Variazione del tempo di transito

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Animazione della variazione dei tempi di transito in un sistema a un solo pianeta in confronto a un sistema a due pianeti. Credit: NASA/Kepler Mission.

La variazione del tempo di transito (abbreviata TTV, dall'inglese Transit-Timing Variation) è un metodo per rilevare pianeti extrasolari osservando le variazioni dei tempi di un transito. Ciò fornisce un metodo estremamente sensibile in grado di rilevare pianeti aggiuntivi nel sistema, con masse potenzialmente piccole come quella della Terra.

In sistemi planetari numerosi, l'attrazione gravitazionale reciproca dei pianeti fa sì che un pianeta acceleri e un altro pianeta deceleri mentre compie la sua orbita; l'accelerazione fa cambiare il periodo orbitale di ogni pianeta. Il rilevamento di questo effetto misurando il cambiamento è noto come variazione dei tempi di transito .[1][2][3] L'analisi della "variazione temporale", se esiste, permette quindi di rilevare la presenza di un pianeta non transitante in un sistema dove c'è almeno un pianeta che transita davanti alla propria stella.[4]

Il primo rilevamento significativo di un pianeta non in transito, utilizzando le variazioni dei tempi di transito, è stato effettuato con il telescopio Kepler della NASA. Un pianeta in transito attorno alla stella Kepler-19, ossia Kepler-19 b, ha mostrato una variazione del tempo di transito con un'ampiezza di 5 minuti e un periodo di circa 300 giorni, indicando la presenza di un secondo pianeta, Kepler-19 c, che ha un periodo che è un multiplo del periodo del pianeta in transito.[4][5]

La variazione dei tempi di transito è stata rilevata per la prima volta in modo convincente per i pianeti Kepler-9 b e Kepler-9 c e ha guadagnato popolarità nel 2012 come metodo per scoprire esopianeti.[6]

La TTV può anche essere utilizzata per misurare indirettamente la massa degli esopianeti in sistemi compatti a più pianeti e/o in sistemi i cui pianeti sono in catene risonanti, come nel caso di TRAPPIST-1, dove è stato possibile stimare le masse e le eccentricità orbitali dei sei pianeti interni.[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ The Transit Timing Variation (TTV) Planet-finding Technique Begins to Flower, su nasa.gov. URL consultato il 6 febbraio 2021 (archiviato dall'url originale il 25 settembre 2021).
  2. ^ Jason H. Steffen et al., Transit timing observations from Kepler – VII. Confirmation of 27 planets in 13 multiplanet systems via transit timing variations and orbital stability, in Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, vol. 428, n. 2, 2013, pp. 1077–1087, DOI:10.1093/mnras/sts090, arXiv:1208.3499.
  3. ^ Holman e Murray, The Use of Transit Timing to Detect Extrasolar Planets with Masses as Small as Earth, in Science, vol. 307, n. 1291, 2005, pp. 1288–91, DOI:10.1126/science.1107822, PMID 15731449, arXiv:astro-ph/0412028.
  4. ^ a b Marco Malaspina, Il pianeta c’è ma non si vede, su media.inaf.it, Istituto nazionale di astrofisica, 2012.
  5. ^ Invisible World Discovered, su kepler.nasa.gov, NASA. URL consultato il 5 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 1º aprile 2017).
  6. ^ Michele Johnson, NASA's Kepler Announces 11 Planetary Systems Hosting 26 Planets, su nasa.gov, 26 gennaio 2012. URL consultato il 6 febbraio 2021 (archiviato dall'url originale il 25 settembre 2021).
  7. ^ Michaël Gillon et al., Seven temperate terrestrial planets around the nearby ultracool dwarf star TRAPPIST-1 (PDF), vol. 542, 23 febbraio 2017, pp. 456–460, DOI:10.1038/nature21360.
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