Si Kaddour Benghabrit

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Abdelkader Ben Ghabrit

Abdelkader Ben Ghabrit (in arabo عبد القادر بن غبريط?; Sidi Bel Abbes, 1º novembre 1868Parigi, 24 giugno 1954) è stato un imam e diplomatico algerino naturalizzato francese.

È noto per essere stato il fondatore della Grande moschea di Parigi e per aver protetto centinaia di ebrei e di membri della resistenza dalle persecuzioni naziste durante la seconda guerra mondiale.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Si Kaddour Benghabrit nacque a Sidi Bel Abbes da un'importante famiglia di origine andalusa di Tlemcen. Dopo aver frequentato la Madrasa di Algeri e l'Università al-Qarawiyyin di Fès[1] iniziò la carriera in giurisprudenza.

Nel 1892, lavorò come interprete alla legazione francese a Tangeri e diventò tramite tra le rappresentanze nordafricane e il Ministero francese degli affari esteri,[2] per poi divenire direttore della legazione di Tangeri tra il 1900 e il 1901.[3] Nel 1901, prese parte alla commissione franco-marocchina per delineare la frontiera tra il Marocco e l'Algeria francese[4], e poi, nel 1906, alla delegazione francese alla Conferenza di Algeciras,[3][4] che formalizzò l'influenza francese in Marocco.[5]

Abdelqader Ben Ghabrit (secondo da destra) con Muhammad al-Muqri, Charles Émile Moinier e il sultano marocchino Mulay Abd al-Hafiz, a Rabat l'8 agosto 1912.

Il trattato di Fès[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1912, contribuì come interprete ai negoziati tra il sultano marocchino Mulay Abd al-Hafiz e il diplomatico francese Eugène Regnault che portarono al Trattato di Fès, che stabilì il protettorato francese in Marocco. Il generale Hubert Lyautey lo promosse poi con una posizione come capo del protocollo sul sultano.[4][6]

La prima guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1916, le autorità francesi lo inviarono nel Hegiaz per dirigere la missione diplomatica francese a La Mecca per facilitare il Ḥajj e assicurare il benessere dei suoi concittadini, e per convincere Al-Husayn ibn Ali ad interrompere le relazioni con l'Impero ottomano e ad unirsi agli Alleati,[4] promettendo l'appoggio francese a un califfato arabo.[7]

Nel 1917, Si Kaddour fondò la Mahkama di Algeri e la Société des Habous et Lieux saints de l'islam, il cui obiettivo era facilitare il pellegrinaggio dei musulmani maghrebini a La Mecca. La società acquistò due alberghi a Medina e a La Mecca per i pellegrini.

La Grande moschea di Parigi[modifica | modifica wikitesto]

Cortile interno della Grande moschea di Parigi.

Nel 1920, la Société des Habous et Lieux saints de l'islam si impegnò per ottenere l'autorizzazione per costruire un istituto e una moschea a Parigi, in modo da realizzare una struttura che simboleggiasse l'eterna amicizia tra la Francia e l'Islam e che commemorasse il sacrificio delle decine di migliaia di soldati musulmani che morirono combattendo nelle file francesi durante la prima guerra mondiale, in particolare nella battaglia di Verdun. La Grande moschea di Parigi fu costruita nel V arrondissement, e fu completata nel 1926.

L'Istituto musulmano della Moschea di Parigi fu inaugurato per assistere i musulmani che vivessero o visitassero Parigi, oltre a sostenere l'integrazione degli immigrati musulmani in città.[1]

Uomo sofisticato e frequentatore dei salotti parigini, Ben Ghabrit fu definito "il più parigino dei musulmani".[1]

La seconda guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso della seconda guerra mondiale, dopo la disfatta francese, Ben Ghabrit si impegnò per proteggere i membri della sua comunità, sia musulmani che ebrei, realizzando documenti falsi per centinaia di ebrei per certificarli come musulmani. Si organizzò anche per far sì che i rifugiati ebrei, perseguitati dalle autorità naziste, rimanessero nascosti nella moschea, per poi affidarli alla resistenza in modo che li portasse fuori dai confini del paese.[8] Molti musulmani presero parte alla resistenza durante l'occupazione.

Gli ebrei salvati dalla Moschea di Parigi si contano nell'ordine delle centinaia, e tra loro si ricorda il cantante algerino Salim Halali.[8][9][10] Nel documentario La Mosquée de Paris, une résistance oubliée, prodotto nel 1991, Derri Berkani afferma che erano i partigiani di origine algerina a portare in salvo gli ebrei nella moschea.[11] La missione di questi partigiani algerini comprendeva anche il recupero dei paracadutisti britannici per portarli al riparo. I partigiani fornirono assistenza alle famiglie ebree che conscevano, sistemandoli nella moschea, in attesa che fossero forniti loro documenti per emigrare nella Zone libre[12] o per attraversare il Mediterraneo in modo da raggiungere il Maghreb.

Le stime degli ebrei salvati dalla Moschea di Parigi differiscono secondo gli autori. Annie-Paule Derczansky, presidente dell'Association des Bâtisseuses de paix, afferma che secondo Albert Assouline, sarebbero state salvate 1.600 persone. D'altra parte, Alain Boyer, ex rappresentante degli affari religiosi del Ministero dell'interno ha dichiarato che il numero si aggira intorno alle 500 persone.

Si Kaddour Bengharbit morì a Parigi nel 1954. Fu sepolto in un'area riservata a nord della Moschea di Parigi secondo il rito malikita. La pronipote Nouria Benghabrit-Remaoun è stata ministro dell'Educazione nazionale nel terzo governo Sellal.[13]

Bâtisseuses de Paix, un'associazione di donne ebree e musulmane, ha presentato nel 2005 una petizione allo Yad Vashem per riconoscere Si Kaddour Benghabrit tra i Giusti tra le nazioni.[14][15]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Legion d'onore - nastrino per uniforme ordinaria

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Tout sur la Grande Mosquée de Paris, su mosquee-de-paris.org.
  2. ^ Paul R. Bartrop, Resisting the Holocaust: Upstanders, Partisans, and Survivors: Upstanders, Partisans, and Survivors, ABC-CLIO, 6 giugno 2016, pp. 26–27, ISBN 978-1-61069-879-5.
  3. ^ a b (FR) Mohammed Fassi-Fihri, Mon grand-père, ambassadeur à Paris: 1909-1910, Marsam Editions, 2008, ISBN 978-9954-21-138-0.
  4. ^ a b c d (EN) Martin Thomas, Empires of Intelligence: Security Services and Colonial Disorder After 1914, University of California Press, 2008, ISBN 978-0-520-25117-5.
  5. ^ Miller, Susan Gilson., A history of modern Morocco, New York, Cambridge University Press, 2013, ISBN 978-1-139-62469-5, OCLC 855022840.
  6. ^ (EN) C. R. Pennell, Morocco Since 1830: A History, Hurst, 2000, ISBN 978-1-85065-273-1.
  7. ^ (AR) الشريف الحسين الرضي والخلافة لنضال داود المومني, IslamKotob.
  8. ^ a b Robert Satloff, The Holocaust's Arab Heroes, su washingtonpost.com, The Washington Post, 8 ottobre 2006.
  9. ^ Allan C. Brownfeld, Among the Righteous : Lost Stories of Arabs Who Saved Jews During the Holocaust, su acjna.org.
  10. ^ Ofer Aderet, The Great Mosque of Paris That saved Jews falling on the Holocaust, Haaretz, 24 marzo 2012.
  11. ^ Des juifs ont été sauvés par la Mosquée de Paris, L'association 'Les Bâtisseuses de paix' veut rappeler les faits, su SaphirNews.com, 8 giugno 2008.
  12. ^ La "Zona libera" era, dopo la firma dell'armistizio del 22 giugno 1940, la parte di territorio francese situata a sud della linea di demarcazione che la separava dalla zona occupata dall'esercito tedesco.
  13. ^ Gazzetta ufficiale dell'Algeria
  14. ^ (FR) Ethan Katz, La Mosquée de Paris a-t-elle sauvé des juifs ? Une énigme, sa mémoire, son histoire, Diasporas. Circulations, Migrations, Histoire, 2013, pp. 128–155, DOI:10.4000/diasporas.271, ISSN 1637-5823 (WC · ACNP).
  15. ^ (FR) El Watan :: 16 mai 2005 :: Si Kaddour Benghabrit, un juste qui mérite reconnaissance, su elwatan.com, 2005 (archiviato dall'url originale il 6 aprile 2010).

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