Pieve di San Bartolomeo al Pino

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Pieve di San Bartolomeo al Pino
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneToscana
LocalitàPeccioli
Coordinate43°33′05.58″N 10°44′44.66″E / 43.55155°N 10.74574°E43.55155; 10.74574
Religionecattolica di rito romano
TitolareSan Bartolomeo
ConsacrazioneX secolo

La pieve di San Bartolomeo al Pino, denominata la Piappina è un edificio religioso di Peccioli.

È menzionata in documenti del X e XI secolo, ma dal momento in cui comincia ad acquistare maggiore importanza quella di San Verano di Peccioli, attestata dal XII secolo, inizia il suo lento declino.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nell'XI secolo la Pieve di san Bartolomeo al Pino controllava un vasto territorio tra Peccioli e Ghizzano. Il periodo di centralità della Piappina finirà presto a causa dell’aumento della popolazione di Peccioli, che per questo avrà sempre più bisogno di una Chiesa vicina, con fonte battesimale e cimitero.

La pieve di San Bartolomeo al Pino è ricordata in una donazione del X secolo al monastero lucchese di San Ponziano e compare nel privilegio di Alessandro III a S. Ugo del 1071.

Le Rationes Decimarum del 1274 e del 1304 indicano, nel territorio della diocesi di Volterra, la pieve al Pino, di Toiano, di Peccioli, di Fabbrica, di Lajatico di Orciatico, di Pava, di Morrona, di Rivalto, di Chianni.

Le decime del 1302-1303 attestano le seguenti cappelle dipendenti: Sant’Andrea di Latreto, S. Pietro de Curte, S. Frediano di Pratello, S. Pietro di Libbiano, S. Maria di Montefoscoli, S. Prospero e S. Germano di Ghizzano, S. Lorenzo di Gello, S. Romano di Montefoscoli, monastero dei SS. Ippolito e Cassiano di Carigi. Essa è definita “desolata” nel 1413.

La chiesa di S. Bartolomeo è ancora esistente ed è stata restaurata.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di un edificio ad aula unica absidata, con due monofore sui lati lunghi, una delle quali con ghiera decorata da un motivo a treccia viminea. La facciata, con portale centrale sovrastato da un arco di scarico, mostra evidenti tracce di un radicale intervento di restauro, che probabilmente ha obliterato una monofora in asse col portale. Sul retro il piccolo campanile a vela e i contrafforti che sorreggono l’abside, tutti realizzati in laterizi, costituiscono evidentemente un rifacimento successivo da datare al 1721, come indica il numero 721 scalpellinato su uno dei contrafforti. Anche l’interno della chiesa mostra chiari segni di un intervento settecentesco che ha portato alla realizzazione di un altare in muratura dipinto a finto marmo. I pilastri che sorreggono l’abside presentano gli originari capitelli in pietra. Una particolare importanza riveste l’acquasantiera, che è costituita da un cippo etrusco in marmo rilavorato e scavato nella parte superiore. Si tratta di un segnacolo funerario del tipo detto “a clava”, del tutto simile a quelli rinvenuti a Celli nel 1737 e andati dispersi. La presenza di questo cippo e le notizie tramandate sui rinvenimenti di materiale ceramico frammentario di età antica venuto alla luce in occasione dei lavori agricoli nei terreni circostanti la chiesa ci permettono di ipotizzare la presenza in questo luogo di un piccolo nucleo abitativo con relative necropoli di età etrusca. Si ha notizia della dispersione, avvenuta in tempi relativamente recenti, della originaria mensa dell’altare in pietra con decorazione a treccia viminea; un pilastrino con analoga decorazione, anch’esso da mettere in relazione con l’altare è murato nella parete esterna della vicina casa colonica. Un’altra notizia riguarda un elemento in marmo a forma emisferica allungata, profondamente incavato all’interno e decorato all’esterno con una serie di foglie a rilievo, che in origine era collocato in questa chiesa e in seguito è stato trasferito nella pieve di San Verano, dove si trova tuttora, ma che rimane di datazione molto problematica.

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

Secondo la tradizione, che come al solito unisce storia e leggenda, nelle terre che circondavano questa chiesa furono piantati agli inizi del VII secolo vitigni portati da monaci seguaci di San Colombano (Navan 540-Bobbio 615), il quale originario dell’Irlanda, dopo lunghe peregrinazioni per l’Europa al fine di evangelizzare e sconfiggere i residui di eresie, aveva fondato nel 614, grazie alla protezione del re longobardo Agilulfo e della moglie Teodolinda, un grande monastero a Bobbio, del quale divenne abate. In segno di gratitudine Colombano avrebbe piantato intorno alla Reggia di Pavia dei vitigni di uva dolcissima che da lui presero nome. Ma come arrivarono questi vitigni nella zona di Peccioli? Colombano nel giorno della sua morte pregò i suoi confratelli di portare al papa dei doni da parte sua, fra i quali icone, codici, arredi sacri e alcuni dei pregiati vitigni da lui coltivati nel pavese. I monaci si misero in cammino, ma quando arrivarono in Valdera seppero che la strada era interrotta a causa dello straripamento dell’Era e del Roglio e quindi fecero una deviazione che li portò alla pieve al Pino presso la Piappina, dove furono ospitati con grande generosità dalla gente del luogo. In cambio di questa accoglienza i monaci piantarono i vitigni che avevano portato con sé nelle colline circostanti e da allora la fama del vino che essi producevano si diffuse in tutta la Valdera e oltre. Tuttora il cosiddetto colombano di Peccioli è un vitigno molto apprezzato, e la tradizione legata alla figura di questo santo è viva nel sentimento collettivo tanto che l’intero mese di ottobre viene dedicato ad una serie di iniziative enogastronomiche nel segno di San Colombano.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Cristina Cagianelli, Chiara Mori, 9.000 ettari di storia, Pisa, Felici Editore, 2008, ISBN 978 88 6019 230 1
  • Antonio Alberti, I castelli della Valdera. Archeologia e storia degli insediamenti medievale, Pisa, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 2005
  • Michele Gotti, L’architettura religiosa medievale in Valdera: tecniche edilizie e tipologie planimetriche, in “Bollettino ingegneri”, n. 6-2013
  • Arianna Merlini, Tra chiassi, vicoli e strade attorno alla Castellaccia. Un profilo urbanistico di Peccioli nell’800, in Quaderni pecciolesi, 1998 Pacini editore
  • Luca Sacchini, tesi di laurea magistrale a.a. 2012-13, Il complesso di San Verano a Peccioli: dall’analisi delle vicende storiche al progetto di restauro.
  • Francesco Trombi, Il castello di Peccioli e il suo territorio nei secoli XIV-XVI: le istituzioni, l'insediamento, la proprietà, in Quaderni pecciolesi, 1998 Pacini editore
  • Sara Fiorentini, Tesi di Laurea magistrale a.a. 2012-13 dal titolo: La Cappella della Santissima Assunta in San Verano a Peccioli: da oratorio a Museo d’Arte Sacra

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]