Utente:Emilia Mariniello/Sandbox

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Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nam June Paik nasce da una famiglia di artigiani ed è il quinto figlio di un fabbricante tessile. Frequenta la Kyunggi High School di Seoul, periodo durante il quale prende lezioni private di pianoforte e studia composizione. Nel 1950, sua madre Chong-Hi Cho e suo padre Lak-Seoung Paik, fuggono dalla guerra di Corea con i loro figli, viaggiando prima a Hong Kong e poi in Giappone. Nel 1956, nello stesso anno in cui Paik si laurea alla Tokyo University, si sposta in Germania per approfondire lo studio della musica contemporanea, presso l'Università di Monaco di Baviera. I suoi interessi lo distraggono dall’ambiente universitario verso forme musicali non tradizionali: inizia a lavorare nello studio della stazione radiofonica della Germania occidentale, Westdeutsche Rundfunk Studio for Electronic Music, luogo caratterizzato dal lavoro di compositori d'avanguardia come Karlheinz Stockhausen e Mary Bauermeister. Nel 1958, al Darmstadt International Summer School Course for New Music, Paik incontra Stockhausen - che sperimentava sintetizzatori audio - insieme al compositore John Cage, suo mentore; questi incontri hanno influenzato notevolmente Paik e le sue idee sulla performance e sulla sua produzione artistica.[1]

Nel 1961 Paik incontra George Maciunas, fondatore del movimento Fluxus, sviluppatosi soprattutto negli USA e in Germania: uno dei primi movimenti d'avanguardia ad essere coinvolto nella musica. Nam June Paik diventa uno dei suoi membri insieme a La Monte Young e Benjamin Patterson. Nel 1963 tiene la sua prima mostra personale, Exposition of Music-Electronic Television, alla Galleria Parnass di Wuppertal, in Germania. Dal 1960 in poi Nam June Paik si sposta freneticamente tra New York e Berlino, Parigi e Londra, vivendo in prima persona il concetto di mobilità come stimolo alla vita, caratteristica che non lo abbandonerà mai, rimanendo tuttavia sempre cosciente delle proprie radici culturali. Nel 1964 si trasferisce a New York e inizia una lunga collaborazione, lavorando su diversi progetti, con Charlotte Moorman, violoncellista e pioniera della nuova musica; collaborazione che durerà fino alla morte di Moorman nel 1991.[2]

Nel 1968, la Sony, lancia sul mercato Porta Pack, la prima telecamera amatoriale portatile, Nam June Paik l’acquista subito, realizzando un video sul traffico caotico nel giorno della visita di Paolo VI a New York; nello stesso giorno presenta questo suo primo video intitolato Café Gogo e una installazione video, opera sancita come il primo video d’arte della storia. Nel 1992 gli viene affidato lo sviluppo del padiglione Coreano nell'Expo Internazionale di Siviglia e nel 1993 Paik vince il primo premio per il miglior padiglione alla Biennale d'Arte Internazionale di Venezia.

Nel 1996 Paik ha un ictus che ne limita la mobilità fisica, ma continua a lavorare con il supporto del nipote Ken Hakuta. Durante gli anni ‘90 e il successivo decennio, Paik continua a realizzare disegni di giornali, sempre stati al centro della pratica artistica di Paik, offrendo così un metodo immediato e diretto per sviluppare e trasmettere idee che erano parte integrante del suo pensiero. Nel 2005 realizza Chinese Memory, una delle sue ultime opere, un'installazione contenente un mobile televisivo con antenne, libri, pittura e pergamena cinese.[3]

Paik muore il 29 gennaio 2006 a Miami Beach, in Florida.

Il movimento Fluxus e l’arte di Nam June Paik[modifica | modifica wikitesto]

Nam June Paik è uno dei primi artisti a riconoscere le potenzialità dei media elettronici e della loro influenza sulla cultura e sull’economia. Le sue prime esperienze di videoarte si sviluppano all’interno del movimento artistico Fluxus, impegnato a sottrarre importanza all’oggetto artistico per attribuirla invece alle situazioni e forme di spettacolo. Fluxus nasce negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’50, movimento nel quale confluiscono tendenze neodadaiste inclini ad utopie anarco-comuniste. La poetica di questo movimento si fonda essenzialmente su due principi che costituiscono i fondamenti della produzione di Nam June Paik: fondare un nuovo ambiente socio-culturale in cui sia possibile una circolazione immediata di una nuova estetica, tesa a ridurre la distanza tra artista e fruitore; fornire nuovi modelli artistici da opporre ai canoni e alle convenzioni dell’arte istituzionale, in modo da stabilire una globalità inedita e ridefinitoria dei comportamenti estetici e di permutazioni attive dei linguaggi. In un'era pre Internet, Paik aveva previsto che la tecnologia avrebbe permesso alle persone di comunicare immediatamente.[4]

È così che la tecnologia della televisione e il flusso delle informazioni hanno costituito il soggetto primario dell'arte di Paik. Paik ha anche compreso che soltanto dominando il medium si possono esaltare le sue potenzialità. In un’intervista risalente all’inizio degli anni ’70 gli è stato chiesto come mai si è servito del piccolo schermo per le sue rappresentazioni. Egli, con tono ironico, risponde: “I’m just a poor man from a poor country so I have always to think about my audience"[5]. Si deduce, quindi, come già trent’anni fa Paik intendeva la sua arte come comunicazione globale, grazie sopratutto al potere massificatore della televisione. [6]

Opere principali[modifica | modifica wikitesto]

  • Zen for Tv (1964), ZKM - Centro per l'Arte e Media, Karlsruhe. Videoinstallazione con monitor e televisione CRT.[7]
  • Magnet TV (1965), Whitney Museum of American Art, New York. Televisione (bianco e nero, muto) con magnete.[8]
  • TV Chair (1968), Museum of Modern Art, San Francisco. Video a circuito chiuso (bianco e nero) con televisione e sedia con seduta in plexiglas.[9]
  • TV Garden (1974–77/2002), Stedelijk Museum, Amsterdam / Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf. Installazione con televisioni con video a canale singolo tra piante.[10]
  • Opus Paintings (1975). Olio su tela in 32 parti, ciascuna: 10 x 8 pollici.[11]
  • The More the Better (1988), National Museum of Modern Art and Contemporary Art, Seul. Video a tre canali (a colori, suono), con 1003 monitor e struttura in acciaio, alta circa 60 piedi.[12]
  • Untitled [Newspaper Drawing] (c.1990), Smithsonian American Art Museum, Washington, DC. Olio su carta da giornale stampata.[13]
  • 359 Canal Street (1991). Scrivania con blocchi di legno dalla demolizione di George Maciunas, acrilico, telaio di televisione, ritagli di giornale, tasti di pianoforte e lettere (gli autori includono Yoko Ono, Ray Johnson e Wolf Vostell).[14]
  • Sistine Chapel (1993), prima esposizione alla Biennale di Venezia. Immagini elettroniche sovrapposte che ricoprono le pareti ed il soffitto della galleria, insieme a forti suoni intervallati a momenti di silenzio.[15]
  • Electronic Superhighway: Continental U.S., Alaska, Hawaii (1995), Smithsonian American Art Museum, Washington, DC. Installazione video di cinquantuno canali (incluso un feed televisivo a circuito chiuso), elettronica personalizzata, illuminazione al neon, acciaio e legno (a colori, suono).[16]
  • Untitled [RCA Victor] (1996). Video a canale singolo con monitor da 22 pollici.[17]
  • Untitled [Console RCA Victor Deluxe] (1996). Video a canale singolo (a colori, muto) in un mobile televisivo vintage con acrilico e robot giocattolo.[18]
  • Bakelite Robot (2002).Tate Modern, Londra. Video a canale singolo (a colori, muto) con monitor LCD, luci elettriche colorate e radio in bachelite vintage.[19]
  • TV Cello (2003). Video a canale singolo con monitor LCD da 20 pollici, monitor LCD da 15 pollici e monitor CRT da 13 pollici.[20]
  • Golden Buddha (2005). Asia Society Museum, New York. Video a circuito chiuso (a colori) con televisione e Buddha in bronzo con aggiunte permanenti di pennarelli a olio.[21]
  • Third Eye Television (2005). Video a canale singolo (a colori, suono) in un televisore vintage con pennarello indelebile e acrilico.[22]
  • Lion (2005). Video a tre canali (a colori, suono) con 2 monitor al plasma e 26 monitor CRT, e leone in legno con aggiunte di acrilico e pennarello indelebile.[23]
  • Untitled [Cage Composite] (2005). Video a due canali (a colori, suono) in televisori vintage con luci elettriche e pennarello indelebile.[24]

Esposizioni e progetti d'arte[modifica | modifica wikitesto]

L'11 Marzo 1963, Nam June Paik apre la sua prima esibizione solista Exposition of Music-Electronic Television, alla Galleria Parnass a Wuppertal, Germania. L'esibizione si sviluppava lungo sedici camere della casa del commerciante d'arte Rolf Jährling.

L'esibizione giocava sulla dualità tematica che vi è tra la musica e la televisione, tramite l'uso di oggetti ispirati alla corrente del "Fluxus" come pianoforti, oggetti rumorosi e giradischi, ma anche tramite l'uso di installazioni per favorire l'interazione fra pubblico e opera.

La più celebre installazione che troviamo alla Galleria si trova nella sala delle televisioni, qui il pubblico si ritrovava di fronte a una serie di 3 televisioni in bianco e nero posizionate negli angoli della grande stanza; ogni apparecchio televisivo era stato precedentemente manipolato in modo che gli schermi riproducessero immagini distorte.

Nel 1965, Paik partecipa al primo Festival del Cinema di New York City, dove si esibisce di fronte ad un pubblico composto da artisti di avanguardia, musicisti e produttori cinematografici, presentando Zen for Film (1964). La performance consisteva nella trasmissione di uno schermo bianco della durata di un'ora: questa era diretta referenza a 4'33'', una composizione in tre movimenti creata dodici anni prima dal compositore John Cage, presente quella stessa sera. [25]

Nella primavera del 1982 il Whitney Museum of American Art organizza una retrospettiva dedicata a Paik; la selezione delle opere consentiva di ripercorrere l'intera portata del suo lavoro, in aggiunta ai suoi lavori primordiali la mostra includeva Tv Cello (1971), TV Glasses (1971) e TV Bra for Living Sculpture (1969). Il secondo piano della mostra prevedeva una Film/Video Galleria e gran parte del quarto piano era dedicata alle grandi installazioni video.[26]

Altre retrospettive vennero organizzate al San Francisco Museum of Modern Art (1989), al Museo Nazionale di Arte Contemporanea di Seul (1992) e al Kunsthalle Basel (1999). Una retrospettiva finale sui suoi lavori si tenne nel 2000 al Guggenheim Museum a New York, dove viene esposta l'installazione site-specific Modulation in Sync (2000)[27].

Dal 24 aprile 2015 al 7 settembre le sue opere T.V Clock, 9/23/69: Experiment with David Atwood e ETUDE1 sono stati trasmessi al "Watch This! Revelations in Media Art" al Smithsonian American Art Museum. [28]

Nel 2015 la Galleria d'arte Gagosian ha acquisito il diritto di rappresentare tutto il patrimonio artistico di Paik; in occasione di questa acquisizione la galleria ha organizzato Art in Process, uno studio diviso in due parti che abbraccia tutto il lavoro di Paik. La prima parte è esposta al Gagosian della 24 strada a New York dal 24 Maggio al 22 Luglio del 2022, la seconda parte invece avrà luogo al parco del Gagosian dal 19 Luglio fino al 26 Agosto del 2022. [29]

La collaborazione con Charlotte Moorman[modifica | modifica wikitesto]

La conoscenza con Charlotte Moorman, violoncellista e artista performativa americana formatasi alla Juilliard School, inizia nei primi anni dopo il trasferimento dell'artista a New York nel 1964.

A seguito di questo incontro Nam June Paik prende parte al Festival annuale dell'Avant Garde, organizzato da Charlotte Moorman, dove si presenta con la sua opera Robot K-456, un robot formato dall'unione di numerose componenti elettroniche, che riproduceva una registrazione del discorso di insediamento del presidente John F. Kennedy del 1961.[30]

Nel 1967 la violoncellista si esibisce nell' interpretazione dell'Opera Sextonique di Nam June Paik. A causa della nudità che presentava durante l'esibizione venne arrestata per comportamenti osceni. Dopo questo episodio, l'artista divenne nota con l'appellativo di "Topless Cellist" che ne influenzò fortemente l'immagine.

Tra il 1969 e il 1972, Paik realizza appositamente per Moorman 4 opere da utilizzare durante le sue performances sonore: TV Bra for living Sculpture (1969), TV Cello (1971), TV Glasses (1971) e TV Bed (1972). Ognuna di queste opere prevedeva la presenza dell'artista in scena.

TV Bra for living Sculpture era formata da due televisori in miniatura, legati insieme da del nastro di vinile, indossati dalla violoncellista per coprire il seno durante la sua esibizione. TV Cello consisteva in una pila di tre televisori le cui forme e dimensioni imitavano le proporzioni di un violoncello presentando anche l'arco di corde dello strumento. Suonando questo arco i televisori riproducevano immagini di violoncellisti e immagini della performance che si stava svolgendo dal vivo. Allo stesso modo TV Glasses riproduceva immagini dal vivo dell'esibizione riprodotte su piccoli schermi che si trovavano davanti agli occhi della violoncellista Moorman. L'opera TV Bedcomprendeva diciotto monitor disposti sul pavimento rivolti verso l'alto tra la testiera e la pediera di un letto.[31]

Onoreficenze[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso della sua vita ha ricevuto numerose onoreficenze da parte, ad esempio, del Guggenheim Museum, della Rockfeller Foundation e dell'American Film Institute. Altri premi tra i più importanti sono il Will Grohmann Award, il Goslar Emperor’s Ring e la Picasso Medal.[32]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Tate, Nam June Paik 1932–2006, su Tate. URL consultato il 4 giugno 2022.
  2. ^ Paik June Nam - EduEDA - The EDUcational Encyclopedia of Digital Arts, su www.edueda.net. URL consultato il 4 giugno 2022.
  3. ^ (EN) Tate, Nam June Paik 1932–2006, su Tate. URL consultato il 4 giugno 2022.
  4. ^ (EN) Tate, Nam June Paik 1932–2006, su Tate. URL consultato il 4 giugno 2022.
  5. ^ (EN) Tate, Nam June Paik, su Tate. URL consultato il 3 giugno 2022.
  6. ^ (EN) Tate, Nam June Paik 1932–2006, su Tate. URL consultato il 4 giugno 2022.
  7. ^ (EN) Ecke Bonk, Nam June Paik | Zen for TV | 1963 | ZKM, su zkm.de. URL consultato il 3 giugno 2022.
  8. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  9. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 4 giugno 2022.
  10. ^ (EN) Ecke Bonk, Nam June Paik | Zen for TV | 1963 | ZKM, su zkm.de. URL consultato il 3 giugno 2022.
  11. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  12. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  13. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  14. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  15. ^ (EN) Ecke Bonk, Nam June Paik | Zen for TV | 1963 | ZKM, su zkm.de. URL consultato il 3 giugno 2022.
  16. ^ (EN) Nam June Paik: Exhibition Guide + Curator Picks, su SFMOMA. URL consultato il 3 giugno 2022.
  17. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  18. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  19. ^ (EN) Tate, ‘Bakelite Robot’, Nam June Paik, 2002, su Tate. URL consultato il 3 giugno 2022.
  20. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  21. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  22. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  23. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  24. ^ (EN) Nam June Paik, su Gagosian, 12 aprile 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  25. ^ (EN) Alison Weaver, Nam June Paik: The Photograph as Active Circuit, in Afterimage, vol. 42, n. 3, 1º novembre 2014, pp. 16–21, DOI:10.1525/aft.2014.42.3.16. URL consultato il 27 maggio 2022.
  26. ^ (EN) Frances Mulhall Achilles Library Whitney Museum of American Art, Nam June Paik : Whitney Museum of American Art, April 30-June 27, 1982., Whitney Museum of American Art, 1982. URL consultato il 3 giugno 2022.
  27. ^ (EN) Mark Stevens, Surfing the Guggenheim - Nymag, su New York Magazine. URL consultato il 31 maggio 2022.
  28. ^ Online Gallery - Watch This! Revelations in Media Art | Smithsonian American Art Museum, su web.archive.org, 3 luglio 2015. URL consultato il 31 maggio 2022 (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2015).
  29. ^ (EN) Nam June Paik: Art in Process: Part One, 555 West 24th Street, New York, May 24–July 22, 2022, su Gagosian, 15 aprile 2022. URL consultato il 1º giugno 2022.
  30. ^ (EN) Life and Technology: The Binary of Nam June Paik, su Gagosian Quarterly, 16 ottobre 2018. URL consultato il 3 giugno 2022.
  31. ^ (EN) A Feast of Astonishments. Charlotte Moorman and the Avant-Garde, 1960s―1980s, su Museum der Moderne Salzburg. URL consultato il 3 giugno 2022.
  32. ^ (EN) Nam June Paik - Live Feed: 1972 -1994 - Exhibitions - James Cohan, su www.jamescohan.com. URL consultato il 3 giugno 2022.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • A. Del Puppo, L'arte contemporanea. Il secondo Novecento, Torino, Einaudi, 2013, p. 158, scheda n.13
  • G. Albert, La dimensione sonora nelle opere di Nam June Paik e Bill Viola, Ann Arbor, MI, ProQuest LLC, 2011, pp. 133-149
  • Fondazione Mudima, a cura di, Nam June Paik. Lo sciamano del video, Milano, Mazzotta, 1994
  • https://www.tate.org.uk/
  • EduEDA, The educational Encyclopedia of Digital Arts.
  • Gagosian - Nam June Paik: https://gagosian.com/artists/nam-june-paik/ (consultato il 31/05/2022)
  • ZKM Center for Art and Media Karlsruhe: https://zkm.de/en/artwork/zen-for-tv (consultato il 31/05/2022)
  • SFMOMA - San Francisco Museum of Modern Art:https://www.sfmoma.org/read/nam-june-paik-exhibition-guide-curator-picks/ (consultato il 31/05/2022)
  • SAAM - Smithsonian American Art Museum: https://americanart.si.edu/artwork/electronic-superhighway-continental-us-alaska-hawaii-71478 (consultato il 03/06/2022)
  • Tate Modern: https://www.tate.org.uk/art/artworks/paik-bakelite-robot-t14340 (consultato il 03/06/2022)