Utente:Marco Ciaramella/Sandbox/Chiesa cattolica e abolizionismo

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Titolo: Chiesa Cattolica, schiavismo e abolizionismo

Fin dai primi secoli la Chiesa ha sempre considerato positiva la liberazione degli schiavi. In alcuni periodi si è opposta alla riduzione in schiavitù, in particolare all'inizio del Cinquecento, in riferimento alle popolazioni di nativi americani, prendendo posizioni esplicitamente abolizioniste anche in una serie di documenti papali, come bolle e brevi apostolici. Tuttavia, non ha contestato la pratica schiavile quando in uso della società.

La Chiesa cattolica e lo schiavismo[modifica | modifica wikitesto]

Primi secoli[modifica | modifica wikitesto]

Alla fine del IV secolo Sant'Ambrogio si espresse contro la schiavitù nella sua opera De officiis ministrorum (Hos ergo malui vobis liberos tradere, quam aurum reservare, vol. 2, CAPUT XXVIII, par. 139). Tra il IV e il V secolo, San Patrizio, patrono d'Irlanda ed ex schiavo egli stesso, divenne noto per la sua ferma condanna alla pratica della schiavitù.[1] Fu uno dei primi a propugnare questo genere di condanna.[senza fonte]

Nel tardo impero romano, dal V secolo, la Chiesa cominciò attivamente una campagna nella liberazione degli schiavi, fino al punto di arrivare a considerarla come uno dei doveri dei vescovi come manifestazione di caritas.[2] La Chiesa, infatti, considerava la liberazione degli schiavi come particolarmente gradita a Dio.[3] Per fare ciò, la Chiesa cominciò a raccogliere appositamente denaro per la liberazione di prigionieri di guerra in tutta l'area greco-romana.[4] Anche papa Gregorio Magno emancipò dalla schiavitù diversi uomini, incoraggiando questa pratica.[5] Già alcuni tra i primi papi erano stati schiavi essi stessi, come Pio I (II secolo) e Callisto I (III secolo), entrambi liberti sotto l'Impero Romano.

Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

Nel 556 il Concilium Lugdunense secundum si sanscisce la scomunica chi riduce le persone libere in schiavitù.[6] Nel Concilium Rhemense dell'anno 625 si condanna nuovamente quell'abuso.[7]

Alla fine del VI secolo, papa Gregorio I vietò ai cristiani di possedere schiavi ebrei.[8]

Nel Synodus incerti loci dell'anno 616 (circa), forse svoltosi a Bonneville, si permette a chi si è venduto volontariamente, forse recependo una pratica comune di schiavismo in uso all'epoca nelle Gallie, il diritto di riscattare la propria libertà allo stesso prezzo.[7]

Alla fine dell'VIII secolo papa Zaccaria si pronunciò contro lo schiavismo e il commercio degli schiavi e liberò diversi schiavi.[9]

Nel Concilium Confluentinum dell'anno 922 si equipara il reato della riduzione in schiavitù (di un cristiano) a quello di omicidio.[7]

Nel 1102, il Concilium Londinense definì la schiavitù un "nefarium negotium" (un affare nefando).[10][11]

Nel 1167 il papa Alessandro III pubblicò una bolla che sanciva i Cristiani essere esenti da schiavitù.[12]

Il papa Alessandro IV con bolla del 3 luglio 1258 sancì la fine della schiavitù della gleba nelle province della Marca.[13][14]

A partire dal XIII secolo e nel corso del Medioevo, la Chiesa cattolica ha iniziato a considerare la schiavitù un peccato soprattutto in riferimento alle conclusioni teologiche di Tommaso D'Aquino.[15] Infatti Tommaso, nella sua Somma teologica, dimostrò che la schiavitù è in contrapposizione alla legge naturale[16] concludendo infine che: «[...] per sua natura un uomo non è destinato a usare un altro uomo come un fine».[17] In altre parole, Tommaso ha argomentato che non vi è nessun motivo causato dalla natura che renda accettabile la sottomissione di un uomo al potere di un altro uomo riducendolo in schiavitù, perché la giusta ragione è il fondamento morale dell'autorità e non la coercizione: l'autorità giusta è infatti quella che viene esercitata per il bene dei sudditi, mentre quella imposta agli schiavi è invece ingiusta perché ha come obiettivo il solo conseguimento del proprio utile.[18]

In Europa, la schiavitù era di fatto stata abolita già nei primi secoli del Medioevo. Da un punto di vista storico, è aperto il dibattito secondo cui l'abolizione progressiva dello schiavismo nel corso del Medioevo (a fronte del diffondersi della servitù della gleba) sia avvenuto su impulso della Chiesa oppure a causa del progresso tecnologico e conoscitivo del tecniche agricole, oppure di entrambe le cose.[senza fonte]

Rinascimento[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1410 le Isole Canarie cominciarono ad essere oggetto di scorrerie da parte delle popolazioni Europee, fino alla colonizzazione spagnola nel 1430 e l'asservimento della popolazione locale.[19] Questo portò papa Eugenio IV ad esprimersi esplicitamente contro lo schiavismo con le due bolle Creator Omnium, del 1434, e Sicut Dudum, del 1435: in queste due bolle si obbligano i colonizzatori spagnoli a restituire la libertà agli indigeni oppressi, pena la scomunica.

Tra i numerosi documenti ecclesiatici contro le diverse forme di schiavitù emessi nel corso dei secoli, di tutt'altro tenore è la bolla Dum Diversas, emessa da papa Niccolò V nel 16 giugno 1452. In essa infatti, si incoraggia la schiavitù dei popoli infedeli, in particolare i saraceni. Per tentare di comprendere perché tanta differenza con la grande maggioranza degli altri documenti sulla schiavitù, è stato osservato che in questo periodo, le coste meridionali europee stavano pesantemente subendo i saccheggi dei pirati saraceni: pertanto, la bolla risponderebbe ad un esigenza difensiva ad attacchi reali, forti e continui. E' stato anche osservato che la bolla andasse letta in chiave storico-politica come obbligo della difesa di Costantinopoli, città che proprio in quei mesi era sotto assedio turco prima della conquista ottomana dell'anno successivo (1453).[20] L'anno successivo alla definitiva caduta di Costantinopoli, il 1454, è pubblicata una seconda bolla favorevole alla schiavitù degli infedeli, Romanus Pontifex: anche in questo caso, per giustificare la grande difformità con la quasi totalità degli scritti da parte cristiana, è stata proposta l'interpretazione storica dell'incentivo politico alla riconquista dei territori ex-cristiani appena conquistati dall'Impero ottomano nell'anno precedente.

Il 7 ottobre 1462 papa Pio II scrisse una lettera al vescovo di Ruvo in partenza per la Guinea portoghese (oggi Guinea-Bissau) in cui definì magnum scelus (grande crimine) la tratta dei neri africani, ordinando ai vescovi la censura ecclesiastica per coloro che la praticano.[21]

Età delle Scoperte Geografiche[modifica | modifica wikitesto]

Antonio de Montesinos nel 1510 predicò contro la pratica schiavile dei coloni spagnoli nelle Americhe
Bartolomé de las Casas testimoniò la condizione degli schiavi con numerosi scritti, aprendo un dibattito in Europa

Denuncia dello schiavismo nelle Americhe[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1493, dopo l'annuncio di Colombo della scoperta della rotta delle Indie, papa Alessandro VI promulgò la bolla Piis fidelium dove dichiarò "necessario informare gli Indiani sulla nostra santa fede affinché ne giungano a conoscenza" con il vincolo "senza esercitare su di loro alcuna costrizione". In questo contesto, nel 1510 il frate Pedro de Córdoba dell'ordine domenicano giunse nelle Americhe con l'obiettivo di continuare l'opera di evangelizzazione. Tuttavia, accortosi presto del duro trattamento che i coloni spagnoli stavano riservando agli indios, cominciò per primo a predicare e ad agire in difesa delle popolazioni indigene, divenendo mentore e ispiratore di altri religiosi che continuarono questa attività. Uno di questi religiosi fu il primo europeo che denunciò pubblicamente la pratica schiavile nel Nuovo Mondo, il missionario Antonio de Montesinos, anch'egli domenicano, il quale cominciò una dura campagna di critica al comportamento dei coloni spagnoli. Questa attività portò alla promulgazione, nel 1512, delle Leggi di Burgos dal reggente dell'Impero spagnolo Ferdinando II d'Aragona.

Più tardi, un altro ancora, Bartolomé de Las Casas, un ex encomendero che nel 1507 fu infine ordinato sacerdote nell'ordine domenicano, testimoniò con una serie di scritti la condizione dei nativi sotto la colonizzazione spagnola: apr' così il dibattito sullo schiavismo in tutta Europa, sia internamente alla Chiesa che nell'intera società. - cronologia da chiarire: prima o dopo il 1512? Aggiungere riferimenti[senza fonte]

Carlo V e il divieto dello schiavismo[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la scoperta del Nuovo Mondo entrato a far parte dell'Impero spagnolo, il dibattito intellettuale che ne seguì, anche all'interno della stessa Chiesa, portò Carlo V alla proibizione formale della schiavitù in tutto l'Impero tramite un decreto del 1526. Il decreto era stato avallato dal parere del Consiglio Reale delle Indie, istituito per la protezione degli Indios, parere che venne motivato dalla bolla papale Sicut Dudum emessa da papa Eugenio IV nel 1435, ancora disattesa fino ad allora.

Il dibattito sullo schiavismo in Europa[modifica | modifica wikitesto]

Il 2 giugno del 1537 papa Paolo III, nella sua bolla "Veritas Ipsa" detta anche "Sublimis Deus" e indirizzata al cardinale Juan Pardo de Tavera, arcivescovo di Toledo, dichiarava che gli Amerindi «veros homines esse» ("gli indios sono uomini veri") e scomunicava tutti coloro che avessero ridotto in schiavitù gli indios o li avessero spogliati dei loro beni.[22] Inoltre la bolla esplicitava la liceità delle religioni non cristiane in quelle terre (licet extra fidem christianam existant).

Tuttavia, le sempre nuove testimonianze missionarie, in particolare quelle di Las Casas, unite ai proclami papali portarono infine, nel novembre 1542, alla revisione delle Leggi di Burgos, considerate ormai insufficienti alla prova dei fatti: pertanto, la Spagna promulgò le Leggi nuove da parte della Spagna. Queste nuove leggi, però, stavolta crearono tensioni da parte dei coloni, i quali accrebbero in ostilità verso la corona spagnola. Per dirimere la questione, venne pertanto indetta infine la Giunta di Valladolid nel 1550-1551, che vide contrapporre le tesi di Las Casas e quelle di Sepúlveda.

La scoperta del Nuovo Mondo pose alla Chiesa nuovi problemi teologici: da un lato, la spiegazione della presenza degli uomini del Nuovo Mondo rispetto alla Genesi, dall'altro l'esistenza ancora di un luogo in cui il Vangelo non fosse stato ancora predicato[23]; inoltre, la discussione si impose anche sulle possibilità di salvezza dell'uomo virtuoso rimasto nell'ignoranza della religione.[24] Infine, la Chiesa concluse che anche i popoli rimasti fuori della predicazione potevano partecipare della salvezza grazie all'assistenza diretta di Dio, in conseguenza della fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini: questo era sostenuto anche dallo stesso de Las Casas che nel difendere l'indigeno americano, difendeva anche l'uomo in quanto tale.[25] Questa presa di posizione si poneva però in contrapposizione ad alcune credenze diffuse al di fuori dell'istituzione ecclesiastica, propense a strumentalizzare la religione e la volontà di Dio per giustificare il fatto che gli africani fossero schiavi di padroni bianchi e cristiani.[senza fonte] Secondo gli sfruttatori degli indios, questi meritavano la condizione schiavile non solo perché appartenevano presumibilmente alla razza su cui ricadeva, secondo la Bibbia, la maledizione lanciata da Noè sui discendenti del figlio Cam, ma anche per l'enormità dei peccati commessi dai loro antenati, della quale il colore della pelle sarebbe stata un'indubbia testimonianza.[senza fonte] Anche la riluttanza a lavorare con zelo in condizioni di schiavitù era addotta come prova della loro inadeguatezza, e si pensava che l'asservimento li avrebbe abituati ai benefici effetti di una vita faticosa e regolare, preparandoli a ricevere il dono divino del messaggio cristiano. Persino il vescovo di Darien ebbe a dichiarare nel 1519 che gli amerindi erano «a mala pena uomini e la schiavitù è il mezzo più efficace ed in realtà l'unico utilizzabile con loro».[26]

Secondo lo storico inglese Geoffrey Scamell[non chiaro] queste considerazioni che possono meravigliare chi consideri lo spirito ecumenico di fratellanza affermato dal cristianesimo, ma sono giustificate storicamente dalla cultura del tempo, in cui i vagabondi erano marchiati e gli eretici torturati o arsi vivi. Sarebbe stato perciò naturale che non si sollevassero serie obiezioni ad analoghi trattamenti inflitti ai neri, ritenuti altrettanto recalcitranti.[non chiaro][27]

La nascita dell'universalismo del diritto[modifica | modifica wikitesto]

Il dibattito sui diritti dei nativi portò ai pensatori a formulare le prime concezioni universalistiche in tema di diritti umani, come il domenicano Francisco de Vitoria.

La morale cristiana e l'abolizionismo[modifica | modifica wikitesto]

Secondo fonti vicine alla chiesa cattolica[senza fonte], la Chiesa, introducendo validità religiosa ai matrimoni contratti dagli schiavi e promuovendo la pia pratica dell'affrancamento, non un dovere ma un atto raccomandabile, avrebbe contribuito concretamente all'abolizione della schiavitù, che ad opera dei re cristiani sparì quasi del tutto in Europa alla fine del X secolo[28] pur sopravvivendo però quella forma di transizione dalla condizione di schiavo a quella di libero rappresentata dalla servitù della gleba[29] che permase in Europa sino al XIX secolo quando fu abolita con l'emancipazione decisa in Russia nel 1861 dallo zar Alessandro II.[senza fonte] La Chiesa con papa Gregorio XVI aveva già nel 1839 proclamato l'abolizione dello schiavismo e della tratta degli schiavi africani.[senza fonte][senza fonte]

Altre interpretazioni storiche[senza fonte] attribuiscono invece la graduale scomparsa della schiavitù come pratica diffusa in Europa piuttosto a motivazioni economiche. A seguito di cambiamenti tecnologici e una diversa strutturazione della produzione agricola, si sarebbe quindi avuto il passaggio dal sistema delle ville o manieri, con un grande edificio al centro di un latifondo coltivato da schiavi, a un sistema invece basato su contadini indipendenti e distribuiti sul territorio, riuniti in villaggi[30].

L'abolizionismo per l'Impero e la Chiesa nel Cinquecento[modifica | modifica wikitesto]

(unificare sezione analoga, avendo cura dell'ordine cronologico del dibattito e delle decisioni legislative) Si tornò in Europa a discutere di abolizione della schiavitù con la scoperta del Nuovo Mondo che entrò a far parte dell'Impero spagnolo. Carlo V nel decreto del 1526, su parere del Consiglio Reale delle Indie, istituito per la protezione degli Indios, proibiva la schiavitù in tutto l'Impero.[senza fonte] Il 2 giugno del 1537, papa Paolo III in una sua lettera Veritas ipsa indirizzata al cardinale Jean de Tavera, arcivescovo di Toledo, dichiarava che gli Amerindi sono esseri umani che hanno diritto alla libertà e alla proprietà condannando decisamente la pratica della schiavitù: argomenti questi ribaditi ufficialmente, quasi con le stesse parole, con la bolla pontificia Sublimis Deus pubblicata pochi giorni dopo.

La scoperta del Nuovo Mondo aveva infatti posto nuovi problemi teologici alla Chiesa. «Già la stessa esistenza della popolazione americana su terre così lontane da ogni altro continente conosciuto faceva sorgere la questione di spiegarne l'origine e il passaggio sul Nuovo Mondo in maniera conforme al racconto della Genesi...» e d'altra parte veniva a mancare « [...] quella che era stata una convinzione unanime dei teologi medioevali, che cioè non esistesse alcun paese al mondo in cui il Vangelo non fosse stato predicato».[31]

Si trattava di stabilire «quali possibilità di salvezza avesse l'uomo virtuoso rimasto nell'ignoranza della religione».[31] La Chiesa rispose sostenendo che anche i popoli rimasti fuori della Chiesa potevano partecipare della salvezza grazie all'assistenza diretta dell'Onnipotente.[senza fonte] Il che equivale ad affermare l'uguaglianza di tutti gli uomini e di tutte le nazioni, così come sostenuto dapprima Pedro de Córdoba con il padre missionario Antonio de Montesinos, nel 1511, e poi il frate Bartolomé de Las Casas che, difendendo l'indigeno americano, difendeva l'uomo in quanto tale.

Il dibattito sull'abolizionismo[modifica | modifica wikitesto]

Attività di Las Casas[modifica | modifica wikitesto]

Dipinto rappresentante il domenicano Bartolomé de Las Casas.

Nonostante le leggi protettive delle popolazioni d'America, lo sfruttamento degli Indios continuò. Fin dal 1516 il frate Las Casas, per evitarne l'estinzione totale, fece promotore del trasferimento in America dei neri dell'Africa avocando anche per motivazioni economiche, in quanto i neri apparivano assai più idonei a resistere alle fatiche. Infatti, con i massacri degli Indios: «Vostra Maestà e la sua reale corona perdono grandi tesori e ricchezze che in tutta giustizia potrebbero ottenere, tanto dai vassalli indiani, quanto dalla popolazione spagnola, che se lasciasse vivere gli indiani, diverrebbe grande e potente, il che non sarà possibile se gli indiani muoiono».[senza fonte]

Si stabilì così che ad ogni colono spagnolo fosse concesso il diritto di importare dodici neri africani con l'obbligo di liberare e rimandare i suoi indiani ai loro villaggi e a quello che rimaneva delle loro terre. «Di questo consiglio il prete Las Casas si pentì grandemente, poiché poté vedere e constatare che la cattività dei Neri è altrettanto ingiusta che quella degli Indiani [...] che l'ignoranza in cui si trovava e la sua buona volontà lo facciano perdonare dal giudizio divino...»[senza fonte] (Istoria o Brevissima Relazione della Distruttione dell'Indie Occidentali di Mons. Reverendissimo Don Bartolomeo Dalle Case, Sivigliano dell'ordine dei Predicatori, trad. di G. Castellani, Venezia, 1643) La Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie occidentali che il Las Casas inviò al re di Spagna nel 1542 denunciando il genocidio degli Indios provocò la accesa reazione dei coloni, i quali accusarono Las Casas di aver tradito la sua razza e la sua religione e lo costrinsero a lasciare la diocesi del Chiapas e a ritornare in Spagna.

Nella Historia de las Indias, Las Casas espresse pentimento per non avere saputo contrastare la schiavitù africana, dato che schiavitù è sempre ingiusta. Rimase tuttavia uno dei primi ad esprimere contrarietà alla tratta degli africani.[32]

Tesi di Juan Ginés de Sepúlveda[modifica | modifica wikitesto]

Trasporto di schiavi in Africa.

La relazione di Bartolomeo De Las Casas scatenò in Spagna un vasto dibattito tra i sostenitori della schiavitù e gli "abolizionisti": a sostegno dei primi si espresse il cronachista imperiale Juan Ginés de Sepúlveda, che scrisse nel 1547 un Trattato sopra le giuste cause della guerra contro gli indi.[33] Secondo Sepúlveda, appoggiando la sua esposizione anche all'autorità di Aristotele, gli Indios non sono uomini, ma omuncoli e servi per natura: la loro essenza umana è tale da destinarli inesorabilmente a divenire schiavi. Essi nascono come servi in potenza che diverranno prima o poi schiavi in atto e che proprio « [...] per la loro condizione naturale, sono tenuti all'obbedienza, in quanto il perfetto deve dominare sull'imperfetto». Le prove di questa loro inferiorità naturale risiedono nel fatto che essi sono privi di cultura e di leggi scritte, che per loro ignavia si sono lasciati conquistare da un così piccolo numero di spagnoli e che infine anche quelli ritenuti i più civili tra loro, gli Aztechi, eleggono i loro re invece di più civilmente designarli per successione ereditaria. «Le idee esposte da Sepùlveda» scrisse Laurette Séjourné, archeologa ed etnologa francese «furono biasimate dalle autorità stesse che avevano sollecitato l'aiuto del casista e il manoscritto fu successivamente rifiutato dal Consiglio delle Indie e dal Consiglio Reale, dopo che le venerabili Università di Salamanca e di Alcalá ebbero dichiarato l'opera indesiderabile «per la sua dottrina malsana» (in Antiguas culturas precolombinas, México, Siglo XXI de España editores, 1976.).[34]

Ma data la buona volontà del governo spagnolo per un umano trattamento degli Indios, che cosa nella pratica lo impediva? Innanzitutto era lo stesso sistema dell'encomienda, cioè dell'assegnazione ai coloni spagnoli non solo della piena disponibilità della terra ma anche degli indios che vi risiedevano con l'obbligo teorico dell'assistenza e della conversione al Cristianesimo. Inoltre, data l'impossibilità di applicare il sistema feudale alle popolazioni americane, l'ipotetico diritto dell'indio, vittima di angherie e crudeltà, di chiedere giustizia a un'autorità superiore a quella del colono suo padrone, era possibile solo con un appello diretto al lontanissimo imperatore in Spagna, al Consiglio reale e supremo delle Indie, corte suprema di giustizia per tutte le cause civili e penali dei regni americani.

Restaurazione[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1802 Napoleone reintrodusse la tratta degli schiavi neri: a questa pratica si era oppose il vescovo costituzionale abbé Grégoire fin dai decenni precedenti.[35] Ancora nel corso del Consiglio di Vienna, Grégoire pubblicò il pamphlet De la traite et de l’esclavage des Noirs et des Blancs par un ami des hommes de toutes les couleurs contemporaneamente a quando Pio VII chiedeva ai monarchi europei la fine del commercio degli schiavi, ossia la tratta dei neri.[36] Il Consiglio di Vienna nel giugno 1815 sancì infine il divieto della tratta. Nel 1822 un ufficiale inglese, Lord Exmouth, informò appunto Pio VII della sua liberazione e reimpatrio di 77 schiavi neri liberati dal governo di Algeri.[37]

Nel 1839 venne pubblicato da papa Gregorio XVI il breve apostolico In Supremo Apostolatus, che contiene una ferma condanna verso lo schiavismo, in particolare la tratta degli schiavi africani.

Schiavismo negli Stati Uniti nel XIX secolo[modifica | modifica wikitesto]

  • Vedi anche: Abolizionismo negli Stati Uniti d'America*

Nel 1641 la schiavitù viene legalizzata nei futuri Stati Uniti d'America: il Massachusetts fu la prima colonia a legalizzare la schiavitù.[38] La conoscenza del Cristianesimo non era incoraggiata presso gli schiavi, per evitare che vi fossero rivolte.[39] I cristiani quaccheri ed evangelici condannavano la schiavitù come "pratica non cristiana", fin dalla prima dichiarazione nel 1688 ad una riunione a Germantown. Tuttavia, ancora nel 1793, il Congresso degli Stati Uniti approvò la Legge sugli schiavi fuggitivi (Fugitive Slave Act), negando il diritto della libertà agli schiavi fuggitivi. La prima società antischiavile americana, la Society for the Relief of Free Negroes Unlawfully Held in Bondage, fondata nel 1775 da personaggi come Anthony Benezet e Benjamin Rush, era formata in maggioranza da quaccheri e in seguito fu presieduta da Benjamin Franklin, quacchero anch'esso.

Negli anni trenta e quaranta dell'Ottocento, il giurista e politico cattolico irlandese Daniel O'Connell, già impegnato nella sua lotta per l'Emancipazione cattolica in Irlanda, fu un forte sostenitore della campagna abolizionista che ebbe ripercussioni anche negli Stati Uniti.[40]

Nel Catechismo (1994)[modifica | modifica wikitesto]

Nel Catechismo si riconduce la condanna alla schiavitù al Settimo comandamento.[41]

Al paragrafo 2414 si legge:

Il settimo comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione, egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all'asservimento di esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a venderli e a scambiarli come se fossero merci. Ridurre le persone, con la violenza, ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro la loro dignità e i loro diritti fondamentali. San Paolo ordinava ad un padrone cristiano di trattare il suo schiavo cristiano « non più come schiavo, ma [...] come un fratello carissimo [...], come uomo, nel Signore » (Fm 16).

Viaggio apostolico a Gorée[modifica | modifica wikitesto]

https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1992/february/documents/hf_jp-ii_spe_19920222_isola-goree.html

Elenco di opere teologiche con riferimenti contro lo schiavismo[modifica | modifica wikitesto]

Elenco di documenti papali su schiavismo e abolizionismo[modifica | modifica wikitesto]

  • Creator Omnium (1434), bolla di papa Eugenio IV
  • Sicut Dudum (1435), bolla di papa Eugenio IV
  • Illud Reputantes, bolla di Papa Callisto III del 1° ottobre 1456
  • Dum Diversas, bolla di papa Niccolò V del 16 giugno 1452.
  • Aeterni Regis, bolla di Sisto IV del 21 giugno 1481.
  • Pastorale officium, lettera del 29 maggio 1537, di papa Paolo III al cardinale Juan de Tavera, arcivescovo di Toledo.
  • Altitudo divini consilii, breve apostolico di papa Paolo III del 1 giugno 1537
  • Veritas Ipsa (Sublimis Deus), bolla di 2 giugno del 1537 di papa Paolo III
  • In Christi nomine, risultato della commissione indetta da Pio V nel 1568
  • Postquam Nuper, di Pio V, 21 dicembre 1571
  • Cum Sicuti, bolla di Papa Gregorio XIV del 18 aprile 1591.
  • Commissum Nobis, bolla di papa Urbano VIII del 22 aprile 1639.
  • Immensa Pastorum, 20 dicembre 1741
  • In Supremo Apostolatus (citato anche con i titoli di In Supremo e In supremo apostolatus fastigio), breve apostolico di papa Gregorio XVI del 3 dicembre 1839.
  • In Plurimis, 5 maggio 1888 da Leone XIII
  • Catholicae Ecclesiae (20 novembre 1890)
  • Lacrimabili statu, un'enciclica di papa Pio X, datata 7 giugno 1912
  • Gaudium et spes, costituzione pastorale promulgata dal papa il 7 dicembre 1965.
  • Evangelium Vitae, enciclica scritta da papa Giovanni Paolo II promulgata il 25 marzo 1995.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Patrick O'Brien, A Slave Pleading for Slaves — thoughts for St. Patrick's Day, in The Furrow, vol. 63, n. 3, marzo 2012, p. 153-155.
  2. ^ (EN) William Klingshirn, Charity and Power: Caesarius of Arles and the Ransoming of Captives in Sub-Roman Gaul, in The Journal of Roman Studies, vol. 75, 1985-11, pp. 183–203, DOI:10.2307/300659. URL consultato il 6 ottobre 2023.
  3. ^ Maurizio Ormas, La libertà e le sue radici: L’affermarsi dei diritti della persona nella pastorale della Chiesa dalle origini al XVI secolo,  Effatà Editrice, 2010, p. 120.
  4. ^ (EN) Peter van Minnen, Prisoners of war and hostages in Graeco-Roman Egypt (PDF), in The Journal of Juristic Papyrology, vol. 30, pp. 155-163.
  5. ^ J. (James) Robarts - University of Toronto, Gregory the Great, London : Society for Promoting Christian Knowledge, published under the direction of the Tract Committee, 1879. URL consultato il 7 ottobre 2023.
  6. ^ Jaime Luciano Balmes, Il protestantismo comparato al cattolicismo nelle sue relazioni colla civiltà europea, vol. 1, Parma, Dalla Tipografia Ducale, 1847, p. 365.
  7. ^ a b c Jaime Luciano Balmes, Il protestantismo comparato al cattolicismo nelle sue relazioni colla civiltà europea, vol. 1, Parma, Dalla Tipografia Ducale, 1847, p. 366.
  8. ^ SLAVE-TRADE - JewishEncyclopedia.com, su www.jewishencyclopedia.com. URL consultato il 27 ottobre 2023.
  9. ^ Liber Pontificalis
  10. ^ Can. 27: "Nequis illud nefarium negotium, quo hactenus homines in Angliâ solebant velut bruta animalia venundari, deinceps ullatenus facere præsumat."
  11. ^ (LA) Jean Cabassut, Synopsis conciliorum seu notitia ecclesiastica historiarum, conciliorum et canonum inter se collatorum., Parigi, Au Bureau de la Librairie Ecclésiastique, 1838, p. 303.
  12. ^ Voltaire, Essai sur les mœurs et l'esprit des nations
  13. ^ Verci, Storia degli Ecelini, vol. III, pp. 399-400.
  14. ^ Filippo Zamboni, Gli Ezzelini, Date e gli schiavi (Roma e la schiavith personale domestica), 1906.
  15. ^ Rodney Stark, Franca Genta Bonelli (Traduttore). False testimonianze: Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica, Editore: Lindau, Collana I Leoni, 2016, ISBN 9788867086955, p.234
  16. ^ Rodney Stark, ibidem, 2016, p.234
  17. ^ Tommaso d'Aquino, op.cit., Terza parte, Questione 3
  18. ^ Tommaso d'Aquino, op.cit. ibidem
  19. ^ Patrizia Delpiano, La schiavitù in età moderna, Gius. Laterza & Figli Spa, 2021.
  20. ^ Mezzadri, L. (2001). Storia della Chiesa: Rinnovamenti, separazioni, missioni : il Concilio di Trento (1492-1563).CLV-Edizioni: p. 282.
  21. ^ (EN) J. Hankins, Political Meritocracy in Renaissance Italy: The Virtuous Republic of Francesco Patrizi of Siena, Harvard University Press, 2023.
  22. ^ Copia archiviata (DOC), su www2.units.it. URL consultato il 29 luglio 2014 (archiviato dall'url originale il 6 marzo 2016).
  23. ^ R. Romeo, Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Ricciardi, Milano-Napoli, 1959.
  24. ^ R.Romeo,op.cit. ibidem.
  25. ^ Arcangelo Mafrici, Storia breve dell’Età Moderna, Gangemi Editore
  26. ^ G.V. Scammell, p. 172.
  27. ^ G.V. Scammell, p. 184.
  28. ^ La Civiltà cattolica, Anno XVI, Volume 102, Parte 4, p. 33
  29. ^ I servizi a cui i servi della gleba erano obbligati, va precisato, a differenza della schiavitù, non avevano un carattere generico, ma erano precisamente definiti. Inoltre i servi della gleba, diversamente dagli schiavi, non venivano considerati "cose" ma persone, avevano il diritto alla proprietà privata, sebbene limitata ai beni mobili, potevano sposarsi, avere figli ai quali lasciare un'eredità. Il feudatario non aveva diritto sulla vita del servo della gleba, che però poteva essere venduto insieme alla terra, su cui aveva il diritto-dovere di restare.
  30. ^ (EN) Joachim Henning, Slavery or freedom? The causes of early medieval Europe's economic advancement: Slavery or freedom?, in Early Medieval Europe, vol. 12, n. 3, 27 luglio 2004, pp. 269–277, DOI:10.1111/j.0963-9462.2004.00131.x. URL consultato il 2 luglio 2022.
  31. ^ a b R. Romeo, Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Ricciardi, Milano-Napoli, 1959
  32. ^ Luca Baccelli (2016). Bartolomé de Las Casas: La conquista senza fondamento.  Feltrinelli Editore.
  33. ^ G. Gliozzi, La scoperta dei selvaggi. Antropologia e colonialismo da Colombo a Diderot, Principato, Milano, 1971
  34. ^ Singolare potrebbe essere considerato il fatto che il trattato di Sepùlveda, proibito nella Spagna del XVI secolo, fu pubblicato e ampiamente diffuso nell'Europa del 1892, quando cioè al colonialismo europeo faceva comodo rispolverare le tesi razzistiche e schiaviste del cronachista spagnolo.
  35. ^ Henri Grégoire, Sulla tratta e la schiavitù dei neri e dei bianchi, a cura di Tommaso Visone, Roma, Castelvecchi, 2021.
  36. ^ O. Petre-Grenouilleau, La tratta degli schiavi. Saggio di storia globale, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 217.
  37. ^ Storia universale della Chiesa dalla predicazione degli apostoli fino al pontificato di Gregorio 16. opera compilata per uso dei seminari e del clero. (1842). Italy: Tipografia di Paolo Lampato: p. 9.
  38. ^ Betty Wood, Slavery in colonial America, 1619-1776, Rowman & Littlefield, 2005, p. 91.
  39. ^ (EN) Amanda Zunner-Keating, Madlen Avetyan e Ben Shepard, Religion and Syncretism. URL consultato il 9 ottobre 2023.
  40. ^ Daniel O'Connell, Daniel O'Connell upon American slavery : with other Irish testimonies., 1860. URL consultato il 26 ottobre 2023.
  41. ^ Catechismo della Chiesa Cattolica - Il settimo comandamento, su www.vatican.va. URL consultato il 7 ottobre 2023.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giorgio Barbero, Il pensiero politico cristiano, Unione Tipografico-Editrice Tarinese, 1962.
  • Giacomo Balmes, Il protestantesimo comparato al cattolicesimo nelle sue relazioni colla civiltà europea, vol. 3, Parma, Tipografia ducale, 1847.
  • (EN) Kenneth J. Zanca (a cura di), American Catholics and Slavery, 1789-1866: An Anthology of Primary Documents,  University Press of America, 1994, ISBN 9780819195654.
  • (EN) John Francis Maxwell, Slavery and the Catholic Church. Rose, 1975.
  • (EN) P. Kengor,  The Worst of Indignities: The Catholic Church on Slavery,  Emmaus Road Publishing, 2023.
  • (FR) Henri Grégoire, De la traite et de l’esclavage des Noirs et des Blancs par un ami des hommes de toutes les couleurs, A. Égron, 1815.
  • Raimondo Spiazzi, Enciclopedia del pensiero sociale cristiano, Edizioni studio domenicano, 1992.
  • (EN) Eugene D. Genovese, Roll, Jordan, roll: The world the slaves made, Vintage, 2011, ISBN 978-0394716527.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

  • Schiavismo nelle colonie spagnole del Nuovo Mondo
  • Popoli indigeni del Brasile
  • Leggi delle Indie

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]