Marino Zorzi

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Marino Zorzi
Doge di Venezia
Stemma
Stemma
In carica23 agosto 1311 –
3 luglio 1312
PredecessorePietro Gradenigo
SuccessoreGiovanni Soranzo
NascitaVenezia, 1238 o 1239
MorteVenezia, 3 luglio 1312

Marino Zorzi (Venezia, 1238 o 1239Venezia, 3 luglio 1312) è stato un politico e diplomatico italiano, doge della Repubblica di Venezia dal 23 agosto 1311 alla morte.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Prima dell'elezione[modifica | modifica wikitesto]

Si conosce poco della sua famiglia, così come della sua giovinezza. Membro del casato degli Zorzi, che aveva cominciato ad affermarsi verso gli inizi del Duecento[1], era figlio di un Matteo e di una Maria di cui non è tramandato il cognome. Nacque probabilmente nella parrocchia di Santa Giustina, dove abitava il suo ramo. È attestata solo una sorella, Giovanna[2].

Gli storici moderni ritengono affidabile quanto riferito da Gian Giacomo Caroldo, che lo dice settantaduenne al momento della sua elezione a doge; quindi dovrebbe essere venuto alla luce tra il 1238 e il 1239. In passato era diffusa la notizia che fosse salito al trono ormai ottantenne, per cui la nascita veniva collocata nel 1231[2].

Si sposò con una certa Agnese, che quasi certamente proveniva dalla famiglia Querini, la quale morì nel 1320 venendo sepolta accanto al marito. Ebbe una sola figlia, Elena, che gli premorì[2].

Va forse identificato con un Marino Zorzi particolarmente attivo nell'ultimo ventennio del secolo come membro del Minor Consiglio (1283-84 e 1286), giudice del Piovego (1284-85) e podestà di Chioggia (1285 e 1297). Di sicuro fu lui ad essere eletto, il 23 novembre 1303, ambasciatore a Roma presso papa Benedetto XI[2].

Un analogo incarico ebbe il 10 novembre 1310, quando fu scelto per assistere all'incoronazione a re d'Italia dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Zorzi rinunciò alla nomina per motivi di salute, ma questo dimostra il prestigio di cui godeva: si trattava infatti di una missione non facile, seguita alle pretese da parte del sovrano che Venezia adempisse a degli obblighi (non meglio specificati) nei suoi confronti[2].

Dogado[modifica | modifica wikitesto]

Il 13 agosto 1311 morì il doge Pietro Gradenigo. Il suo governo, specie negli ultimi anni, era stato attraversato da una serie di eventi particolarmente gravi: la guerra di Ferrara, cui seguì l'interdetto e la scomunica da parte di papa Clemente V (1308-09), la congiura Querini-Tiepolo (1310), l'ennesima ribellione di Zara (1311). La sua morte non fu quindi rimpianta e comunque non risolse le fratture interne[2].

Zorzi venne eletto il 23 agosto, dopo che Stefano Giustinian aveva rifiutato la nomina per ritirarsi nel monastero di San Giorgio Maggiore. Allora era conosciuto più per le qualità morali e la fede religiosa che per l'esperienza politica, tanto da essere soprannominato "il Santo". Probabilmente questi aspetti influirono sulla votazione, infatti Venezia era soggetta a scomunica da oltre due anni. In aggiunta, era imparentato con i Querini tramite la moglie e viveva nella stessa parrocchia dei Tiepolo, per cui poteva esercitare qualche influenza per la riconciliazione con le famiglie dei congiurati[2].

Per mantenere buone relazioni con l'imperatore, il 14 ottobre 1311 accolse la richiesta di Enrico VII di inviare un'ambasciata a Roma per assistere all'incoronazione. Nella stessa occasione concesse al sovrano di arruolare fino a millequattrocento balestrieri veneziani[2].

Per quanto riguarda le tensioni in Dalmazia, la sua elezione cadde proprio mentre si stava allestendo una spedizione per recuperare Zara. Fu un fallimento: gli zaratini, forti dell'appoggio del re d'Ungheria Carlo Roberto d'Angiò, sbaragliarono il comandante veneziano Belletto Giustinian, lo imprigionarono e lo portarono sul patibolo il 9 settembre 1311. Il 14 ottobre e il 12 novembre Zorzi inviò due lettere al sovrano, nelle quali gli intimava di non fornire aiuto ai ribelli, esponendogli i diritti veneziani sulla città. Il 17 ottobre inviò un'altra missiva agli stessi zaratini, cercando di convincerli a trattare la pace. Ma i tentativi fallirono e nella primavera successiva il governo fu costretto a bandire altri due prestiti per organizzare un nuovo attacco (con un conseguente aumento di imposte)[2].

La sua diplomazia diede risultati migliori con Padova, da anni in contrasto con Venezia a causa dei diritti di navigazione sul fiume Brenta. Nel 1312 fu concluso un trattato che risolveva la questione e, inoltre, impegnava le parti a restituire i beni sottratti all'avversario e a ripagarlo per i danni subiti, sanciva la libertà di navigazione sull'Adige e la fluitazione da Bassano; i padovani, infine, ebbero la possibilità di acquistare il sale prodotto a Chioggia[2].

Il suo fu uno dei governi più brevi della storia della Serenissima: morì infatti il 3 luglio 1312, a poco più di dieci mesi dall'elezione. Tre giorni prima aveva fatto testamento, nominando esecutori la moglie, la sorella, i procuratori di San Marco Gratone Dandolo e Teofilo Morosini, e Marco Vitturi. Alla consorte lasciò il palazzo di famiglia finché fosse rimasta in vita e una rendita annua. Dispose del denaro per la costruzione di un ospedale per i bambini poveri presso la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, officiata dai domenicani. A questo ordine, cui era particolarmente legato, lasciò tra le 2500 e le 3000 lire per erigere una chiesa con convento annesso, la chiesa di San Domenico nel sestiere di Castello[2].

Fu sepolto nel chiostro della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo in un'umile tomba, ma già nel Settecento se ne ignorava l'ubicazione precisa[2].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Martino Mazzon, ZORZI, Marsilio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 100, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2021. URL consultato il 7 febbraio 2024.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l Marco Pozza, ZORZI, Marino, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 100, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2020. URL consultato l'8 febbraio 2024.

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Doge di Venezia Successore
Pietro Gradenigo 1311-1312 Giovanni Soranzo