Utente:Zanekost/Sandbox/Le storie romane di Ca' Dolfin

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Giambattista Tiepolo, Muzio Scevola davanti a Porsenna (bozzetto), 1726-1729, olio su tela, 48,3 x 27 cm, Digione, Musée Magnin. Si tratta dell'unico bozzetto sicuramente autografo della serie.[1]

Le Storie romane di Ca' Dolfin sono un gruppo di dieci grandi tele dipinte da Giambattista Tiepolo per la sala da cerimonia del palazzo della famiglia patrizia Dolfin a San Pantalon, Venezia. Attualmente sono divise tra l'Ermitage di San Pietroburgo, il Kunsthistorisches Museum di Vienna e il Metropolitan Museum of Art di New York.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinti formavano una serie di dieci opere raffiguranti alcune storie dell'antica Roma repubblicana dipinte per il salone maggiore del palazzo della famiglia Dolfin, del ramo di San Pantalon, nel sestiere di Dorsoduro e, appunto, nella parrocchia a San Pantalon. È l'ultimo ciclo di teleri realizzati dal pittore veneziano al termine del suo periodo di giovanile tra il 1725 e il 1730 e, che segnando il passaggio alla fase più matura e creando qui un nuovo modo di fare pitture di stroria, contribuì a far considerare Tiepolo tra i migliori artisti del rococò.[2]

L'autoritratto di Giambattista Tiepolo che spunta dal bordo del Trionfo di Mario, unico dipinto datato (1729) come conclusivo la serie.

Fu Daniele III Giovanni Dolfin (1654-1729) che in procinto di partire per l'incarico di bailo (ambasciatore) a Costantinopoli, ormai settantenne, decise che fossero ultimate le decorazioni del salone del palazzo sul rio di Ca' Foscari. La scelta di commissionare le opere agli artisti considerati più celebri o promettenti a quel tempo fu consigliata dal fratello Dionisio Dolfin (1663-1734), patriarca di Aquileia. Questi aveva già commissionato prima al cavalier Bambini e al quadraturista Antonio Felice Ferrari alcuni lavori per la nuova biblioteca patriarcale e poi al Tiepolo le decorazioni del palazzo patriarcale di Udine.[3] Bambini e Ferrari avevano già finito da qualche anno gli affreschi della volta del palazzo con una grandiosa Apoteosi di Venezia, ora spettava al relativamente giovane Tiepolo realizzare, negli spazi già predisposti da incorniciature a fresco imitanti degli stucchi, una serie di tele di guerresche storie romane.

Daniele III Giovanni, non ebbe certo modo di vedere le opere del Tiepolo, non fece mai ritorno da Costantinopoli dove morì nel 1729; inoltre a quel tempo non aveva ancora deciso a chi affidare le desiderate pitture e inftti nel suo testamento redatto prima della partenza per questa ultima missione affermava[4]:

«Se Dio me darà vita farò dipingere dalli più celebri pitori li quadri che sono nella sala»

Molto probabilmente il ciclo fu materialmente commissionato dall'altro fratello, Daniele IV Gerolamo, morto anch'egli nel 1729. E certamente questi, che già Capitano ed anche Capitano Generale da Mar di battaglie ben se ne intendeva, ebbe modo di apprezzarle almeno durante il corso della loro realizzazione.[5] La stesura del ciclo impegnò Tiepolo dal 1726 al 1729 alternando gli inverni per gli oli del palazzo veneziano e dedicando le estati agli affreschi udinesi.[6]

Jean-Honoré Fragonard, Studi dal Trionfo di Mario e dalla Presa di Cartagine, 1761, matita su carta, 45,1 x 33 cm, Pasadena, Norton SImon Museum. Annotato «Tiepolo – Palazzo Delphino – Venise». Fu uno dei numerosi studi dagli originali disegnati durante il viaggio in Italia di Fragonard con l'abate di Saint-Non; furono a Venezia tra l'aprile i primi di giugno del 1761.

La serie godette di una certa buona fama nel Settecento portando diversi intenditori a vistare il palazzo durante il loro tour veneziano. Ce ne resta memoria nei disegni eseguiti in loco da Jean-Honoré Fragonard nel 1761. L'Abate di Saint-Non, con cui si accompagnava, si espresse in toni più secchi: dopo aver affermato che «fra le migliori cose che [Tiepolo] abbia fatto a Venezia sono i grandi affreschi [sic] in una sala del palazzo Dolfin a San Pantaleone, lavori nei più bei colori e di un seducente effetto compositivo»[7] conclude però che [Tiepolo è] «plutôt pour un homme de goût que pour un grand maître» (piuttosto un uomo di gusto che un grande maestro). Giudizio che però, nella severità tipica dell'abate, risulta quasi un complimento.[8]

Le tele ed il palazzo rimasero proprietà della famiglia ancora per due generazioni e alla morte nel 1798 dell'ultimo erede del ramo di San Pantalon, l'ambasciatore Daniele I Andrea, passarono alla sorella Cecilia, sposata con Francesco Lippomano. Da Cecilia passarono al genero Giovanni Querini Stampalia e questi nelle sue ultime volontà del 1869 decise la creazione della Fondazione Querini Stampalia a cui lasciò tutte le proprietà. Per riuscire a pagare le onerose tasse di successione la Fondazione fu costretta a vendere il palazzo di san Pantalon, ormai disabitato e abbandonato da oltre sett'anni, con tutte le opere che conteneva all'antiquario Michelangelo Guggenheim.[9]

La vendita fu accolta con indifferente sufficienza della critica ufficiale, per esempio Giovanni Morelli scriveva al cugino, il collezionista Giovanni Melli, giudicando l'acquirente come un dilettante incompetente ed esprimendo stupore per il prezzo raggiunto nella vendita; qualche mese dopo tornava sull'argomento in una lettera a Austen Henry Layard affermando che se i dipinti del Tiepolo erano pieni di spirito e brio rimanevano comunque poco più che decorazioni e quanto a chi li comperava concludeva con un secco de gustibus non est disputandum.[10]

La sistemazione dei tre dipinti ora al Metropolitan Musuem sulle scalinate del palazzo del barone Eugen von Miller zu Aichholz a Vienna (1913 circa).

Nel 1872 Guggenheim riuscì a vendere le le tele al barone ed industriale austriaco Eugen von Miller zu Aichholz per 50.000 lire a fronte delle 6.000 pagate alla fondazione.[11] Nel 1876 sempre Guggenheim vendette il palazzo all'architetto Giovanni Battista Brusa che decise di colmare le lacune lasciate dai quadri con le attuali grandi specchiere anticheggianti. Von Aichholz fece adattare le tele ad una forma squadrata per mascherare la sagomatura mistilinea originaria. L'intervento fu fatto per lo più aggiungendo delle pezze in testa ed in base ma talvolta ritagliando piccole strisce.

Inizilmente il barone non disponeva ancora di uno spazio sufficiente ad esporre tutte le tele (il suo palazzo sotto al Belvedere era ancora in costruzione[12]) né è chiaro cosa intendesse farne. Difatti le pose tutte in vendita ad un'asta parigina dove il nobile pietroburghese Aleksandr Aleksandrovič Polovstev ne acquistò cinque (Veturia ferma Corialano, il Trionfo di Scipione, Muzio Scevola e Porsenna, Fabio Massimo davanti al senato cartaginese e la Dittatura offerta a Cincinnato). Quest'ultimo le donò all'Accademia Stieglitz di San Pietroburgo nel 1886 e furono poi incamerate dall'Ermitage nel 1934. Aichholz sistemò le tele maggiori attorno allo scalone del nuovo palazzo mentre mise nuovamente all'asta le due tele più piccole nel 1900, senza riuscire a venderle. Alla morte del barone il palazzo viennese, con tutte le sue collezioni, fu acquistato nel 1919 da Camillo Castiglioni, finanziere di Trieste.[13] Castiglioni nel 1930 vendette ad un prezzo di favore i due pezzi più piccoli (Bruto e Arrunte e Annibale contempla la testa di Asdrubale) al Kunsthistorisches Museum. In cambio, per le rimanenti tre (la Battaglia di Zama, la Presa di Nuova Cartagine e ilTrionfo di Mario), ottenne l'autorizzazione ad esportarle in Svizzera. Qui smontate dai telai ed arrotolate rimasero a disposizione di Stefan Mendl, come pegno per un prestito e passarono in sua piena proprietà nel 1935. Mendl si trasferì negli Stati Uniti dove non poté mai esporre queste opere, troppo grandi per la sua nuova residenza newyorkese e le conservò in un deposito, sempre arrotolate con l'esclusione di due ispezioni nel 1942 e 1951.[14] Nel 1965 furono offerte in vendita dall'amministrazione della tenuta di Mendl e entusiasticamente acquistate dal Metropolitan Museum.[15]

Le opere al Kunsthistorisches mantennero la sagomatura originaria, al Metropolitan provvidero prima a rendere comprensibile la forma originaria con dei pannelli di copertura attaccati alle cornici poi, nel restauro del 1979, dipinsero un colore neutro sopra le aree aggiunte infine nel 1995 furono accuratamente restaurate e risagomate.[16] All'Ermitage i dipinti rimasero, e sono ancora, nella forma squadrata.[17]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Le commissioni per i fratelli Dolfin, sia la serie di tele per il palazzo veneziano che gli affreschi per la sede patriarcale di Udine, furono i lavori finali del periodo giovanile del Tiepolo e ne rappresentano il passaggio nella maturità.

Tiepolo certamente eseguì i due cicli contemporaneamente, tra il 1726 ed il 1729, dedicando gli inverni alle tele veneziane e la più adatta stagione estiva agli affreschi udinesi.[18] Nelle preferenze dei committenti veneti di scegliere per le loro proprietà tecniche di realizzazione definitive, durature ed inamovibili come l'affresco questo ciclo risulta come un'anomalia (forse problema associazione con soffitto tardo barocco)[19].

progressione segnata dalla crescente padronanza cromatica e prospettica dal Trionfo tarantino a quello di Mario[20]

Sebbene ormai, dopo la Pace di Passarowitz, Venezia si fosse ripiegata nella neutralità, ed eroismo e battaglie fossero irripetibili, nella rievocazione di un remoto passato riuscì ad introdurre a Venezia un nuovo e altisonante stile eroico. Pur mantenendo una forte teatralità Tiepolo non indulse all'estetizzazione – era tipico in quell'epoca basarsi principalmente sui modelli dati dall'opera musicale – quanto al mantenimento dell'intensità espressiva nella drammatizzazione[21]. Mettendo in pratica il consiglio dell'erudito drammaturgo Scipione Maffei di «mettere studio grande nell'esprimer passioni» offrì ai due fratelli, l'uno combattivo diplomatico l'altro valoroso militare, delle visioni in cui celebrare le proprie vicende.[22] Di fatto solo Daniele IV Girolamo potrà compiacersi delle opere, Daniele III Giovanni partì prima che il lavoro iniziasse per ricoprire il delicato incarico di bailo (ambasciatore) a Costantinopoli dove morì nel 1729 senza mai poter rivedere Venezia.

scoperta delle possibilità narrative della luce (e Piazzetta)[23] non solo uno schiarimento dei colori e una ripresa dei cromatismi veronesiani alla maniera di Ricci e Pellegrini ma anche suo unico un sapiente accostamento di colori (quasi) complementari cosa di cui si era accorto già Luigi Lanzi [24] [Manuela Piai. Il “Veronese revival” nella pittura veneziana del ’700]

La permanenza degli alloggiamenti delle tele solo parzialmente modificati per inserirvi gli specchi ottocenteschi[25] assieme all'orientamento delle luci che asseconda l'illuminazione naturale proveniente dalle grandi finestre sul rio di Ca' Foscari[26] consente una prima tracciatura della disposizione dei dipinti.

Roma=pretese origini gens romane

Roma repubblicana=Repubblica venezia

Nemico di oltremare cartaginesi= ottomani («Lo stato e le sue esigenze nei confronti dell'individuo costituiscono il tema. Roma conquista – specialmente la sua tradizionale nemica Cartagine (qui si potrebbe leggere Venezia contro l'impero ottomano)»[27]

Storia di Roma come simbolico dell'impegno diplomatico e militare dei Dolfin[28][29]

Nei due Trionfi Tiepolo risolse il problema del prevalente orientamento verticale delle tele ruotando l'andamento del corteo dalla tradizionale vista laterale in un incedere verso l'interno della sala (ispirazione sicura il Trionfo di Mardocheo del Veronese a San Sebastiano)[30]

oltre battaglie ruolo diplomatico= fabio massimo

equivoci sui soggetti

Tema romano = famiglie veneziane

Tema repubblicano = fedeltà veneziana

Daniele Giovanni diplomatico + Daniele Gerolamo militare

fonti Floro e Livio

tituli in studi della Stcherbachova

disposizione esatta tele

nuovo stile pittorico primo studio Monica Centanni metter in relazione allegorie con tele



fonti generali — in Tiepolo 1996: Pedrocco scheda pp. 86-103; Barcham (in pittura di storia) pp. 106-109 — in Splendori: Mariuz (periodo storico del ciclo) pp.221-222 — in Pedrocco-Gemin (stile)pp. 61-63, (schede) 258-262


1. Veturia ferma Coriolano[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Veturia ferma Coriolano, 1726-1729, olio su tela, 387 x 224 cm, Ermitage.


Volumnia e i figli pregano Coriolano




(LA)

«[…] ut Coriolanum colere agros iubentem – nec minus ille ferociter iniuriam armis vindicasset, nisi quod iam inferentem signa filium mater Veturia lacrimis suis exarmavit – […]»

(IT)

«[…] poichè Coriolano imponeva di coltivare i campi (e nondimeno avrebbe crudelmente vendicato l'offesa con le armi, se sua madre Veturia, con le sue lacrime, non avesse disarmato il figlio che già marciava contro [di noi]) […]»



2. Il Trionfo di Manio Curio Dentato[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Trionfo di Manio Curio Dentato, 1726-1729, olio su tela, 550 x 322 cm, Ermitage

o Trionfo di Scipione (Africano o Emilano ?) o Trionfo Tarantino

dipinto forse tra i primi nel1726 e comunque prima della fine dei dipinti per Palazzo Sandi (affìnità figure)[31]

(LA)

«Sed bello et pace,foris et domi omnem in partem Romana virtus tumse adprobavit, nec alias magis quam 1àrentina victoria ostendit populi Romani fortitudinem, senatus sapientiam, ducum magnanimitatem. Quinam illi juerunt viri quos ab elephantis primo proelio obtritos accepimus? […] Quid porro ipsi duces? Vel in castris, cum medicum venale regis caput offerentem Curius remisit […] vel in pace, cum Curius fictilia sua Samnitico praeferret auro […]. Quis ergo miretur his moribus, ea virtute militum victorem populum Romanum fuisse, unoque bello Tarentino intra quadriennium maximam partem ltaliae, fortissimas gentes, opulentissimas urbes uberrimasque regiones subegisse?»

(IT)

«Ma, sia in guerra e come in pace, sia all'estero come in patria, sotto tutti gli aspetti si rivelò allora il valore Romano, mai maggiormente di quanto la vittoria di Taranto manifestò la forza del popolo Romano, la saggezza del Senato, la magnanimità degli dei. Quale sorte d'uomini furono quelli che sappiamo esser stati maciullati dagli elefanti nella prima battaglia? […] Come furono gli stessi comandanti? Sia durante la campagna [di guerra] quando Curio respinse il medico che offriva per denaro la testa del re […] sia in [tempo] pace quando Curio preferì il suo vaso di terracotta all'oro dei Sanniti […] Chi si meraviglierà della sua condotta, del coraggio da soldato, quando il popolo Romano riuscì vincitore e che nella sola guerra di Taranto, in quattro anni, avesse sottomesso la maggior parte dell'Italia, le genti più valorose, le città più ricche, le regioni più fertili?»

Nel medaglione ovale il monocromo di Antonio Felice Ferrari ?, Allegoria del Decoro.
(LA)

«Nec enim temere ullus pulchrior in urbem aut speciosior triumphus intravit. Ante hunc diem nihil praeter pecora Volscorum, greges Sabinorum, carpenta Gallorum, fracta Samnitium arma vidisses: tum si captivos aspiceres, Molossi, Thessali, Macedones, Bruttius, Apulus atque Lucanus; si pompam, aurum, purpura, signa, tabulae Tarentinaeque deliciae. Sed nihil libentius populus Romanus aspexit quam illas, quas timuerat, cum turribus suis beluas, quae non sine sensu captivitatis submissis cervicibus victores equos sequebantur.»

(IT)

«Non c'è dubbio che mai fosse entrato nella città un trionfo più bello e appariscente. Prima di quel giorno non si erano visto altro che gli armenti dei Volsci, le greggi dei Sabini, i carri dei Galli, le armi spezzate dei Sanniti; questa volta, se si osservavano i prigionieri, [c'erano] Molossi, Tessali, Macedoni, Bruzi, Apuli e Lucani; se [si osservava] il corteo c'era oroo, porpora, insegne, tavole e preziosità tarantine. Ma il popolo Romano nulla vide con maggiore piacere di quelle belve, che aveva temuto, con le loro torri e, non senza un sentimento per la loro prigionia, i vinti che a capo chino seguivano i cavalli.»

3. Muzio Scevola[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Muzio Scevola davanti a Porsenna, 1726-1729, olio su tela, 387 x 227 cm, Ermitage.

Muzio Scevola davanti a Porsenna

La dedica della rappresentazione del leggendario episodio a Daniele IV Girolamo, è evidente: questi infatti perse veramente quattro dita della mano sinistra in una battaglia contro i turchi[32]



(LA)

«"En, ut scias", inquit "quem virum effugeris; idem trecenti iuravimus"; cum interim - immane dictu - hic interritus, ille trepidaret, tanquam manus regis arderet.»

(IT)

«Disse "Ecco, perché tu sappia a quale sorte d'uomini sei sfuggito; siamo in trecento ad aver giurato ugualmente" e – cosa portentosa – egli [rimase] intrepido mentre gli altri tremavano, come se fosse la mano del re ad ardere.»

Un paio di decenni più tardi il cognato Francesco Guardi si basò su questo quadro, ma forse per la corrispondenza del braciere tripode più sul modelletto ora Digione, per la sua versione del medesimo soggetto[33]

4. Bruto e Arrunte[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Bruto e Arrunte, 1726-1729, olio su tela, 383 x 182 cm, Kunsthistorisches Museum.

Bruto e Arrunte

resta oscuro quando e il motivo per cui il quadro venne titolato Eteocle e Polinice, titolo ancora utilizzato da Aldo Rizzi nel catalogo della mostra del 1971.[34]

(LA)

«[…] Tarquinii tamen tam diu dimicaverunt, donec Arruntem filium regis manu sua Brutus occidit superque ipsum mutuo volnere expiravit, plane quasi adulterum ad inferos usque sequeretur.»

(IT)

«[…] I Tarquini combatterono comunque finché Arrunte, il figlio del re, uccise di sua mano Bruto che, per la reciproca ferita, spirò sul suo corpo, quasi come volesse perseguitare l'usurpatore fino negli inferi.»

5. Annibale contempla la testa di Asdrubale[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Annibale contempla la testa di Asdrubale, 1726-1729, olio su tela, 383 x 182 cm, Kunsthistorisches Museum.

Annibale contempla la testa di Asdrubale




(LA)

«Certe Hannibal re cognita cum projectum fratris caput ad sua castra vidisset, "Agnosco" inquit "infelicitatem Carthaginis". Haec fuit illus viri non sine praesagio quidam fati inminentis prima confessio.»

(IT)

«Certamente Annibale comprese l'accaduto nel vedere la testa del fratello [Asdrubale] lanciata dentro il suo accampamento: disse "Riconosco la sfortuna di Cartagine". Tale fu la prima ammissione di quest'uomo non senza il presagio del destino incombente.»

Jean-Honoré Fragonard, Annibale, 1761, matita su carta, 45,1 x 33 cm, Pasadena, Norton SImon Museum.







6. La dittatura offerta a Cincinnato[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, La dittatura offerta a Cincinnato, 1726-1729, olio su tela, 387 x 227 cm, Ermitage.

La dittatura offerta a Cincinnato


(LA)

«Medium erat tempus forte sementis, cum patricium virum innixum aratro suo lictor in ipso opere deprehendit. Inde in aciem profectus, victos, ne quid a rustici operis imitatione cessaret, more pecudum sub iugum misit.»

(IT)

«Si era in piena epoca di semina quando i littori trovarono il patrizio all'opera di spingere l'aratro. Partiti quindi per il campo di battaglia, fece passare gli sconfitti sotto il giogo al modo del bestiame, come per non dimenticarsi dalle pratiche contadine.»




7. Trionfo di Mario[modifica | modifica wikitesto]

(data nel medaglione appeso)[35]

invece che cortei andanti visti di fianco qui sono ruotati di novanta gradi come se volessero invadere la sala [++ meglio articolato dell'altro trionfo+colore maturo ][36]

probabilmente ultimo della serie presenta un autoritratto (non il primo) = luce radente / ateggiameneto nel voltarsi di scatto verso l'osservatore / spavalderia[37]

Giambattista Tiepolo, Trionfo di Mario, 1726-1729, olio su tela, 559 x: 327 cm, New York, Metropolitan Museum of Art.
Nel medaglione ovale il monocromo di Antonio Felice Ferrari ?, Allegoria del Consiglio.






Trionfo di Mario

(LA)

«Sic fraudulentisssimus regum fraude gener soceri sui in insidias deductus Syllae in manum traditur, tandemque opertum catenis. Jugurtham in triumpho populus romanus aspexit.»

(IT)

«Fu così che Giugurta, il più fraudolento re della frode, genero ingannato dalle insidie del suocero e consegnato a Silla, fu esposto coperto di catene nel trionfo davanti al popolo romano.»

Jean-Honoré Fragonard, Rilievi di figure (dal Trionfo di Mario e La presa di Nuova Cartagine), 1761, matita su carta, 45,1 x 33 cm, Pasadena, Norton SImon Museum.


8. Fabio Massimo davanti al Senato cartaginese[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Fabio Massimo davanti al Senato cartaginese, 1726-1729, olio su tela, 387 x 224 cm, Ermitage


Fabio Massimo davanti al Senato cartaginese

(LA)

«Tergiversantibus Poenis dux legationis, "Quae", inquit "mora est?" Fabius "In hoc ego sinu bellum pacemque porto; utrum eligitis?". Subclamantibus "bellum", "bellum igitur" inquit "accipite". Et excusso in media curia togae gremio non sine horrore, quasi plane sinu bellum ferret effudit.»

(IT)

«Poiché i Punici tergiversavano Fabio, il capo della delegazione, domandò "Cos'è questa dilazione?". "Io porto in questa sede la pace ed anche la guerra; quale preferite?". Quando questi gridarono "Guerra!" aggiunse "Allora guerra avrete". E, al centro del Senato non senza suscitare terrore, scosse il fronte della propria toga e lo lasciò ricadere come se effettivamente contenesse la guerra.»

Jean-Honoré Fragonard, Fabio Massimo davanti al senato cartaginese, 1761, matita su carta, 45,1 x 33 cm, Pasadena, Norton SImon Museum.







9. La Presa di Nuova Cartagine[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Presa di Nuova Cartagine, 1726-1729, olio su tela, 411.5 x 377 cm, New York, Metropolitan Museum of Art.

Nell'interpretazione delle due scene di battaglia, evidentemente situate di fronte alle finestre in base alle dimensioni delle incorniciature, si sono proposte diverse ipotesi. La perdita dei tituli in entrambe ha reso particolarmente difficile recuperare il passo di riferimento in Floro. Le tele avevano subito numerosi rimaneggiamenti subito dopo la vendita: erano stati subito aggiunte delle pezze per trasformare il profilo da modanato a rettangolare con le ovvie ridipinture per armonizzare i pezzi aggiunti. Le pezze furono poi mascherate con un colore brunastro e neutro quando, nel 1971, entrarono nelle collezioni del Metropolitan. Solo con i restauri del 1995 tornarono ad una forma vicina a quella originaria.[38] Infatti non era più possibile dedurre l'estensione delle smussature dei due angoli in basso a causa delle alterazioni effettuate dal Brusa nelle stesse parti delle incorniciature.[39]

Georg Pencz, La presa di Nuova Cartagine, incisione tratta dai distrutti arazzi disegnati da Giulio Romano, Los Angeles County Museum of Art.

L'interpretazione critica aveva sempre cercato di basarsi su di una presunta successione cronologica degli eventi rappresentati. In questo caso Molmenti, nel 1909, proponeva come uno degli attori principali del ciclo l'imperatore Aureliano e, di conseguenza suggeriva di identificare le due battaglie come la Presa di Palmira e come un momento di Combattimento tra romani e asiatici, ipotesi e accettata anche da Euduard Sack nel 1910. Nel 1931 Fiocco riportò le storie nell'ambito della Roma repubblicana identificando Mario come attore principale delle storie e proponendo quindi per l'altra il titolo di Battaglia di Vercelli, in cui Mario sconfissa i Cimbri e per questa, senza motivazioni esplicite, la Presa di Cartagine.[40] Nel 1980 George Knox, sulla base degli scritti di Da Canal che narravano di Tiepolo come autore di «battaglie e i trionfi di Coriolano» a Ca' Dolfin, proponeva per questa la Presa di Corioli, e per l'altra Battaglia contro i Volsci.[41] I titoli proposti da Fiocco rimasero comunque quelli preferiti anche quando la Centanni nel 1998 propose per questo Furio Camillo salva Roma dai Galli.

Tuttavia restava la questione della mancata corrispondenza con le storie narrate: Cartagine fu sconfitta prima nel mare e la scena rappresenta un assedio in terraferma, Coriolano non venne mai onorato con un trionfo e quanto scritto da Livio sulla presa di Corioli non sembra trovare corrispondenza in ciò che dipinse Tiepolo e, nell'ultima ipotesi, la veduta di una presunta Roma risulta mancare dei riferimenti iconografici che dovevano essere noti a Tiepolo.[42]

Una più recente e credibile interpretazione è stata proposta da Valentina Conticelli identificando il soggetto nella Presa di Nuova Cartagine [43]

Jean-Honoré Fragonard, La presa di Nuova Cartagine, 1761, matita su carta, 45,1 x 33 cm, Pasadena, Norton SImon Museum.
(LA)

«In Hispaniam missi Gnaeus et Publius Scipiones paene totam Poenis eripuerant, sed insidiis Punicae fraudis oppressi rursum amiserant, magnis quidem illi proeliis cum Punicas opes cecidissent. Set Punicae insidiae alterum ferro castra metantem, alterum, cum evasisset in turrem, cinctum facibus oppresserunt. Igitur in ultionem patris ac patrui missus cum exercitu Scipio, cui iam grande de Africa nomem fata decreverant, bellatricem illam, viris armisque nobilem Hispaniam, illam seminarium hostilis exercitus, pusilli illam iam Hannibalis eruditricem - incredibile dictu - totam a Pyrenaeis montibus in Herculis columnas et Oceanum recuperavit, nescias citius an felicius. Quam velociter, quattuor anni fatentur: quam facile, vel una civitas probat. Eodem quippe quo obsessa est die capta est, omenque Africanae victoriae fuit, quod tam facile vieta est Hispaniae Carthago.»

(IT)

«Gneo e Publio Scipione, inviati in Spagna, l'avevano quasi completamente strappata ai Punici; tuttavia, caduti nei tranelli dei Cartaginesi, l'avevano di nuovo perduta anche se al termine delle battaglie avevano inferto pesanti perdite alle formazioni puniche. Ma erano caduti nelle insidie puniche: l'uno con l'accampamento sterminato dalle lame, l'altro rifugiato nella torre assediata dalle fiamme. Così Scipione, cui il fato aveva già decretato la grandezza del nome dall'Africa, fu inviato con un esercito a vendicare il padre e la patria e [giunto] nella bellicosa Spagna (sia nobile per uomini ed armi, sia vivaio dell'esercito nemico, sia educatrice di Annibale) e – incredibile a dirsi – la recuperò tutta, dai Pirenei alle Colonne d'Ercole e all'Oceano, non si può dire se più rapidamente o abilmente. Con quale rapidità lo dimostrano i quattro anni [impiegati], con quale abilità lo prova una città. Nuova Cartagine, che nel medesimo giorno assediata e conquistata così abilmente, fu presagio della vittoria in Africa.»


10. Rinominare Battaglia di Zama la Battaglia di Vercelli?[modifica | modifica wikitesto]

Giambattista Tiepolo, Battaglia di Zama, 1726-1729, olio su tela, 411.5 x 377 cm, New York, Metropolitan Museum of Art.

Battaglia di Vercelli



(LA)

«Non fuit maior sub imperio Romano dies quam ille, cum duo omnium et ante et postea ducum maxime duces, ille Italiae, hic Hispaniae victor, conlatis comminus signis direxere aciem.»

(IT)

«Non ci fu giorno più grande sotto il dominio romano che quando i due massimi condottieri di tutti i tempi, vincitori l'uno in Italia e questo in Spagna, diressero le insegne sul campo di battaglia nello scontro corpo a corpo.»


REFF[modifica | modifica wikitesto]

tituli, Uomini Famosi, fatti antichi

[44]

Altro in Terzo centenario…

  • Giuseppe Barbieri, «Esser dentro, camminargli a suo talento, cercarne ogni angolo più riposto»: Giambattista Tiepolo e l' architettura, p132 (schemi architettoni in Fabio Massimo)
  • Liliana Cargnelutti, Attorno al Tiepolo: l'ambiente friulano tra decoro urbano ed economia di villa, p177 (nuovo eruditismo udinese)
  • Centanni
  • Conticelli
  • Sergio Marinelli, Vicende veronesi di Giambattista Tiepolo, corrispondenza modelli busti romani p.43 (trionfatore Mario = Caracalla / Cincinnato e Scipione = Lucio Vero)
  • Giuseppe Pavanello, Tiepolo e la scultura: dalla copia all'invenzione, corrispondenza modelli romani p166, 169n18 (ara Muzio Scevola)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Christiansen, Le decorazioni di Ca' Dolfini in Tiepolo 1996, pp. 102-103 n. 22.
  2. ^ Mariuz 1995b, p. 351; Mantoan-Quaino, p. 222.
  3. ^ Mantoan-Quaino, p. 182.
  4. ^ Pedrocco 1996, p. 97.
  5. ^ Mariuz 1995b, p. 352.
  6. ^ Pedrocco-Gemin, p. 258.
  7. ^ Citato in Christiansen 1998, p. 11; lo storico americano non riesce a spiegarsi con certezza di come l'abate avesse confuso le tele con affreschi.
  8. ^ Pierre Rosenberg citato da Donata Levi, La fortuna critica di Tiepolo alla fine del Settecento in Tiepolo1998, p. 458 n. 29.
  9. ^ Le tasse di successione ammontavano a 217.000 Lire, cifra che non poteva essere coperta dalla liquidità della nuova fondazione. Le tele furono vendute il 16 giugno 1871 al Guggenheim per 6.000 L., a questi fu venduto anche il palazzo per 16.520 L. il 29 agosto dello stesso anno. Le vendite separate suscitarono le proteste di Giuseppe Mayer, un antiquario concorrente (24 luglio), che non trovava più conveniente l'acquisto del palazzo senza i Tiepolo. Le distinte perizie di un anonimo restauratore e quella ufficiale del pittore Raffaele Giannetti (redatta per garantire la pulizia dell'operazione il giugno 1871) davano comunque un valore massimo alle Storie Romane di 5.000 Lire. Cfr. Manlio Dazzi, Due «Procuratori» della Querini e le tele Dolfin del Tiepolo e il Fisco (Note di cronaca), in Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Anno accademico 1953-1954 – Tomo CXII, Venezia, 1954, pp. 48-49.
  10. ^ Christiansen 1998, p. 59.
  11. ^ Mantoan-Quaino, pp. 202, 222.
  12. ^ Il palazzo fu costruito tra il 1877 e il 1888 in Prinz-Eugen-Straße. Non ne resta oggi più traccia: danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale fu demolito nel 1961; cfr. (DE) Palais Miller-Aichholz, su Kunst und Kultur in Wien. URL consultato l'8 luglio 2019.
  13. ^ Christiansen 1998, p. 21.
  14. ^ Christiansen 1998, pp. 22-24.
  15. ^ Christiansen 1998, pp. 23-24.
  16. ^ Christiansen 1998, pp. 23-25, 55-56.
  17. ^ Christiansen 1998, pp. 55-56
  18. ^ Pedrocco 1996, p. 97.
  19. ^ Pedrocco-Gemin, pp. 61-62.
  20. ^ Pedrocco 1996, pp. 101-102.
  21. ^ Christiansen 1996, p. 100.
  22. ^ Mariuz 1995a, pp. 221-222.
  23. ^ Christiansen, Le decorazioni di Ca' Dolfin in Tiepolo 1996, p. 102.
  24. ^ Pedrocco-Gemin, pp. 62-63.
  25. ^ Keith Christiansen, Le decorazioni di Ca' Dolfini in Tiepolo 1996, p. 97.
  26. ^ Pedrocco-Gemin, p. 62.
  27. ^ Levey 1986 citato in Christiansen, Le decorazioni di Ca' Dolfini in Tiepolo 1996, p. 100.
  28. ^ Pedrocco 1996, pp. 99-101.
  29. ^ Levey 1988, p. 52 ???
  30. ^ Christiansen, Le decorazioni di Ca' Dolfin in Tiepolo 1996, p. 101.
  31. ^ Christiansen 1986, p. 102.
  32. ^ Pedrocco 1996, p. 100.
  33. ^ Christiansen 1996, pp. 86, 102 n.2.
  34. ^ Aldo Rizzi, Mostra del Tiepolo – dipinti – Udine, Celebrazioni tiepolesche, Villa Manin di Passariano, 27 giugno-31 ottobre 1971, Milano, Electa, 1971, pp. 12-15.
  35. ^ Pedrocco 1996, p. 49.
  36. ^ Pedrocco 1996, p. 101.
  37. ^ Adriano Mariuz, Giambattista Tiepolo: "il vero mago della Pittura" in Tiepolo 1996, p. 11.
  38. ^ Conticelli 2002, p. 263.
  39. ^ Christiansen 1998, p. 55.
  40. ^ Conticelli 2002, p. 264.
  41. ^ Conticelli 2002, p. 265.
  42. ^ Conticelli 2002, pp. 264-267.
  43. ^ Conticelli 2002, pp. 267-271.
  44. ^ Conticelli 2002, pp. 261-262

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (LAFR) Florus [Lucio Anneo Floro], Epitomae de Tito Livio bellorum omnium, in Oeuvres, traduzione di Paul Jal, Parigi, Les belles lettres, 1967.
  • Aldo Rizzi (a cura di), Mostra del Tiepolo, Milano, Electa, 1971.
  • Diego Mantoan e Otello Quaino (a cura di), Ca' Dolfin e i Cadolfiniani. Storia di un collegio universitario a Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2014.
  • Adriano Mariuz, Giambattista Tiepolo, in Splendori del Settecento Veneziano, Electa, 1995, pp. 217-257.
  • Adriano Mariuz, La pittura 1, in Rodolfo Pallucchini (a cura di), Storia di Venezia, Temi - L'Arte / 2, Roma, Treccani, 1995.
  • Rodolfo Pallucchini, La pittura nel Veneto - Il Settecento, Milano, Electa, 1995.
  • Filippo Pedrocco e Massimo Gemin, Giambattista Tiepolo – i dipinti, opera completa, Venezia, Arsenale, 1993.
  • AA.VV., Giambattista Tiepolo 1696-1996, Milano, Skira, 1996.
    • Filippo Pedrocco, Giambattista Tiepolo: gli esordi, in ibidem (1), pp. 37-51..
    • Keith Christiansen, Le decorazioni per Ca' Dolfin, in ibidem (1), pp. 86-103.
  • (EN) Keith Christiansen, The Ca' Dolfin Tiepolos, in The Metropolitan Museum of Art Bulletin, vol. 55, n. 4, primavera 1998.
  • Lionello Puppi (a cura di), Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita, Padova, il Poligrafo, 1998.
    • Giuseppe Barbieri, «Esser dentro, camminargli a suo talento, cercarne ogni angolo più riposto»: Giambattista Tiepolo e l'architettura, in ibidem (2).
    • Liliana Cargnelutti, Attorno al Tiepolo: l'ambiente friulano tra decoro urbano ed economia di villa, in ibidem (2).
    • Monica Centanni
    • Valentina Conticelli
    • Sergio Marinelli, Vicende veronesi di Giambattista Tiepolo
    • Giuseppe Pavanello
  • Valentina Conticelli, Eroi, battaglie e trionfi: Fonti classiche per un ciclo di Tiepolo, in Fontes - Rivista di filologia, iconografia e storia della tradizione classica, IV-V, n. 7-10, La Spezia, Agorà, 2002, pp. 260-293.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]