Galleria Spada

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Lo stesso argomento in dettaglio: Palazzo Spada.
Galleria Spada
Palazzo Spada: la facciata.
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàPalazzo Spada
IndirizzoPalazzo Spada - Piazza Capo di Ferro, 13
Coordinate41°53′39.1″N 12°28′19″E / 41.894194°N 12.471944°E41.894194; 12.471944
Caratteristiche
TipoArte, Pinacoteca
Istituzione1927
Apertura1927
GestioneMinistero per i beni e le attività culturali - Direzione Musei statali di Roma
DirettoreAdriana Capriotti
Visitatori51 857 (2018)[1]
Sito web

La Galleria Spada è ospitata nell'omonimo palazzo, che si trova in piazza Capo di Ferro a Roma. Il palazzo è famoso anche per la sua facciata, e per la falsa prospettiva del Borromini. La galleria espone pitture del XVI e XVII secolo.

Di proprietà statale, dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali la ha gestito tramite il Polo museale del Lazio, e dal dicembre 2019 attraverso la Direzione Musei statali di Roma.

La finta prospettiva del Borromini[modifica | modifica wikitesto]

La Galleria prospettica del Borromini
Sezione longitudinale della Galleria prospettica.
Pianta della Galleria prospettica.

Transitando nel cortile del Palazzo giungendo dall'ingresso principale, sulla sinistra si scorge, mediante un'apertura centrale sbarrata da un cancello in noce, la galleria con la prospettiva che si inoltra oltre il piccolo giardino di melangoli; la galleria si presenta nella sua forma attuale dopo gli ultimi restauri. La finta prospettiva è creata sull'illusione che la galleria sia lunga circa 35 metri, mentre in realtà è lunga 8,82 metri. L'illusione è dovuta al fatto che i piani convergono in un unico punto di fuga; così, mentre il soffitto scende dall'alto verso il basso, il pavimento mosaicato sale. Anticamente, sulla parete di fondo era disegnato un finto motivo vegetale che accentuava il senso prospettico. Attualmente sul fondale si trova il calco di una statuetta di guerriero di epoca romana. La galleria fu costruita in un solo anno, tra il 1652 e il 1653, da Borromini, aiutato dal Padre agostiniano Giovanni Maria da Bitonto. La Galleria è frutto dell'interesse di Bernardino Spada per la prospettiva e i giochi prospettici: egli probabilmente attribuiva a questa galleria il significato dell'inganno morale e dell'illusione delle grandezze terrene. Inizialmente la galleria presentava degli affreschi di Giovanni Battista Magni, in seguito sostituiti da un colonnato.[2]

La storia[modifica | modifica wikitesto]

La Galleria - dal dicembre 2014 in gestione al Polo Museale del Lazio - fu fondata nel 1927, dopo che lo Stato Italiano, nel novembre dell'anno precedente, l'aveva acquistata, e la formò in Palazzo Spada insieme al Consiglio di Stato. Negli anni quaranta del XX secolo, a causa della guerra, fu chiusa. Nel 1948, Federico Zeri divenne Direttore della Galleria Spada: egli si impegnò e recuperò la maggior parte dei dipinti, allora dispersi in vari luoghi, grazie all'interessamento dell'allora sovrintendente delle Gallerie di Roma Achille Bertini Calosso. Quando la Galleria venne riaperta nel 1951, Zeri ne curò il riordino, compilando il Catalogo delle opere facenti parte del Museo, ancor oggi una pietra miliare per gli studi della Storia dell'Arte del Barocco Romano. Zeri cercò di ricreare nelle quattro sale del museo il primitivo aspetto sei-settecentesco, pertanto oggi la Galleria Spada si presenta come un esempio superstite di pinacoteca antica. I quadri sono disposti sulle pareti in file successive e si integrano con gli arredi, i mobili e le sculture del museo. La maggior parte delle opere esposte deriva dalla collezione di Bernardino Spada e, in misura minore, da altre collezioni, tra cui quella di Virgilio Spada.[3]

Struttura museale[modifica | modifica wikitesto]

Il museo è sito al primo piano del palazzo, nell'ala appartenuta al cardinale Girolamo Capodiferro, che lo aveva fatto costruire su edifici preesistenti di proprietà della famiglia dal 1548[3]

Sala I[4]
Viene chiamata Stanza dei Papi, per via delle cinquanta iscrizioni illustranti la vita di alcuni pontefici, volute dal cardinale Bernardino. Viene chiamata anche Stanza del Soffitto Azzurro, per via del soffitto ricoperto da una tela turchina suddivisa in tanti piccoli vani detti camerini da verno. Le decorazioni del soffitto a cassettoni sono del 1777.
Sala II[4]
Fu realizzata contemporaneamente alla III sala. Fu decorata nella zona alta delle pareti da fregi pitturati a tempera su tela da Perin del Vaga. Il resto delle pareti venne dipinto con boiseries oggi scomparse.
Sala III[4]
Viene chiamata anche "Galleria del Cardinale". Fu progettata nel biennio 1636-37, insieme alla precedente, da Paolo Maruscelli per porvi la collezione di Bernardino Spada. Il soffitto è a travicelli. Alcune porte-finestre immettono in ballatoi, uno dei quali è munito di una ringhiera in ferro che si affaccia sul giardino grande.
Sala IV[4]
Fu fatta edificare al posto di una terrazza in legno che prospettava sul giardino grande. In questa sala sono esposte opere di scuola caravaggesca.

Opere conservate nel museo[modifica | modifica wikitesto]

Le opere più importanti sono:

Inoltre opere di:

Interessante anche il mappamondo celeste e quello terrestre dei primi decenni del XVIII secolo, opere dell'olandese W. Blaeu.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Visitatori e introiti dei musei Archiviato il 21 giugno 2019 in Internet Archive.. Aggiornato al 15 febbraio 2019.
  2. ^ Autori Vari, La prospettiva del Borromini, in Maria Lucrezia Vicini (a cura di), Guida alla Galleria Spada, Roma, Gebart s.r.l., 1998, p. 10-12.
  3. ^ a b Autori Vari, La Galleria di palazzo Spada, in Maria Lucrezia Vicini (a cura di), Guida alla Galleria Spada, Roma, Gebart s.r.l., 1998, p. 5-10.
  4. ^ a b c d Autori Vari, Il museo, in Maria Lucrezia Vicini (a cura di), Guida alla Galleria Spada, Roma, Gebart s.r.l., 1998, p. 13-92.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Maria Lucrezia Vicini, Galleria Spada (Visita guidata), Roma, Rotostampa, giugno 1997.
  • Federico Zeri, La Galleria Spada in Roma, Firenze, 1954.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN144072528 · ISNI (EN0000 0001 2331 6399 · LCCN (ENn85225113 · J9U (ENHE987007604163405171 · WorldCat Identities (ENlccn-n85225113