Riforma della RAI del 1975

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La Riforma della RAI del 1975 è la Legge n. 103 del 14 aprile 1975, che introdusse nuove norme in materia di diffusione radiotelevisiva in Italia.

Le norme più importanti possono essere così riassunte[1]:

  • passaggio del controllo del servizio pubblico e della società concessionaria dal Governo italiano al Parlamento per garantire maggior pluralismo all'informazione
  • conferma del monopolio dello Stato sulle trasmissioni radiotelevisive
  • regolamentazione delle trasmissioni via cavo
  • disponibilità, all'interno della programmazione radiotelevisiva, di appositi spazi destinati a sindacati, confessioni religiose, movimenti politici, enti e associazioni politiche e culturali, gruppi etnici e linguistici e altri gruppi di rilevanza sociale che ne facciano richiesta (altrimenti definito Accesso)
  • costruzione di una terza rete televisiva
  • nascita di una struttura dedicata alla divulgazione all'interno della concessionaria, il Dipartimento Scuola Educazione

I Principi fondamentali del servizio pubblico, confermati dalla Riforma, sono indipendenza, obiettività e apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali. Tramite ne è l'apposita Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

Conseguenze politiche

Lo stesso argomento in dettaglio: Lottizzazione politica.

Con il passaggio del servizio pubblico dal controllo del governo a quello parlamentare, si avvia quel processo poi ribattezzato genericamente lottizzazione (termine coniato nel 1974 da Alberto Ronchey), ovvero la spartizione dei canali radiotelevisivi della RAI su base elettorale. Il primo, macroscopico effetto è quindi l'incorporazione di Rai 1 nella sfera di influenza della Democrazia Cristiana, di Rai 2 in quella del Partito Socialista Italiano e di Rai 3 in quella del Partito Comunista Italiano. Quindi la RAI diviene subito "terreno di conquista" per i diversi partiti politici dell'arco costituzionale.

Nel medesimo periodo il direttore generale della RAI Biagio Agnes pilota in porto due strategie di comando:

  • la zebratura, ovvero un perfezionamento della più generale lottizzazione, che consiste nel far convivere all'interno di una stessa struttura ulteriori quote prefissate di democristiani, socialisti, comunisti, socialdemocratici, repubblicani, etc., mescolando aree di appartenenza politica e professionalità;
  • assegnazione in toto di Rai 3 al Partito Comunista, in modo da rafforzare definitivamente la stabilità politica dell'azienda e la stessa presenza della Democrazia Cristiana in RAI.[1]

Conseguenze culturali

Gli anni televisivi immediatamente successivi alla Riforma, vengono ricordati come particolarmente prolifici sia dal punto di vista creativo che progettuale. La neonata concorrenza intellettuale fra le tre reti, infatti, aveva portato ad una marcata contrapposizione fra stili e pubblici di riferimento. Questa nuova dimensione culturale e politica della RAI, indubbiamente innovatrice nei primissimi anni (o almeno sino al momento in cui il servizio pubblico, nei primi anni ottanta, decide di divenire concorrente delle televisioni commerciali e tradire la propria natura istituzionale), si andò inoltre a sovrapporre ad un'altra svolta epocale, ovvero l'esordio delle regolari trasmissioni a colori (1º gennaio 1977). Questo binomio offrì agli autori televisivi praticamente la completa libertà progettuale ed un ventaglio di opportunità tecniche innovative, che portarono alla nascita di format straordinari come Bontà loro, Odeon. Tutto quanto fa spettacolo, Non stop, Portobello, Domenica in, Fantastico, L'altra domenica, Onda libera, Il teatro di Dario Fo, Match, Supergulp!, Stryx ed altre memorabili trasmissioni.

Un caso a parte è rappresentato, in modo esemplare, da Programmi dell'accesso poi rinominato Spaziolibero, un format nato come diretta conseguenza di uno degli aspetti maggiormente sottolineati dalla Riforma («l'Accesso delle minoranze al mezzo radiotelevisivo», del quale Spaziolibero è sinonimo e strumento privilegiato).

Note

  1. ^ a b Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti 2004

Voci correlate

Collegamenti esterni

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