Casa Scaccabarozzi

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Casa Scaccabarozzi
Fetta di polenta
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegionePiemonte
LocalitàTorino
Indirizzovia Giulia di Barolo 9
Coordinate45°04′04.17″N 7°41′48.93″E / 45.067826°N 7.696926°E45.067826; 7.696926
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1840-1881
StileNeoclassico con influenze eclettiche
AltezzaTetto: 24 m
Piani9 (7 fuori terra)
Realizzazione
ArchitettoAlessandro Antonelli
CostruttoreSocietà Costruttori di Vanchiglia

Casa Scaccabarozzi, comunemente nota ai torinesi come Fetta di polenta (Fëtta 'd polenta in piemontese), è un edificio storico di Torino situato nel quartiere Vanchiglia, all'angolo tra corso San Maurizio e via Giulia di Barolo; in passato fu nota anche come «Casa luna» e «la spada».[1]

La sua particolarità e l'origine del suo soprannome risiedono nel suo color giallo ocra e soprattutto nella singolare pianta trapezoidale e molto sottile dell'edificio, simile a una "fetta di polenta" appunto, e che fa sì che uno dei prospetti laterali misuri appena cinquantaquattro centimetri.[2]

Progettata da Alessandro Antonelli, il nome ufficiale deriva dal cognome della moglie dell'architetto, Francesca Scaccabarozzi, nobildonna originaria di Cremona.[3][4] La coppia visse nell'edificio soltanto per pochi anni, per trasferirsi poi nell'edificio adiacente, sempre di progettazione antonelliana, di via Vanchiglia 9, angolo corso San Maurizio.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Una fotografia della Fetta di polenta negli anni trenta
La lapide dedicata alla memoria di Niccolò Tommaseo posta sopra l'ingresso

Intorno al 1840 fu edificato, per volere dei marchesi di Barolo, il sobborgo un tempo noto come il quartiere del moschino, coincidente con l'attuale quartiere Vanchiglia, per via dei numerosi insetti dovuti alle vicinanze dei fiumi Po, e Dora Riparia.

Le costruzioni furono realizzate dalla Società Costruttori di Vanchiglia, alla quale si aggregò l'architetto Antonelli, futuro padre della vicina Mole Antonelliana. Egli progettò anche altri edifici residenziali nel quartiere, compresa la sua residenza di via Vanchiglia 9, angolo corso San Maurizio, riconoscibile per essere l'unico edificio con i portici presente sul summenzionato corso.

Come compenso per i lavori gli fu ceduto anche il piccolo terreno sull'angolo sinistro di Via dei Macelli, coincidente con l'attuale via Giulia di Barolo, tuttavia di esigua area. Fallite le trattative per acquistare il terreno confinante, forse per scommessa o forse per sfida, decise quindi di costruire un edificio da reddito con un appartamento per ciascun piano, malgrado l'esiguo spazio a disposizione e recuperando in altezza ciò che non poteva sfruttare in larghezza.[5]

L'edificio venne costruito in più fasi: nel 1840 vennero realizzati i primi quattro piani e, in un secondo tempo, ne vennero aggiunti altri due; nel 1881, come ulteriore dimostrazione di destrezza tecnica, venne aggiunto l'attuale ultimo piano.[6]

Vinta la sfida, Antonelli donò l'edificio a sua moglie. Ormai divenuto il simbolo del quartiere, l'edificio, che per l'epoca si opponeva alle regole classiche in fatto di costruzioni, si guadagnò presto il soprannome di "Fetta di polenta" in virtù dell'inconsueta planimetria trapezoidale e per il prevalente colore giallo. Inoltre divenne noto anche per ospitare al pian terreno il Caffè del Progresso, storico ritrovo torinese di carbonari e rivoluzionari.[7]

Per fugare i dubbi sulla sua stabilità e per sfidare chi sosteneva che l'edificio sarebbe crollato, Antonelli vi si trasferì per qualche anno ad abitarci con la moglie. A ulteriore smentita di questa comune diceria contribuì anche la capacità di resistere indenne all'esplosione della regia polveriera di Borgo Dora, avvenuta il 24 aprile 1852, che lesionò gravemente molti edifici della zona. Inoltre, successivamente, resistette anche al sisma del 23 febbraio 1887, che danneggiò parte del quartiere; infine fu risparmiato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale che colpirono duramente gli isolati circostanti.

Immagine aerea della parete cieca

Nel 1974, in occasione del centenario della morte di Niccolò Tommaseo, il Comune di Torino pose una lapide in memoria del suo soggiorno nell'edificio nel 1859. Tra il 1979 e il 1982 l'edificio fu oggetto di un primo importante restauro e di una particolare decorazione dei suoi interni ad opera dell'architetto e scenografo Renzo Mongiardino, che operò su tutti i nove piani dell'edificio, trasformandolo in un'unica unità abitativa.[8]

Annoverato tra gli edifici tutelati dalla Soprintendenza per i Beni architettonici del Piemonte, nel marzo del 2005 l'edificio fu oggetto di un'asta giudiziale disposta dal Tribunale di Torino[9] e venne definitivamente aggiudicato alla terza tornata d'asta nel gennaio del 2006. Tra l'estate del 2007 e la primavera del 2008 lo stabile è stato interessato da un globale intervento di ristrutturazione interna e da un attento restauro conservativo commissionato dalla nuova proprietà. Dal marzo 2008 al maggio 2013 ha cambiato destinazione d'uso, diventando il contenitore dei progetti della galleria Franco Noero, ritornando quindi allo stato di abitazione privata nell'estate del 2013, pur mantenendo al suo interno installazioni di arte contemporanea visitabili privatamente.

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Una vista dell'esiguo prospetto laterale destro

Per comprendere ancor meglio la sfida che Antonelli si prefissò di vincere, basta osservare le dimensioni dei lati di questo curioso edificio a pianta trapezoidale: circa 16 metri su via Giulia di Barolo, 4,35 metri su corso San Maurizio e appena 54 centimetri di parete dalla parte opposta a quella del corso.[2][10]

Prospetto, sezione e pianta

L'edificio, costruito interamente in pietra e mattoni, è composto complessivamente da 9 piani di altezze differenti, tutti collegati da una stretta scala a forbice in pietra, per un'altezza complessiva di 24 metri. Sette piani sono fuori terra, mentre due sono sotterranei ed è proprio la profondità delle fondamenta che conferisce all'edificio la sua stabilità. Nel lato di 54 centimetri, per ottimizzare al massimo lo spazio, Antonelli ha ricavato un cavedio per collocarvi il condotto della canna fumaria, parte delle condutture idriche e, originariamente, locali per i servizi igienici a tutti i piani, per ciascun appartamento;[5] il prospetto retrostante, opposto a via Giulia di Barolo, è invece completamente privo di finestre mentre, osservandolo dal corso, l'edificio presenta una lieve pendenza verso la via attigua.

Antonelli dedicò particolare cura ai dettagli e dotò l'edificio di ampie finestre e numerosi balconi; essi sono aggettanti come i cornicioni e le finestre stesse appaiono come estroflesse. L'utilizzo di quest'espediente è una soluzione progettuale che Antonelli attuò per guadagnare il maggior spazio possibile all'interno dell'edificio. A causa delle strette rampe della scala, è impossibile condurre carichi ingombranti ai vari piani. A tal proposito, originariamente, per effettuare traslochi ed eventuali spostamenti venne installata una carrucola all'ultimo piano, ancora visibile da via Giulia di Barolo.[11]

I prospetti principali sono caratterizzati da uno stile eclettico, con decorazioni neoclassiche e lesene con rilievi geometrici ripetuti a tutt'altezza. La vistosa cornice in corrispondenza del quarto piano svela la propria precedente funzione di cornicione sottotetto nella prima fase di elevazione dell'edificio; complessivamente sono presenti otto balconi[12] e all'ultimo piano il ballatoio, che corre ininterrottamente lungo i prospetti delle facciate principali, è stato realizzato sulla base del cornicione del precedente tetto risalente alla seconda fase di elevazione.

Renzo Mongiardino nel bagno turco della Fetta di Polenta, 1998
Fetta di formaggio

Fino all'importante intervento di decorazione degli interni operato dall'architetto Renzo Mongiardino nel 1979, l'edificio era suddiviso in singole unità immobiliari per ciascun piano. Fu proprio ad opera dell'architetto, amico dell'allora proprietario, che gli interni e gli arredi assunsero un aspetto omogeneo, donando all'abitazione una linearità e organicità di per sé improbabili proprio in virtù delle sue caratteristiche fisiche. Lo stesso Mongiardino ammise che la sensazione finale fu quella di «abitare in una torre formata dalla sovrapposizione di molti vagoni ferroviari»[13], autonomi ma sapientemente connessi.

Tra il 2007 e il 2008 gli interni sono stati radicalmente ristrutturati, esaltando e valorizzando tutti gli elementi architettonici originali del progetto antonelliano e mantenendo alcuni degli elementi decorativi di pregio realizzati da Mongiardino, tra cui la nicchia dell'ultimo piano, che ospita una singolare vasca da bagno in muratura rivestita a mosaico collocata in cima all'ultima rampa di scale, il bagno turco del secondo piano interrato,[14] la bellissima cucina, la decorazione delle scale e altri accessori.

Contestualmente a questi ultimi lavori di ristrutturazione è stato eseguito anche un restauro conservativo conclusosi nel marzo 2008; nell'ottica di riconfigurare il disegno del prospetto originario affacciato su corso San Maurizio e di restituire l'accesso diretto al locale commerciale del piano stradale, è stato ripristinato il portone d'accesso che venne chiuso durante la ristrutturazione della fine degli anni settanta per ospitare una finestra.

Nei dintorni, al di là di corso San Maurizio, in via Vanchiglia 8 angolo via Verdi, si trova il casino Birago di Vische, anch'esso a pianta trapezoidale, sebbene meno accentuata. Per similitudine, viene soprannominato Fetta di formaggio e fu realizzato su progetto del 1847 a firma dall'architetto Reycend per il facoltoso marchese Birago. Alessandro Antonelli ne studiò qualche anno dopo la sopraelevazione, che però non verrà effettuata a sua firma, ma nel 1854 su progetto dell'architetto Trocelli.

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Daniela Finocchi, La Fetta di Polenta, foto di Paola Visintini, Torino Magazine, estate 1989, pp. 42-44.
  2. ^ a b Roberto Gabetti, Alessandro Antonelli, a cura di M. Lupano, Milano, Clup, 1989, pp. 127-133.
  3. ^ Giovan Battista di Crollalanza, Annuario della nobiltà italiana, Bari, Ed. Giornale Araldico, 1895, p. 1075.
  4. ^ Osvaldo Guerrieri - I Torinesi, su neripozza.it. URL consultato il 19 ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2017).
  5. ^ a b Mila Leva Pistoi, Torino: mezzo secolo di architettura 1865-1915. Dalle suggestioni post-risorgimentali ai fermenti del nuovo secolo, Tipografia Torinese, 1969, pp. 40-41 e 70-86.
  6. ^ Politecnico di Torino, Dipartimento casa città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, vol. 1, Società degli ingegneri e degli architetti in Torino, 1984, p. 450.
  7. ^ In memoria di questo storico ritrovo esiste ancora attualmente un locale denominato "Caffè del Progresso" nelle immediate vicinanze.
  8. ^ Bruno Gambarotta, Nella casa più pazza del mondo, in La Stampa, 9 aprile 2008. URL consultato il 28 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 27 gennaio 2020).
  9. ^ Marina Paglieri, La Fetta di polenta va all'asta, in la Repubblica, 10 marzo 2005. URL consultato il 28 dicembre 2013.
  10. ^ Franco Noero, Per tutti la Fetta di Polenta, su torino.mylocalguide.org, mylocalguide, 22 aprile 2013. URL consultato il 17 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 17 dicembre 2013).
  11. ^ La “fetta di polenta”, su museotorino.it, MuseoTorino.
  12. ^ M. Centini, La grande enciclopedia di Torino, Roma, Newton & Compton Editori, 2003, p. 267.
  13. ^ Renzo Mongiardino, Architettura da camera, Milano, RCS Libri, 1998, p. 64.
  14. ^ Andrea Simone Mongiardino, Renzo Mongiardino, una vita per l'arte, su spettacolarmente.net, 12 gennaio 2013. URL consultato il 25 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2020).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giovan Battista di Crollalanza, Annuario della nobiltà italiana, Bari, Ed. Giornale Araldico, 1895.
  • Mila Leva Pistoi, Torino: mezzo secolo di architettura 1865-1915. Dalle suggestioni post-risorgimentali ai fermenti del nuovo secolo, Tipografia Torinese, 1969.
  • Politecnico di Torino, Dipartimento casa città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, vol. 1, Società degli ingegneri e degli architetti in Torino, 1984.
  • Roberto Gabetti, Alessandro Antonelli, a cura di M. Lupano, Milano, Clup, 1988.
  • Daniela Finocchi, La Fetta di Polenta, Torino Magazine, estate 1989, pp. 42–44.
  • Franco Rosso, Alessandro Antonelli 1798-1888, contributi di Roberto Gabetti e Vittorio Nascè, Electa, Milano, 1989, pp. 229–231.
  • Renzo Mongiardino, Architettura da Camera, a cura di Francesca Simone, Officina Libraria, Milano, 2016, pp. 70–79.
  • Mitchell Owens, Tall and well stacked, photographs by Derry Moore, "Nest", issue two, fall 1998, pp. 74–85.
  • Renzo Mongiardino, Architettura da camera, a cura di Fiorenzo Cattaneo, RCS Libri, Milano, 1998, p. 62-66.
  • Renzo Mongiardino, Roomscapes, edited by Fiorenzo Cattaneo, Rizzoli International Publications, New York, 1998, pp. 62–66.
  • Massimo Centini, La grande enciclopedia di Torino, Roma, Newton & Compton Editori, 2003.
  • AA.VV., Rooms, photographs by Derry Moore, editor Joseph Holtzman, text by Carl Skoggard, Rizzoli International Publications, New York, 2006, pp. 224–237.
  • Oscar Humpries, The House of Illusion, "Apollo", November 2010, pp. 56–61.
  • Laura Verchère, Renzo Mongiardino. Décors et Fantasmagorie, Assouline, Parigi, 2013, pp. 4, 50, 183.
  • Patrick Kinmonth, Of lampshades and lavishness. A tribute to Renzo Mongiardino, "A New", issue one, spring/summer 2013, pp. 76–77.
  • Renzo Mongiardino, Roomscapes, edited by Francesca Simone, Officina Libraria, Milano, 2016, pp. 70–79.
  • Omaggio a Renzo Mongiardino 1916-1998, a cura di Tommaso Tovaglieri, Officina Libraria, Milano, 2016, pp. 53–54.
  • Omaggio a Renzo Mongiardino 1916-1998, a cura di Tommaso Tovaglieri, Castello Sforzesco Milano, 2016, guida alla mostra, cit. 145-149.
  • Galleria Franco Noero, A House of Three Corners, testi di Kirsty Bell e Sergio Pace, Torino, 2019
  • Silvia Nani, Vivere in una fetta di polenta, Corriere della sera, pp 11, 6 luglio 2019
  • Michele Masneri, La Polenta degli Spiriti, Il Foglio, pp 13, 27 luglio 2019

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]