].

Sino al 1814, il Regno di Sicilia aveva mantenuto il proprio autogoverno, rappresentato dal Parlamento Siciliano, nonostante l'unione personale (ovvero unico Re per due Regni) con il Regno di Napoli del Re; esso riservava tuttavia maggiori attenzioni verso quest'ultimo, provocando grave malcontento nel popolo siciliano. Nel 1806, il Re Ferdinando I di Borbone, scappando da una Napoli occupata da Napoleone, si rifugia in Sicilia, ove ad attenderlo vi sono gli onori dell'occasione, ma non solo: i Siciliani chiedono a gran voce una Costituzione che sappia garantire una stabilità dello Stato e maggiore certezza di diritto. Spinto indirettamente anche dagli interessi economici che gli inglesi avevano sull'Isola, Ferdinando concede la Costituzione, di chiara ispirazione inglese, che ben presto diverrà esempio di liberalità per i tempi. Nel 1814, però, a seguito del Congresso di Vienna, il Re Ferdinando I di Borbone, compie un vero e proprio colpo di mano: riunisce Regno di Sicilia e Regno di Napoli sotto una sola Corona, cioè quella del neonato Regno delle Due Sicilie, eliminando il Parlamento Siciliano che dichiara de facto decaduto. La monarchia borbonica compie la sua restaurazione, non ripristina l'unione dei regni di Napoli e di Sicilia nello status quo ante 1789, bensì fa un balzo indietro di cinque secoli e mezzo e restaura il regno di Carlo I d'Angiò[4].. L'atto viene visto dalla classe politica siciliana come un affronto verso quello che ininterrottamente, e da circa 700 anni, era stato un regno indipendente a tutti gli effetti. Quasi immediatamente ha inizio una campagna anti-borbonica, accompagnata da una propaganda dell'identità siciliana, soprattutto per voce delle élite di Palermo. Ciò sfocia, nel 1820, ad una rivoluzione, a Palermo, che porta all'insediamento di un governo provvisorio, dichiaratamente separatista. Tuttavia, la mancata coordinazione delle forze delle varie città siciliane, porta all'indebolimento del potere del governo provvisorio (Messina e Catania osteggiarono la rivendicazione di Palermo a voler governare l'Isola), che ben presto decade sotto i colpi della repressione borbonica che ebbe come vittima anche il patriota carbonaro Gaetano Abela. Il fallimento di questa prima rivoluzione tuttavia non scoraggia le forze politiche sicilianiste, che riproveranno circa 20 anni più tardi.

La rivoluzione del 1848

Nel gennaio del 1848, dopo una prolungata crisi economica, a Palermo, a Chiazza dâ Feravecchia, ha inizio una nuova rivoluzione indipendentista, capitanata da Giuseppe La Masa. Dopo sanguinosi scontri, La Masa, al comando dell'esercito popolare, riesce a scacciare la luogotenenza generale e gran parte dell'esercito borbonico dalla Sicilia, costituendo un «comitato generale rivoluzionario» dagli inizi di febbraio. Il comitato generale istituisce un governo provvisorio a Palermo; tra le felicitazioni generali e l'ottimismo, Ruggero Settimo, un liberale moderato appartenente alla nobiltà siciliana, viene nominato presidente. Il 13 aprile il parlamento siciliano completa l'indipendenza con una nuova delibera in cui si afferma: "1) Ferdinando Borbone e la sua dinastia sono per sempre decaduti dal Trono di Sicilia., 2) La Sicilia si reggerà a Governo Costituzionale, e chiamerà al Trono un principe Italiano dopoché avrà riformato il suo Statuto"[5].

Ma all'ottimismo ben presto succederà la disillusione; le forze politiche in coalizione appaiono infatti assai in contrasto: vi è nutrita presenza di liberali moderati, contrapposta a democratici e a qualche mazziniano.
I campi che accendono la miccia delle rivalità sono soprattutto l'istituzione di una Guardia Nazionale e del suffragio universale, entrambe sostenute soprattutto da Pasquale Calvi, membro democratico del governo
[senza fonte]. Intanto, nonostante l'appoggio concreto delle città siciliane al governo provvisorio di Settimo, le aree rurali diventano scarsamente controllate, e agitazioni contadine mettono in serie difficoltà le amministrazioni locali. La repressione borbonica dell'estate del 1849, contro un governo provvisorio ormai instabile, decretava la fine dell'esperienza del 1848-1849 e la creazione di una frattura totalmente insanabile tra la classe politica siciliana e quella napoletana, gettando di fatto le fondamenta per l'appoggio alla spedizione dei mille, vista inizialmente come "ultima spiaggia" per poter liberarsi dai Borbone[senza fonte].

Rivolte anti italiane

Ma già pochissimi anni dopo la spedizione dei mille e l'annessione dell'Isola al Regno di Sardegna, scoppiano in tutta l'isola focolai di ribellione contro gli "italo-piemontesi", come quella a Palermo nota come rivolta del sette e mezzo. Nella notte tra il 15 ed il 16 di settembre del 1866, circa 4 000 contadini dalle campagne circostanti Palermo, raggiungono la città, l'assaltano e spingono la popolazione alla ribellione. Fonti governative, parlano di circa "40 mila uomini in arme". Alla rivolta partecipano anche ex-garibaldini, pentitisi d'aver appoggiato la spedizione per le gravi conseguenze portate alla Sicilia. La marina italiana, coadiuvata da quella inglese, decide di reprimere la rivolta bombardando la città dal porto: il risultato è di oltre un migliaio di morti, ed i sopravvissuti vengono arrestati ed in alcuni casi condannati a morte[senza fonte].

Il separatismo di Finocchiaro Aprile e Canepa

Lo stesso argomento in dettaglio: Movimento Indipendentista Siciliano.

L'indipendentismo siciliano attraversa un altro periodo di lustro dal 1943 al 1950 circa, con la nascita del Movimento Indipendentista siciliano. Il 12 giugno 1943, in occasione della caduta di Pantelleria, viene diffuso un proclama separatista da parte del sedicente Comitato d'azione provvisorio che nelle settimane successive diventa Comitato per l'indipendenza Siciliana, Dopo sbarco Alleato nell'isola, il movimento separatista si rafforza ulteriormente allargando il consenso presso le masse. La fine del fascismo viene legata all'improcrastinabile dissoluzione dell'Unità italiana. Principale promotore dell'iniziativa fu Andrea Finocchiaro Aprile, considerato il padre del separatismo siciliano contemporaneo. I punti principali sono: autodeterminazione e Sicilia repubblica indipendente. Altra figura di grande spicco è quella di Antonio Canépa, di idee socialiste rivoluzionarie, professore universitario della Regia Università di Catania, antifascista, agente dei servizi segreti britannici e già partigiano. Canepa è il fondatore dell'EVIS, l'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia che inizia la propria attività nel febbraio del 1945 in risposta alla "riconsegna" Alleata della Sicilia al governo italiano[6]. La nascita di tale organizzazione, la cui esistenza non venne pubblicamente appoggiata dal MIS, (anzi fu osteggiata da alcuni suoi dirigenti come Antonino Varvaro, anche lui di sinistra), venne motivata quale risposta alla crescente «repressione coloniale italiana». Lo stesso Canepa, insieme ai due giovani militanti Rosano e Lo Giudice, è ucciso nei pressi di Randazzo in uno scontro a fuoco con i carabinieri la mattina del 17 giugno 1945 in circostanze ancora non del tutto chiare. Dopo la morte di Mario Turri (nome di battaglia di Canepa) le fila dell'esercito - rimpinguate da noti mafiosi come Salvatore Giuliano e Rosario Avila - passano al comando di Concetto Gallo[7]. L'azione delle bande armate mette duramente alla prova le forze dell'ordine con assalti a convogli, camionette, a caserme e stazioni provocando un alto numero di vittime. Inizia la guerra allo Stato. Il Governo risponde con l'invio della divisione Aosta - in appoggio alla Sabauda - e della brigata Garibaldi. Il principale scontro armato ha luogo a San Mauro di Caltagirone il 29 dicembre 1945. Le truppe italiane, in soverchiante numero, riescono ad avere ragione delle forze eviste e arrestano Gallo. Ulteriori operazioni in grande stile ridimensionano l'Evis e permettono allo Stato di intavolare le trattative con i separatisti che condurranno all'Autonomia speciale del 1946. Il MIS continuerà a sopravvivere ma, ormai svuotato dei suoi contenuti, si scioglierà nel 1951[8].

Organizzazioni odierne

Diverse organizzazioni e partiti hanno fatto riferimento a questa corrente politica, come il Fronte Nazionale Siciliano, di ispirazione socialista e progressista (fondato nel 1964), oppure il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, costituitosi ufficialmente nel 2004, che ha esplicitamente ripreso l'ideologia del MIS (ritenendo che non sia mai intervenuto uno scioglimento formale).

In generale questi gruppi ambiscono all'indipendenza per via pacifica e democratica, evocando il diritto all'autodeterminazione della Sicilia. Tuttavia, tali propositi sono ormai definitivamente lontani dal consenso popolare, come testimoniano i risultati elettorali riguardo alle elezioni regionali del 2006 e quelli circa le elezioni politiche del 2008, sebbene sia necessario evidenziare che molti partiti non aspirano ad una vera e propria indipendenza, ma piuttosto ad una forte autonomia siciliana.

Note

  1. ^ http://www.mis1943.eu/Statuto%20Lgs-Gis.pdf
  2. ^ Politiche 2013 - Programma del MIS - Scomunicando
  3. ^ http://fns-siciliaindipendente.org/wp-content/uploads/statutu/statutu.pdf
  4. ^ Francesco Renda, Storia della Sicilia dalle origini ai giorni nostri - Vol.II Da Federico III a Garibaldi, Palermo, Sellerio Editore, 2003. ISBN 8838919143 pag. 783
  5. ^ Decreti in Collezione di Leggi e Decreti Del General Parlamento di Sicilia nel 1848 Anno 1° della Rigenerazione, Palermo, Stamperia Pagano-Via Macqueda laterale S. Orsola, n. 321-322, 1848
  6. ^ Antonello Battaglia, La fine del conflitto e la parabola del separatismo siciliano, in L’Italia 1945-1955, la ricostruzione del paese e le Forze Armate, pp. 432-233.
  7. ^ Antonello Battaglia, Sicilia contesa. Separatismo, guerra e mafia, Roma, Salerno, 2014.
  8. ^ Antonello Battaglia, Il Separatismo siciliano nei documenti dello SME e del SIM, in Le operazioni interforze e multinazionali nella storia militare, pp. 858-874.

Voci correlate

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